Un Dio scomodo
Chiudiamo l’anno liturgico con la pagina evangelica che sembra mettere la parola fine all’esperienza terrena di Gesù. Noi sappiamo bene che non è così, ma la percezione che hanno i capi del popolo è quella di essersi finalmente liberati di un personaggio scomodo. Sono ignari del fatto che, in realtà, sarà proprio quella croce a dare inizio a tutto, a manifestare la potenza dell’amore di Dio ed inaugurare per ogni uomo la stagione della speranza senza fine.
Tuttavia Gesù resta un personaggio scomodo, ieri come oggi. Il fatto che nella solennità di Cristo Re dell’Universo ci venga presentato un Gesù sofferente e moribondo che nulla ha a che vedere con la pomposità della solennità odierna, ci fa capire quale tipo di cristianesimo ognuno di noi è chiamato a professare. Non una fede fatta di glorie, di esteriorità e di primi posti ma una fede che rende capaci di donarsi, sacrificarsi, di avere compassione, di saper perdonare e accogliere. Vivere la fede così, lasciarsi interpellare da Gesù e dal suo Vangelo è scomodo, e lo sarà sempre perché non abbiamo un Dio comodo o accomodante, ma uno che ha preferito la scomodità di una croce alla comodità di un trono. E lo ha fatto per un solo motivo: l’Amore.
La potenza più grande del Re dell’Universo è l’Amore. Un Amore che Gesù ci ha insegnato indossando la corona di spine sul capo e sedendo sul trono della croce. È quest’Amore, più forte della morte, che dà un senso ai nostri giorni e che troveremo ad aspettarci alla sera della vita. È quest’Amore che continua a far girare il mondo nonostante il nostro egoismo e la nostra avidità. Un Amore così grande che il nostro povero cuore da solo non può trattenere. Ecco perché l’Amore è condivisione, relazione, incontro con l’altro. Se questo amore immenso di Dio non ci scomoda dalle nostre abitudini, dai nostri stili di vita, non cambia il nostro modo di relazionarci al creato e agli altri, allora saremo come il popolo del Vangelo di oggi che «stava a guardare» passivamente.
Quante volte anche noi cristiani restiamo a guardare, restiamo in silenzio davanti alle piccole o grandi ingiustizie di questo mondo; restiamo impassibili davanti al disfacimento del creato o davanti ai tanti crocifissi della nostra epoca, aspettando che siano gli altri ad intervenire, a risolvere, a prendersi cura. Al contrario, troppe volte siamo i primi ad osannare il potente di turno, quello dal quale possiamo trarre un beneficio o può favorirci in qualche modo, anche a discapito degli altri. Ma Dio ci dà sempre una nuova possibilità di vita, fino alla fine. È significativo che il Vangelo ci informi sul fatto che il primo santo certo ad abitare il paradiso sia un ladro. Fino alla fine Gesù ci insegna che non è venuto per i sani ma per i malati, per quelli che hanno l’intima consapevolezza di aver bisogno della misericordia del Padre.
Anche l’uomo di oggi, per svariati motivi, è messo in croce ma, proprio per mezzo della croce, ha la possibilità di incontrare Gesù, crocifisso allo stesso modo. La croce, allora, diventa uno strumento per incrociare lo sguardo di Gesù, per potersi sentire accolti da quelle braccia aperte, anche nell’ultimo istante della vita. Tutti ci rivediamo nel cosiddetto “buon ladrone” e possiamo, perciò, fare nostra la sua preghiera: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». C’è solo un modo per essere ricordati da Gesù: amare. In vari passi del Vangelo, Gesù pronuncia una frase terribile nei confronti di quelli che vorrebbero entrare nel suo Regno ma non ne hanno il diritto: «Io non vi conosco». Per noi non sia così. Alla fine di un anno liturgico siamo chiamati a tirare le somme tra l’Amore ricevuto e quello donato, a riflettere se abbiamo davvero rimesso i debiti ai nostri debitori per meritare che il Padre li rimetta ugualmente a noi.
Ci prepariamo all’Avvento. Lasciamo oggi un Gesù Re dell’Universo e ci prepariamo alla venuta di un Gesù Bambino, il quale anche nella mangiatoia non starà comodo. Lasciamoci scomodare l’anima da questo Dio che non ama le comodità così da poter prendere parte, comodamente, al banchetto del suo Regno.