don Giuseppe Tomaselli – Il combattimento spirituale

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GIUSEPPE TOMASELLI

COMBATTIMENTO SPIRITUALE

(Tentazioni)

NIHIL OBSTAT QUOMINUS IMPRIMATUR  Messanae, 1-1-1967
Sac. Franciscus Sgalambro IMPRIMATUR
Messanae, 6-3-1967
Can. Pantaleon Minutoli Vic. Gen.

In ossequio ai decreti di Urbano VIII si dichiara che certi fatti qui esposti meritano solo la fede umana.

Introduzione.

Nel luglio del 1966 attraversai in macchi­na la Pianura Padana e mi diressi alle alture del Monte Grappa. Da tempo nutrivo il desiderio di visitare quel luogo storico, teatro della prima guerra europea.

Bello il panorama che si presentava al mio sguardo!

Sul Grappa mi fermai ad osservare ed a far rivivere in me le scene di guerra: rocce sgretolate dall’azione dei cannoni; piccoli sentieri e fosse, ove si nascondevano i com­battenti per sfuggire allo sguardo nemico; trincee scoperte, scavate chi sa con quale trepidazione.

Entrai nelle trincee a cemento armato, disseminate nelle viscere del monte; vidi pu­re parecchi cannoni, ancora li piazzati come ricordo.

Sull’alto piazzale osservai la prima parte del grande cimitero di guerra, ove riposano le ossa degli Austriaci e degli Ungheresi. Più interessante e più imponente è il cimitero degli Italiani, disposto in geniale mausoleo.

Visitai anche la devota Cappella, ov’è la storica statua della Madonna del Grappa, e pregai per i seicento mila soldati morti, tra cui mio fratello.

Qualunque guerra comincia, dura più o meno a lungo e poi finisce.

Ma c’è una guerra che comincia e non fi­nisce, o meglio, che ha inizio quando si en­tra nell’uso di ragione e termina quando si chiude la vita. Nessuno può esserne esone­rato. È la guerra spirituale, è la lotta contro il male, è un susseguirsi di assalti, i quali si chiamano « tentazioni ».

Dice lo Spirito Santo: « La vita dell’uomo sulla terra è un combattimento » (Giobbe, VII-1).

Con questo scritto s’intende chiarire il con­cetto di tentazione e presentare i pericoli ed i vantaggi della lotta spirituale; s’intende altresí confortare tante anime tribolate a motivo delle tentazioni.

LE TENTAZIONI

La grande tribolazione.

San Giovanni Evangelista fu mandato in esilio nell’isola di Patmos. Qui ebbe molte visioni profetiche, che descrisse nel libro del­l’Apocalisse. Eccone un brano.

« Vidi una folla immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione e tribù e popolo e linguaggio. Essi stavano davanti al trono di Dio e davanti all’Agnello Divino, in bianche vesti e con palme in mano; e gri­davano a gran voce, dicendo: « La salute al nostro Dio che siede sul trono ed all’Agnello!

« E tutti gli Angeli, che stavano intorno al trono, si prostrarono bocconi ed adora­rono Dio, dicendo: « Amen! Benedizione, gloria,         sapienza, ringraziamento, onore, potenza e forza al no­stro Dio, nei secoli dei secoli! Amen!

« E mi disse uno dei vegliardi: Costoro vestiti di bianco chi sono? E donde venne­ro? – Ed io gli risposi: Tu lo sai! – Ed egli mi soggiunse: « Costoro sono quelli che vengono dalla grande tribolazione ed hanno lavate le loro vesti e le hanno fatte bianche nel Sangue del­l’Agnello. Perciò stanno dinnanzi al trono, di Dio e giorno e notte lo servono; e l’Assiso sul trono abiterà sopra di essi » (Apocalisse, VII-9 … ).

San Giovanni vide il Paradiso ed i Beati in festa. Costoro perché meritarono la gloria eterna? Perché vennero dalla grande tribo­lazione.

