Pregare Dio senza pretesa che agisca al nostro posto
Questa domenica la Parola di Dio ci spiega , con l’immagine di Mosè (che sul monte tiene le mani alzate mentre nella valle Giosuè combatte contro Amalek) e con la parabola del giudice disonesto, che bisogna pregare sempre, senza stancarsi. Infatti, la prima lettura ci propone uno dei racconti simbolici che colorano la vita del patriarca Mosè: un modello di costanza nella preghiera. Il racconto della battaglia contro gli amaleciti, discendenti di Esaù e nemici tradizionali di Israele, fa capire che Giosuè può vincere se solo Mosè tiene alzate le mani. Lo dice chiaramente il testo: “Quando Mosè alzava le mani, Israele era il più forte, ma quando le lasciava cadere, era più forte Amalek” Si intravede in questo gesto simbolico il ruolo del mediatore che sta tra Dio e il suo popolo, per indicare da dove viene l’aiuto.
Lo commentano bene le parole del salmo responsoriale: ”Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto cielo e terra”. Egli è il custode del suo popolo, lo protegge di giorno con la sua ombra e sta alla destra nella battaglia. Il gesto di Mosè manifesta anche l’efficacia della preghiera e ricorda che possiamo ottenere vittoria solo con la preghiera tenace e cotante.
La parabola evangelica del giudice e della vedova riprende questo tema della preghiera insistente e dice espressamente, dall’introduzione, che: ”Gesù disse ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi”. Il modello di questa preghiera fiduciosa e costante viene offerto da una povera vedova, e l’intervento di Dio pare rassomigliare a quello di un magistrato disonesto. Il magistrato lo è diventato probabilmente non per amministrare la giustizia ma per fare carriera. Non teme Dio e non ha riguardo per nessuno dei suoi simili.
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E’ murato nel proprio egoismo ed è impermeabile ad ogni sentimento. L’immagine di un miscredente allergico da cui non ci si può aspettare nulla. La vedova, d’altra parte, è l’immagine della debolezza disarmata. Gesù la dice povera – una delle tre categorie deboli della società, con l’orfano e l’immigrato. Essa non ha nessun appoggio sociale e non può contare sulle sue risorse economiche per far valere i suoi diritti. Si tratta forse di farsi restituire un debito da qualcuno di potente ed ingiusto, oppure di spartire l’eredità del marito. La battaglia sembra persa in partenza.
La debolezza indifesa non ha alcuna possibilità di spuntarla sulla forza arrogante e sull’indifferenza imperturbabile. Per ottenere giustizia, la vedova non ha altro che la sua ostinata insistenza. Essa va dal giudice tutti i giorni e gli ripete la stessa domanda. Egli alla fine si risolve a fare giustizia alla povera vedova, per togliersela dai piedi.
Gesù vuole dirci questa domenica che dobbiamo anche noi avere la stessa insistenza nei confronti di Dio quando preghiamo. Sembra dirci: “Alla preghiera insistente cedono perfino i disonesti. E pensate che alle vostre preghiere insistenti non risponda il Padre mio, che è bontà infinità?”. Quindi non dobbiamo lasciarci impressionare dalle difficoltà “insormontabili”. E non dobbiamo stancarsi se la risposta si fa attendere. I ritardi, invece di affievolire la nostra speranza, dovrebbero essere un ragione per alimentarla. Dio è un Padre che si lascia ferire dal grido dei suoi figli ed è impaziente di esaudirli.
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Nessuno è più vulnerabile del nostro Dio che ci ama. Egli gradisce le nostre richieste ribadite e desidera essere importunato. L’intervento finale di Dio per liberare quelli che lo invocano è certo, ma quello che conta di più è che i fedeli non vengano meno nella loro attesa vigile e fiduciosa. Non si può più dire allora che “Io sono cristiano, prego spesso, ma Dio non mi esaudisce e non mi ascolta”.
Forse accade perché abbiamo una fede fragile. Inoltre, troppo spesso crediamo che Dio non ascolti le nostre preghiere, mentre siamo noi che non ascoltiamo o aspettiamo le sue risposte. D’altra parte, noi domandiamo a Dio quello che ci piace, e Lui ci dà invece quello di cui abbiamo veramente bisogno, e che ci serve per la nostra salvezza.
Don Joseph Ndoum