don Ivan Licinio – Commento al Vangelo del 29 Maggio 2022

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Fra terra e cielo c’è lo spazio di una benedizione

Nella solennità dell’Ascensione non celebriamo certamente l’allontanamento del Signore Gesù dalla nostra vita. Egli stesso ci ha detto che resterà con noi sempre, «tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Tuttavia spesso ci assale il dubbio che Gesù sia davvero lontano, distante, perché non riusciamo a capire o a percepire la sua presenza nella nostra vita. Dubitare, però, non vuol dire non credere ma avere una fede che si interroga, un cuore che non è né sordo né cieco rispetto a quello che accade attorno. Ecco perché il dubbio è una condizione necessaria, direi essenziale, per la maturazione della fede.

Non dobbiamo aver paura di dubitare ma neanche dobbiamo lasciare che il dubbio prenda il sopravvento nella nostra vita di fede. Il dubbio è soltanto lo stimolo iniziale per la ricerca, per l’approfondimento, per la lettura meditata della Parola, per l’incontro con Gesù nella preghiera. Vissuto così, il dubbio non diventa una fragilità ma, come ci ricorda San Tommaso, un’occasione per toccare ed entrare nel mistero di Dio.

È bello pensare che Gesù, prima di lasciare la terra, non aspetti che i suoi discepoli siano perfetti e pronti alla missione che desidera affidargli. Si fida di quegli undici uomini impauriti e confusi, ma profondamente innamorati di Lui. È proprio a questi uomini che dubitano, alla nostra fragilità, che il Maestro affida l’annuncio del Vangelo. Con un atto di enorme fiducia, Gesù crede in noi più di quanto noi crediamo in noi stessi. Ci spinge a pensare in grande, a guardare lontano.

C’è un principio pedagogico importante dietro l’ascensione del Signore: quello della responsabilità. Gesù lascia andare i discepoli perché ora possano camminare con le loro gambe e mettere in pratica quanto gli ha insegnato. È lo stesso principio dei genitori che, ad un certo punto della loro missione educatrice, devono lasciare andare i figli, fidandosi di quello che hanno insegnato loro. È in questo frangente, quello del distacco, che si inizia ad esercitare la responsabilità che, letteralmente, vuol dire essere capaci di una risposta. Non è più il Maestro, non sono più i genitori a rispondere per noi e di noi ma siamo noi stessi che rispondiamo delle nostre azioni e delle nostre scelte. La nostra è una società che non sempre educa alla responsabilità. Invochiamo spesso la responsabilità degli altri ma non sempre siamo altrettanto maturi da esercitare le nostre responsabilità verso Dio, noi stessi e il prossimo con tutto quello che questo comporta.

C’è sempre il rischio di restare con il naso all’insù come i discepoli, attendendo dal cielo una risposta o, peggio ancora, che Dio risponda al nostro posto. Sono le parole degli angeli negli Atti degli Apostoli, a dare la chiave interpretativa dell’Ascensione di Gesù: «Uomini di Galilea perché continuate a guardare il cielo?». Quasi a dire: Sveglia! Non guardate solo il cielo, guardate in terra, guardate la concretezza dell’annuncio. Cristo non mette spazio tra noi e lui ma ascendendo fa spazio allo Spirito e comincia ad abitare ogni cuore, ogni parte della storia.

Ci sono dei cristiani che vivono con la testa fra le nuvole, non perché sono distratti ma perché sembrano vivere in un’altra dimensione, tutta solo spirituale, distaccati dalla realtà. Il cristiano è uno che ha sì lo sguardo verso il cielo ma i piedi per terra. Gesù, non lascia completamente soli i suoi discepoli: non sarà più accanto a loro ma dentro di loro, attraverso il suo Spirito. Lo Spirito ha il compito di ricordargli quanto hanno imparato da Gesù e di dargli la forza necessaria per metterlo in pratica ma, a questo proposito, c’è una cosa interessante da notare nel Vangelo di Luca: il riferimento ai luoghi.

Dove ricevono lo Spirito Santo gli apostoli? In città. «Voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto». Allora lo Spirito non si riceve in un luogo isolato dalla realtà ma nella realtà dei nostri luoghi quotidiani. Siamo chiamati ad essere testimoni nelle nostre famiglie, nei luoghi di lavoro, a scuola, nella società civile e in tutti quei luoghi che frequentiamo ogni giorno. Il tempio, invece, è il luogo della lode a Dio per quanto siamo riusciti a fare con l’aiuto dello Spirito. Il Vangelo di Luca si apre e si chiude nel tempio: inizia con l’annuncio dell’angelo a Zaccaria nel tempio e si conclude con i discepoli che nel tempio lodano colui che era stato annunciato da Giovanni Battista, figlio di Zaccaria. Questo ad indicare, ancora una volta, che non siamo mai soli, che la nostra storia ha un senso solo se la mettiamo nelle mani di Dio. È di questo che noi siamo testimoni.

Certo, sappiamo quanto è difficile annunciare Dio, innanzitutto con la coerenza della nostra vita ma c’è un gesto che Gesù usa per salutare i suoi mentre ascende al cielo e che ci dona ogni forza e consolazione: la benedizione. È il suo gesto ultimo e definitivo: le sue braccia, non più inchiodate, ora sono alte in una benedizione senza parole che raccoglie i discepoli di ogni tempo e che da Betania veglia sul mondo intero.

Cosa abbiamo fatto per meritarcela? Proprio nulla. Il mondo lo ha rifiutato e ucciso e Gesù lo benedice. Siamo oggetto di un amore senza ragione. D’altronde cosa ha comandato Gesù se non l’amore? Il suo comando per noi oggi è: insegnate a tutti l’amore. Insegnategli prima a lasciarsi amare e poi a donare amore. Da qui nascono la conversione e il perdono; qui è tutto il Vangelo, qui è tutto l’uomo. Se faremo questo tutti i giorni, in tutti i nostri incontri, allora l’Ascensione non potrà essere confusa con la memoria di Gesù che ci lascia ma sarà la festa continua della sua presenza in ogni uomo.

Ci sostenga la Vergine Maria nella nostra testimonianza di vita così da colmare ogni distanza tra la terra e il cielo. Lei che è stata abitata dallo Spirito, lei che è la porta del Cielo, possa essere per noi esempio autentico di fede e, come dice l’autore della Lettera agli Ebrei, aiutarci a mantenere «senza vacillare la professione della nostra speranza».


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