La grande tribolazione, che fa meritare il Paradiso, è la vita terrena, cosparsa di spi­ne, intrecciata di lotte e di vittorie. Le spine più acute sono quelle dello spirito ed il tormento maggiore per chi vuole salvarsi è causato dalle tentazioni.

Si esce vittoriosi dalla grande tribolazio­ne della vita e si entra in Cielo per i meriti  del Sangue dell’Agnello Immacolato, Gesù Cristo. Questo Sangue Divino dà forza nella lotta, risana le ferite ed è caparra di eter­na felicità.

Intratteniamoci pertanto sulle tribolazio­ni, cioè sulle tentazioni.

Prova d’amore.

Tentazione vuol dire prova o lotta, che Dio permette affinché le creature gli dimo­strino l’amore.

Furono messi in prova gli Angeli in Cie­lo, prima di essere confermati in grazia. Una parte non superò la prova ed allora questi Angeli divennero demoni.

Ebbero la prova i nostri progenitori, Adamo ed Eva, con la proibizione di man­giare il frutto dell’albero, ch’era nel centro del paradiso terrestre. Cedettero alle insi­die del serpente infernale e perdettero lo stato di grazia.

Noi, discendenti di Adamo e di Eva, ab­biamo pure le nostre prove. Beato chi le supera, perché ne avrà premio eterno!

Il Paradiso è premio e bisogna meritar­selo con la lotta. San Paolo dice: « Non sarà coronato, se non chi avrà strenuamente com­battuto » (II Timoteo, II – 5). Sembrerebbe strano, eppure è così: più si è accetti a Dio e più aumentano le tenta­zioni. I motivi potrebbero essere:

  1. – Il Signore vuol dare in Cielo una corona di gloria più preziosa a quelli che predilige, corona che si arricchisce con le ripetute vittorie.
  2. – Satana, geloso delle anime che Dio predilige, lancia contro di esse le frecce più velenose, nella speranza di vincerle.

Gli esempi della Sacra Scrittura ce ne danno conferma.

Fu necessario…

Tobia era un uomo giusto; camminava nella via del Signore. La sua carità toccò l’eroi­smo quando con i suoi connazionali, gli Ebrei, si trovò in esilio sotto il re della Si­ria. Era proibito, pena la morte, seppellire i cadaveri degli Ebrei; invece Tobia li sep­pelliva per spirito di carità.

Mentre una volta si riparava sotto un tet­to, ritornando a casa dopo avere seppellito un morto, perdette la vista di ambedue gli occhi. Buono, pio, caritatevole, eppure do­vette assoggettarsi alla cecità. Non si ribel­lò alle disposizioni della Provvidenza e con­tinuò a vivere nella semplicità del cuore.

Narra la Bibbia che un giorno Tobia do­veva mandare il figlio Tobiolo a Rages per riscuotere denaro. Un bel giovane si prestò spontaneamente a far compagnia al figlio, per guidarlo nel lungo viaggio; per opera sua Tobiolo fu liberato dall’assalto di un grosso pesce; felicemente sbrigato l’affare, tornarono a casa.

Il bel giovane era un Arcangelo, che alla fine si manifestò a Tobia dicendo:

« Io sono Raffaele, uno dei sette che stia­mo davanti al Signore. Ora ti manifesto la verità: Quando tu pregavi tra le lacrime e seppellivi i morti e, lasciato il pranzo, di giorno nascondevi i morti in casa tua, io presentai le tue preghiere al Signore. Ma siccome tu eri accetto a Dio, fu necessario che la tentazione ti provasse. Ed ora il Signore mi ha mandato per guarirti dalla ce­cità » (Tobia, XII -11) .

Dalla dichiarazione di San Raffaele appare che chi è accetto a Dio, necessariamente de­ve subire delle prove o tentazioni.

Vaso di elezione.

San Paolo dapprima era persecutore dei Cristiani; sulla via di Damasco si convertì e divenne vaso di elezione. Fu ripieno di Spirito Santo. Serviva a Dio con generosità, convertiva i peccatori, operava miracoli, lo stesso Gesù gli appariva per guidarlo e con­fortarlo; ancora vivo fu rapito in Paradiso, al terzo Cielo, e poté contemplare la gloria dei Beati.

