Le pagine evangeliche di queste domeniche di Quaresima sono tanto lunghe quanto belle. Al centro hanno sempre un incontro fra Gesù e la fragilità dell’uomo. Lo abbiamo visto con la Samaritana domenica scorsa e ora con il cieco nato. Questi due personaggi hanno in comune l’invisibilità. Entrambi sono ignorati, anzi malvisti, dalle loro comunità.
Ma c’è un’altra cosa che accomuna la Samaritana e il cieco nato: entrambi non chiedono a Gesù di essere salvati, né tantomeno lo conoscono. Eppure, Gesù sceglie proprio loro «perché siano manifestate le opere di Dio» (Gv 9,3). Gesù si fa vedere da chi non è visto, si fa conoscere da chi non lo conosce per niente. Attenzione, allora, quando abbiamo la presunzione di sapere tutto, di avere una fede superiore a quella degli altri; quando non abbiamo dubbi né domande che ci interrogano perché crediamo di aver capito già tutto. Se è così Gesù non può farsi vedere nella nostra vita.
Impariamo, invece, l’umiltà del cieco. C’è differenza fra il cieco del Vangelo di oggi e un altro cieco evangelico, quello di Gerico. A differenza di quest’ultimo, il cieco del Vangelo di Giovanni non grida, non chiede nulla per sé. Forse non vuole essere guarito? Ovviamente sì ma il problema è che si vergogna perché gli hanno sempre detto che la cecità è la giusta punizione per i suoi peccati o per i peccati della sua famiglia. Quest’uomo soffre e Gesù lo vede.
Lo sguardo di Gesù non si posa mai sugli errori che possiamo commettere ma sulla sofferenza che da questi scaturisce. Dal modo in cui permettiamo a Gesù di guardarci dentro, dipende tutta la nostra salvezza. Attraverso l’esperienza del cieco nato sappiamo che Gesù non ci ignora ma si ferma e ci incrocia così come siamo, senza aspettare che ognuno diventi perfetto e degno di incontrarlo.
È straordinario anche il modo con cui Gesù decide di guarire quest’uomo cieco. Compie dei gesti specifici che accompagnano la guarigione: «sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco» (Gv 9,6). Sono azioni che richiamano la creazione dell’uomo (cfr Gn 2,5-7) e che ci dicono che Gesù non si limita soltanto a guarire ma va oltre, addirittura ricrea una nuova vita! Che meraviglia. Il cieco non solo riacquisterà la vista ma anche il coraggio e la dignità di vedere gli altri in faccia, occhi negli occhi.
Non deve più vergognarsi e non ha paura di affrontare quei farisei che, invece di rallegrarsi per la sua guarigione, imbastiscono un processo contro di lui. Ora sono gli altri ad avere paura di lui, compresi i suoi genitori, bloccati dal giudizio della gente. Purtroppo, quando ci si abitua al male, il bene fa paura. Compito ora del cieco è quello di testimoniare la gioia di una vita nuova illuminata da Cristo e non è un caso che la piscina dove il cieco si lava gli occhi si chiami Siloe, cioè inviato.
Tutti noi possiamo sperimentare questa possibilità di vita nuova che Gesù ci offre e certamente la Quaresima è un tempo propizio per approfittare della misericordia di Dio. Dobbiamo, però, fare nostra la domanda che i farisei fanno a Gesù: «Siamo ciechi anche noi?» (Gv 9,40). Perché potremmo essere un tipo di ciechi particolari: ciechi che «hanno occhi e non vedono» (Sal 115) perché «se foste solo ciechi non avreste alcun peccato; – dice Gesù – ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane» (Gv 9,41).
Auguro, perciò, a me e a voi, di maturare la consapevolezza della nostra cecità interiore e di incontrare Gesù lungo la strada della vita, affinché ognuno sia toccato dal suo amore e possa riaprire gli occhi del cuore gridando al mondo le stesse parole dell’uomo cieco del Vangelo: «Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo» (Gv 9,25).
Buon cammino quaresimale, insieme.
Fonte: don Ivan Licinio oppure il canale Telegram