Soffia sulle ferite
Innanzitutto, ancora auguri!
Per tradizione spirituale e liturgica della Chiesa il giorno di Pasqua si dilata per altri otto, così da dare a tutto il mondo il tempo di cantare l’Alleluia pasquale e diffondere il messaggio di gioia: Cristo è risorto! Di otto giorni, in otto giorni, da millenni la Chiesa continua a radunarsi per celebrare la buona notizia, proprio ad imitazione della Comunità degli apostoli che l’evangelista Giovanni ci presenta oggi. Una Comunità che, a dire il vero, non è da imitare in tutto.
Dalle porte chiuse del luogo dove si trovavano, capiamo che questa Comunità ha paura. Non c’è niente di più paralizzante della paura. Gli Apostoli non escono da questo luogo, hanno paura del giudizio degli altri o addirittura di essere uccisi. Sono bloccati all’interno di quest’edificio e del loro cuore. C’è puzza di chiuso, si respira dolore, non entra luce: questa Comunità è ripiegata su se stessa e si sta ammalando.
In questo tempo di pandemia, benché le chiese siano aperte e sottoposte ad un rigido protocollo di sicurezza, è ancora timida la partecipazione della comunità cristiana. Al contrario del cenacolo, le porte sono aperte ma i banchi sono vuoti. L’unica cosa che ci accomuna ai discepoli è la paura ed è proprio per questo motivo che, allora come oggi, Gesù viene a dirci: «Pace a voi!». In questa Domenica, detta della Divina Misericordia, il messaggio più bello che scardina le porte delle paura e apre il cuore è proprio questo: nonostante la nostra fragilità e il nostro peccato, Gesù viene, perdona e ci dona pace!
Egli non ci incontra in videoconferenza né ci educa solo in DAD ma sceglie di stare «in mezzo»: tra la paura e il coraggio, tra la speranza e il dolore, tra la forza e la debolezza. Ma soprattutto lo fa in un modo inatteso: per farsi riconoscere mostra ai suoi le ferite della passione. L’identità del Risorto combacia con il dolore straziante del suo sacrificio d’amore. Così facendo ci insegna che se da un lato potremmo identificarci con le ferite del passato, dall’altro il dono della pace ci permette di attraversarle e di andare oltre. Dio non ci salva dal dolore ma attraverso il dolore, però solo se decidiamo di attraversare con Lui le ferite che la vita ci ha inferto. In questo modo ogni ferita diventa feritoia attraverso la quale Dio fa passare la misericordia e si rende visibile nella nostra storia. È attraverso questi squarci nell’anima che Gesù “soffia” lo Spirito Santo. Da piccoli eravamo abituati al soffio di nostra madre sulle ginocchia sbucciate o sui tagli che ci procuravamo ed è curioso il fatto che, dalle nostre parti, l’alcool usato per medicarci veniva chiamato proprio “spirito”. Ma Gesù non soffia sulle sue ferite ma sulle nostre; soffia lo Spirito di consolazione, di perdono, di amore ma soprattutto di fede. È toccando le ferite di Cristo che Tommaso guarisce le ferite che il dubbio aveva inferto alla sua fede e grazie allo Spirito potrà dire: «Mio Signore e mio Dio!».
In questo tempo di incertezza e sofferenza che ognuno di noi possa consolidare la sua fede nella speranza che la risurrezione di Gesù ci ha donato e pronunciare con forza le stesse parole dell’apostolo che tutti considerano dubbioso ma che intanto fu l’unico a non aver scelto di rinchiudersi nel cenacolo ma di uscire a cercare il suo Maestro.
Possa lo Spirito Santo spazzare via l’aria cattiva, la puzza di chiuso che opprime il cuore. Lasciamoci cambiare da questa ventata di vita che il Signore ci offre, arieggiamo la mente e l’anima con l’aria nuova della Pasqua e annunciamo al mondo intero che sono «beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». A differenza delle altre che sembrano per pochi coraggiosi, questa nona beatitudine è proprio per tutti: per chi fa fatica, per chi cerca a tentoni, per chi cade, per chi si rialza e ricomincia ogni volta.
Fonte: don Ivan Licinio oppure il canale Telegram