San Paolo era veramente accetto a Dio. Ma appunto perché tale, fu soggetto a gravi prove e fu assalito da violente tentazioni.

Le tentazioni più umilianti per tutti, ed in special modo per le persone pie, sono quelle del corpo, cioè gli assalti contro la purezza. San Paolo ebbe tante di queste tentazioni da esclamare: ” Chi mi libererà da questo corpo di morte? » (Romani, VII­24). E volendo istruire gli altri, scrisse ai Corinti: « Affinché la grandezza delle rivelazioni non mi facesse insuperbire, mi è stato dato lo stimolo della carne, un angelo di Satana (un demonio), che mi schiaffeggi. Ripetuta­mente ho pregato il Signore perché lo allon­tanasse da me. Ed Egli mi ha detto: Ti ba­sta la mia grazia, perché la mia potenza si fa meglio sentire nella debolezza » (II Co­rinti, XII – 7 … ) .

Dunque San Paolo, gran Santo, colonna della Chiesa Cattolica, dovette lottare con­tro il demonio dell’impurità, dimostrando così a Gesù il suo amore.

Dove eravate?

Una delle Sante più ammirevoli per sem­plicità e candore è Santa Caterina da Siena. Gesù l’amava con amore di predilezione, tanto che le diede la scienza infusa ed il do­no della profezia e dei miracoli; le appariva sovente e le parlava sino a dirle: Mi sei così cara, che qualunque grazia mi si chie­derà in tuo nome, l’accorderò.

Eppure Santa Caterina ebbe tentazioni straordinarie contro la purezza. La ribellione dei sensi e l’attrattiva al male erano in lei così prepotenti, da farla dubitare di essere in grazia di Dio. I demoni le si presenta­vano in forma di uomini e la spingevano al male.

Le tentazioni, sebbene fossero esteriori, pure penetravano attraverso i sensi nel cuo­re della vergine senese, tanto che, confes­sava lei stessa, il cuore ne era ripieno e non le rimaneva che la sola volontà supe­riore con cui resisteva.

Le tempeste impure si ripetevano, incal­zando sempre più.

Un giorno, essendole apparso Gesù, la Santa gli chiese: – Dove eravate, mio dolce Signore, quan­do il cuore mio era pieno di tante tenebre e di tanta sozzura?

  • Figlia mia, io ero nel tuo cuore.
  • E come mai abitavate nel mio cuore, in cui era tanto fango? Abitate dunque in simili luoghi?
  • Dimmi: Quei sozzi pensieri del tuo cuore ti davano piacere o afflizione? Ama­rezza o diletto?
  • Somma amarezza ed afflizione.
  • E chi era che ti metteva in cuore tan­ta amarezza se non io, che stavo nascosto nel mezzo del tuo cuore? Credimi, o mia fi­glia, che se io non fossi stato presente, quei pensieri che attorniavano la tua volontà e potevano abbatterla, l’avrebbero certamente abbattuta e sarebbero entrati in essa. Il tuo libero arbitrio li avrebbe accolti con piace­re e perciò avrebbero ucciso l’anima tua; ma poiché io ero là dentro, mettevo nel tuo cuore quella ripugnanza e quella resistenza, con cui ti opponevi al male. Le tentazioni superate sono state per te di grande me­rito, utili ad altre anime ed hanno aumen­tato in te la virtù e la fortezza -.

Bersaglio di satana.

Tra le Sante di questo secolo abbiamo la verginella di Lucca, Gemma Galgani. Con­verrebbe leggere i due volumi « Biografia ed Estasi » e « Lettere di S. Gemma », per conoscere le sue virtù ed i carismi divini di cui fu arricchita.

Quest’anima, tanto santa, fu il bersaglio di Satana; le sue tentazioni erano contro tutte le virtù come attesta il suo Direttore Spirituale. Ascoltiamo le stesse parole della Santa:

« Ieri notte passai al solito una brutta nottata. Il demonio mi venne davanti come un uomo grosso e lungo; mi picchiò tutta la notte e mi diceva: – Per te non c’è più speranza che ti possa salvare; sei nelle mie mai -.

