L’invito a convertirsi che viene dalla storia
La liturgia della parola di questa domenica propone per la nostra meditazione due temi principali: quello della liberazione e quello della conversione. Come dice il salmo responsoriale: «Il Signore agisce con giustizia e con diritto verso tutti gli oppressi. Ha rivelato a Mosè le sue vie, ai figli d’Israele le sue opere».
Infatti nella prima lettura, il Dio dei padri rivela a Mosè il progetto di far uscire dall’oppressione dell’Egitto il suo popolo e fa conoscere il suo nome. La liturgia di questa domenica è quindi, un invito pressante a uscire dalla schiavitù dell’Egitto, dall’oppressione del peccato, dalla persecuzione della morte, per raggiunger la Terra Promessa, cioè la vita nuova in Cristo. Purtroppo Israele, quel popolo che Dio aveva liberato e che aveva fatto esperienza della bontà di Dio nei difficili anni di marcia nel deserto, non ha saputo corrispondere ai beni divini, come afferma Paolo nella seconda lettura, ed è caduto nelle mormorazioni e nell’idolatria. Certo, Dio offre la grazia della salvezza a tutti, ma chiede ad ognuno un impregno personale.
Nel brano evangelico Luca ricorda l’ammonimento di Gesù, che invita tutti a convertirsi, a cambiare vita prima che sia troppo tardi, e ci parla della parabola del fico sterile, che mette a prova la pazienza del contadino: se non si decide a far frutti, la pianta sarà tagliata. E’ un modo di dire che bisogna cambiare, e da pianta sterile diventare pianta fruttifera.
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Applicato a noi, questo esempio dice che dobbiamo convertirci. L’uomo non deve abusare delle pazienza di Dio, se non vuole correre il rischio di dannarsi in eterno, di perdersi irrimediabilmente. E poiché Dio continua a rivolgerci il suo invito alla penitenza e alla conversione attraverso catastrofe naturali e avvenimenti di oggi, noi dobbiamo imparare a leggere questi suoi richiami, e a non vedervi castighi da parte sua. Si tratta più concretamente di leggere i segni della presenza di Dio nei piccoli e grandi eventi della nostra vita.
Ogni disgrazia, infatti, che ci capita non è castigo di Dio per determinati peccati commessi, ma è un appello pressante alla conversione. Con insistenza, due volte, nel Vangelo di oggi risuona quindi l’invito categorico di Gesù sulla necessità della conversione: «Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Egli non si riferisce alla morte fisica (se già tutti muoiono), ma alla morte eterna. Dove non c’è conversione, non c’è vita né speranza né salvezza. L’uomo si esclude sempre da solo, con le sue scelte sbagliate e stravaganti.
Questo tale innominato, che viene a cercare frutti sulla nostra pianta non è Dio solo. Egli ha l’abitudine di mandare anche innumerevoli individui che incrociamo nella nostra strada, perché vengano a riscuotere. Tutti hanno diritto di trovare, nell’esistenza di un discepolo di Cristo, in un cristiano, frutti, cioè qualcosa di buono che aiuti a vivere e che autorizzi sperare. Infatti, con le strade invase dalla violenza, contaminate da parole assurde, avvelenate dalla menzogna, dall’egoismo, ecc., è naturale, logico e giusto che la gente si rivolga a noi, cristiani, pretendendo dei fatti concreti di giustizia, pace, onestà, perdono, coerenza.
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Sono le nostre azioni che possono indicare che il nostro Dio è un Dio di misericordia, di giustizia e di amore. Nella realtà, spesso il nostro fico produce delusioni a tutte le stagioni; è ricco esclusivamente di promesse non mantenute, di attese andate a vuoto. Sembra che sia cosi la figura dei cristiani attuali.
Don Joseph Ndoum