« Io risposi che Dio è misericordioso e perciò non temevo nulla. Allora lui arrab­biato disse, dandomi un colpo forte sul ca­po: Sei maledetta! – e disparve.

« Andiai in camera per riposare un poco e lo trovai lì; cominciò di nuovo a picchiare con una fune, tutta nodi; mi picchiava per­ché voleva che io dessi retta a lui, che mi insegnava il male. Io dicevo di no e lui batteva più forte e mi faceva battere assai forte la testa per terra.

« Ad un certo momento mi è venuto in mente d’invocare l’Eterno Padre, affinché per i meriti di Gesù mi liberasse. Non so quello che sia accaduto. Quel cosaccio di diavolo mi diede una spinta così forte, mi tirò giù dal letto, mi fece battere il capo con tanto impeto a terra, che ho sentito gran dolore, ho perduto i sensi e sono rimasta a terra, finché mi sono riavuta, il che avvenne dopo assai tempo. Sia ringraziato Gesù ». Fin qui la Santa.

Se tante e sì forte tentazioni sono riser­vate ai Santi, perché i fedeli devono sco­raggiarsi quando subiscono le ordinarie ten­tazioni? Essere tentati non vuol dire essere lontani da Dio; da Dio allontana soltanto il cedere volontariamente alla tentazione.

Gesù e satana.

Il Figlio di Dio, Gesù Cristo, facendosi uomo, si assoggettò a tutte le miserie uma­ne, tranne che al peccato. Però, siccome la tentazione di per sé non è peccato, vi si assoggettò, permettendo al demonio di tentarlo.

Gesù subì la tentazione per meritare ai suoi redenti la forza di resistere alle insidie diaboliche e per insegnare come compor­tarsi nella lotta con Satana.

Nel Vangelo di San Matteo (IV – 1) si legge:

« Allora Gesù fu condotto dallo Spirito (Santo) nel deserto per essere tentato dal diavolo; e dopo avere digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame.

Il tentatore, accostandosi, disse: Se tu sei il Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane -.

Ma Gesù rispose: Sta scritto: Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che procede dalla bocca di Dio -.

Allora il diavolo lo trasportò nella città santa e, avendolo posto sul pinnacolo del Tempio, gli disse: Se tu sei il Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto che agli Angeli suoi ha commesso la cura di te e ti porteranno sulle mani, affinché non inciam­pi il tuo piede in qualche pietra -.

E Gesù a lui: Sta anche scritto: Non tenterai il Signore Dio tuo! –

Di nuovo il diavolo lo condusse sopra un monte altissimo e, mostrandogli tutti i regni del mondo e la loro magnificenza, gli disse: Tutto questo io ti darò, se prostrandoti mi adorerai -.

Allora Gesù rispose: Va’ via, Satana, per­ché sta scritto: Adorerai il Signore Dio tuo e servirai a lui solo! –

Subito il diavolo lo lasciò; ed ecco poi gli Angeli vennero a servirlo ».

Satana non sapeva ancora che Gesù di Nazareth fosse l’aspettato Messia; dicono gli esegeti che Dio gli abbia celata tale notizia.

Satana, sospettando che potesse essere Gesù il Figlio di Dio, volle assicurarsene, presentandogli tre forti tentazioni.

I NEMICI

Forte… ma legato.

La tentazione è una lotta. Si sa che la lotta si svolge sempre con un avversario e talvolta con più di uno. Nella lotta spirituale gli av­versari sono tre: il demonio, il corpo ed il mondo.

Occorre conoscere i nemici e le loro astu­zie per lottare con buon esito. Intrattenia­moci pertanto a parlare del demonio, il qua­le è chiamato il « tentatore » per eccellenza.

Il demonio è un puro spirito; nemico giu­rato di Dio, operatore d’iniquità, padre del­la menzogna. Non ha bisogno di riposo es­essendo uno spirito e perciò può lavorare not­te e giorno senza stancarsi mai. E’ molto forte, però la sua forza è dominata dalla vo­lontà di Dio e non può fare più di quanto Dio gli permette.

Il Signore, somma Sapienza, gli dà una certa libertà sulle sue creature affinché si attuino i suoi disegni provvidenziali. Dunque, come si è già detto, il demonio può tentare al male, ma entro certi limiti, senza violentare la libertà umana. Si presenta un paragone.

Immaginiamo una tigre inferocita, legata con grossa catena ad un palo. Può muoversi tanto quanto è lunga la catena; può urlare, digrignare i denti, agitarsi, fare salti, ma non può fare nulla a chi le sta lontano. Può az­zannare solo chi le si accosta troppo. Così è il demonio: forte, terribile, ma legato.

L’astuto serpente.

È difficile distinguere il solco tracciato nell’aria dall’aquila che vola. E’ pure difficile distinguere sulla ruvida roccia il posto ov’è passato il serpente. Ma è più difficile scoprire le astuzie di Satana, quando egli lavora at­torno ad un’anima.

Il tentatore è chiamato « l’astuto serpen­te »; le studia tutte, non ha premura, sa adat­tarsi alle circostanze; pur di vincere è disposto a tutto, anche a camuffarsi da angelo di luce per trarre in inganno.

La Chiesa, sapendo ciò, nelle Litanie dei Santi ha messo una invocazione particolare: « Dalle insidie del diavolo, liberaci, o Si­gnore! ».

Durante la seconda guerra mondiale, nel 1942, in Piazza Università a Catania stava un lustrino.

Al mattino era lì, presso la sua cassetta di lavoro; serviva con garbo i clienti. Sotto la sferza del sole o nel rigore dell’inverno non lasciava il suo posto. A sera si ritirava.

Contemporaneamente in un ristorante la­vorava un commesso, piuttosto anziano. Ser­viva, accettava i richiami e non aveva tante pretese.

Intanto a Catania avvenivano le incursio­ni aeree. Sulle navi, sui padiglioni dell’aero­porto e sui centri militari piombavano le bombe.

Naturalmente si facevano i commenti: – Ma queste bombe, sganciate con preci­sione e proprio ora che sono arrivate alcune navi? … Ma! -.

Il lustrino di Piazza Università era un capitano inglese ed il commesso del ristoran­te era un comandante delle truppe inglesi. Di giorno carpivano le notizie e di notte le trasmettevano per radio.

Appena cessato il mese di resistenza nel­la Piana di Catania, i due ufficiali indossa­rono la divisa e sfilarono con i soldati lungo la città.

Si diceva giustamente: Che furbizia! … Chi l’avrebbe mai immaginato?… – Ma tutto questo non deve fare meravi­glia, perché si sa che durante la guerra lo spionaggio lavora con arte fine.

L’astuzia dell’uomo è nulla a confronto di quella di Satana. Nella guerra dello spiri­to egli usa tanta astuzia da ingannare anche le persone più provette nella vita spirituale. Meno male che il Signore viene in aiuto alle anime tentate con grazie attuali, le quali danno luce e forza. Però bisogna stare all’er­ta per non lasciarsi prendere dal tentatore.

Iddio ci premunisce per mezzo di San Pietro: « Siate sobri e vigilate, perché il vostro

nemico, il diavolo, come un leone ruggente va all’intorno, cercando qualcuno da divo­rare. Fategli resistenza restando forti nella Fede! »       (I Pietro, I – 5… ) .

Il corpo umano.

Il primo nemico dell’anima è Satana; pe­rò è un nemico fuori di noi; gli si può chiudere la porta per non farlo entrare.

Ma c’è un nemico peggiore, che sta, per così dire, a casa nostra, o meglio, vive con noi e non possiamo staccarcene. È il nostro corpo.

Dopo la colpa originale è avvenuto nella creatura umana un grande dissesto. Come Adamo ed Eva si ribellarono a Dio, così il corpo dei nostri progenitori si ribellò al loro spirito; e ciò che avvenne in essi si ripercuote in ogni loro discendente.

Nelle membra del corpo, dunque, c’è una legge che è in contrasto con la legge dello spirito. La mente vede il bene, lo apprezza, può tesserne le lodi … eppure in un certo momento si decide al male. E’ il corpo che con le sue cattive tendenze può ottenebrare la mente e trascinare all’iniquità.

Il demonio, che conosce bene le tendenze umane, può sobillare il corpo per piegare la volontà al male. L’anima è tenuta a re­sistere per mezzo del suo libero arbitrio; finché è risoluta di non cedere alla tenta­zione, qualunque cosa avvenga nel suo es­sere, non ha colpa alcuna, anzi resta vitto­riosa. Il Signore, invocato con fede, viene sempre in aiuto all’anima in pericolo.

Il salvataggio.

Sulla spiaggia stavano dei bagnanti; ad intervalli taluni si tuffavano nell’acqua.

Una signorina, poco pratica di nuoto, si azzardò a scostarsi troppo dalla riva; all’im­provviso sparì nell’acqua. In meno che si dica, non conoscendo le regole del nuoto, andò a fondo.

Un altro bagnante, molto esperto, vista la scena, corse in aiuto. Si tuffò a capofitto ed in fondo al mare trovò la signorina, la quale si dibatteva. Per prima cosa l’afferrò per la chioma e poi le battè la testa sul fondo del mare. In pochi secondi furono a galla tutti e due. Alla signorina si fece vomitare l’acqua inghiottita e le si apprestarono i rimedi del caso. Il suo primo lamento fu: Sento male alla testa! – Appena riavutasi discretamen­te, chiese a chi l’aveva salvata: – Perché mi ha fatto battere 1a testa? – Eh, signorina, se non avessi fatto così a quest’ora saremmo ambedue morti. Lei, per salvarsi, si sarebbe aggrappata a me istin­tivamente, mi avrebbe stretto alle braccia, non avremmo potuto muoverci e saremmo rimasti a fondo tutti e due. Quel colpo alla testa l’ha stordita, io sono stato libero nei movimenti ed in un attimo l’ho portata a galla -.

Lodevole la tattica usata, ma più lodevole il pronto accorrere del giovane salvatore. Quando le passioni corporali insorgono e la malvagità diabolica le intensifica, essen­do grave il pericolo che sovrasta all’anima, il Signore comincia subito l’opera di salvataggio; suscita allora in mente dei buoni pensieri, quali: Dio vede tutto! … C’è l’in­ferno! … Si può morire! … Guai a chi abusa della Divina Misericordia!… E men­tre dà luce all’intelligenza, dà forza alla vo­lontà.

L’anima, mentre è nel vortice della tenta­zione, deve accettare il celeste salvataggio e cioè deve riflettere sul pericolo che corre, pregare ed assecondare meglio che può il la­vorio della Grazia Divina. Se non fa que­sto, resta presto vittima della tentazione.

La gru spirituale.

Si dice da taluni: È impossibile resi­stere a certe tentazioni, specialmente quan­do è interessato il cuore; l’amore, anche illecito, è irresistibile! … Certe tentazioni son più forti di noi! … Il corpo trascina irresistibilmente! –

Tali affermazioni sono false.

È di fede che il buon Dio non permette la tentazione superiore alle forze di ognuno. Se ci si lascia vincere, è solo perché si vuole.

San Paolo diceva: « Tutto io posso in Colui che mi dà forza! » (Filippesi, IV-13). Con le semplici forze umane non è pos­sibile vincere le tentazioni; è necessaria la forza divina, la quale è data a chi prega e fa la parte sua nella lotta.

Non può un operaio, servendosi delle semplici sue braccia, sollevare da terra un macigno di tre o quattro quintali; ma se ha l’aiuto della gru, può sollevarlo subito ed a grande altezza.

La gru spirituale è la forza che viene da Dio, per la quale innumerevoli anime supe­rano facilmente le tentazioni dei sensi e vivono nel mondo come Angeli, quasi non avessero il corpo.

Il grande alleato.

Il terzo nemico spirituale è il mondo, che suole essere chiamato l’alleato di Satana. Per mondo qui s’intende non il creato, ma la sterminata folla di coloro che pongo­no il cuore, le speranze e la felicità sulla sola vita terrena, curandosi poco o niente della vita che ci attende dopo la morte.

Tutto il mondo è posto sotto il maligno; chi si lascia vincere, diviene schiavo.

La legge del mondo è il piacere presente, procurato con la triplice concupiscenza di cui parla San Giovanni Evangelista: quella del corpo, degli occhi e della superbia della vita.

Gesù Cristo condanna il mondo e dice: Io non prego per il mondo! … Guai al mon­do! … Io ho vinto il mondo! –

Il mondo infatti con le sue false dottrine e seduzioni è una continua e forte tenta­zione. Beati coloro che ne vivono lontani, cioè nei deserti e nei conventi!

Ma non tutti possono fare questo. E’ pos­sibile però vivere staccati dal mondo, pur restando in esso; per riuscirvi occorre resi­stere alle sue lusinghe e non lasciarsi con­taminare dal suo fango morale.

Addio, mondo!

Non era trascorsa una settimana, mentre scrivevo queste pagine, da che io avevo avu­to un gradito incontro.

Vidi uno sui trent’anni, abbastanza sereno in volto. Mi piegai umilmente e gli baciai le palme delle mani. Egli lasciò fare.

Era un novello Sacerdote, ordinato dal Vescovo pochi giorni prima.

Questi era vissuto nel mondo e aveva chiu­so felicemente il corso universitario con la laurea in medicina. Si accorse che il mondo promette e non dà e che presenta il calice del piacere, entro cui stanno assenzio e veleno. – Addio, mondo! – disse un giorno. – Io ti lascio e penso ad altro. Voglio essere Sacerdote! Tu, o mondo, ti ridi di me per la mia decisione ed io mi rido di te! –

Il pugile.

Viaggiavo; davanti a me sedeva un si­gnore; approfittai per dirgli una buona pa­rola: Non dimentichiamo nella vita che sopra di noi c’è un Dio, che è padre! … Pro­curiamo di vivere da buoni cristiani!

Mi rispose: – Sono cattolico praticante e per questo ho lasciato il mondo, rinunzian­do alla mia lucrosa carriera.

– Si spieghi meglio!

– Sono un uomo di forza. Sono stato un pugile. Con un pugno nella lotta di pugilato potrei ammazzare un uomo. Per non avere il rimorso di aver tolto la vita ad un uomo per divertire gli spettatori, ho deciso di ri­nunziare al denaro ed alla gloria. Mi sono ritirato a vita privata -.

Detto questo, mi presentò le foto in ve­ste di pugile e poi, rimboccate le maniche, mi lasciò vedere i poderosi muscoli degli avambracci.

Per il mondo conta solo il denaro, il pia­cere e la gloria. I deboli si fanno trascinare da questi tre lacci e così facilmente cadono e vivono in peccato.

Non sono troppi quelli che sanno resi­stere alle lusinghe del mondo.

Piccolo mondo.

Quando mi avviene di scendere alla sta­zione di San Remo, i miei occhi vanno su­bito ad un grandioso edificio, sito a pochi passi dalla stazione. Ha l’aspetto di un pa­lazzo reale, con imponenti gradinate e con aiuole ricche di verde e di fiori. A destra di chi guarda l’edificio sta una chiesa dei Francescani ed a sinistra un bel tempio degli Ortodossi, in stile bizantino.

Il palazzo di cui si parla è un piccolo mon­do: è il celebre Casinò di San Remo. Ho vo­luto entrarvi, in ore di quiete, per osservarlo.

Quanto il mondo suole presentare di at­traente alla moderna società, può trovarsi nel Casinò: giuochi d’azzardo con gli assetati di denaro; convegni di artiste cinematografi­che; appuntamenti con donne internazionali; veglioni, danze, gare di canto per la Canzo­nissima, trasmissioni televisive, ecc.

Il Casinò presenta il calice del piacere. Ma in fondo al calice c’è l’amaro: rabbie, bestemmie, immoralità, disillusioni, fami­glie che vanno sul lastrico, lutti …

In questi giorni, mentre scrivo, i giornali pubblicano: « Al Casinò di San Remo il giovane … rimase deluso. Scoraggiato, ritornò all’alber­go e si uccise ».

« La giovane … italo-francese, stella del­lo schermo televisivo, stanca ed abbattuta, uscita dal Casinò, prese il veleno per tron­carsi la vita ».

E vale la pena seguire le massime del mon­do, quando il sentiero dei falsi piaceri porta allo scontento ed all’abisso della disperazio­ne? Tutto questo si sa, eppure si seguono le correnti mondane.

Evviva il mondo!

Il mondo calpesta la legge morale e, per fare godere di più, invita al libero amore, di­cendo: Si appaghi il cuore! … Si è liberi! … Via le pastoie che presenta la Religione!

Con questa teoria, spinta dalla tenta­zione, una giovane s’innamora di un padre di famiglia. Saputo ciò e viste le tristi conseguenze, il genitore della giovane uccide il padre di famiglia.

Un uomo inganna una ragazza e dopo si rifiuta di sposarla. La partita si chiude con alcuni colpi di pistola: uno muore e l’altra in galera.

Quell’altra donna ha ceduto ad una ten­tazione. Disperata per le conseguenze e per il disonore, s’impicca al balcone.

Un padre di famiglia abbandona sposa e figli e va con un’altra donna. Il figlio mag­giore richiama il padre; ma questi fa il sordo. Allora avviene un delitto: il figlio uccide il genitore.

Tempo fa una signorina venne a trovar­mi in ufficio. Il suo aspetto e gli occhi scon­volti mi rivelavano il suo stato d’animo.

– Sono una universitaria; vengo da fuori Sicilia per gli esami. Prima di suicidarmi vo­glio parlare con lei.

– Si calmi e dica pure ciò che vuole!

– Sulla nave-traghetto incontrai un uffi­ciale. Subito sorse in me una forte simpatia per lui ed altrettanta in lui per me … Non mi fossi mai incontrata! … Dopo quanto è avvenuto, penso: E mio padre? … E mia madre?… Ed il mio avvenire? … Non mi resta che togliermi la vita! –

Feci di tutto per farle cambiare idea, ma non ci riuscii. La giovane si allontanò da me risoluta di farla finita.

Evviva il mondo! Val proprio la pena di seguimele teorie!

LA LOTTA

Tentazione involontaria.

Conosciuti i nemici spirituali, studiamo ora la tentazione, la quale può essere invo­lontaria e volontaria.

La prima non è né cercata né voluta; la seconda invece è cercata e voluta.

Si chiariscono i due concetti.

Quando la tentazione non è cercata, né provocata, quando cioè l’anima fa di tutto per sfuggire al pericolo della lotta, se con tutto ciò avvenisse l’assalto spirituale, l’ani­ma dovrebbe restare tranquilla, contentan­dosi d’invocare l’aiuto divino. Senza dubbio il Signore l’assisterà e facilmente ne uscirà vittoriosa.

Un esempio.

Un incontro eventuale pericoloso … un cattivo suggerimento inaspettato …  uno sguardo immodesto per isbaglio… un brutto ricordo che all’improvviso si affaccia alla men­te … un risveglio spontaneo di passione … queste sono tutte tentazioni involontarie, quindi non imputabili.

Però l’anima, avvertita la tentazione, è te­nuta a superarla con la preghiera, con la di­strazione, con l’allontanarsi dal luogo perico­loso, ecc … Si deve stare sempre all’erta, co­me il soldato sul campo di battaglia. Ma per quanto si stia vigilanti, non sempre si pos­sono prevedere tutti i pericoli di tentazione.

Penna a biro? …

Un ragazzo di nove anni scorazzava in campagna; non gli mancava nulla per diver­tirsi: uccelli, fiori, pietre per la sassoiola …

Avvistò un piccolo oggetto di metallo, lo prese, lo pulì alla meglio, perché un po’ ir­rugginito, e si accorse ch’era una penna a biro. Trovato un pezzetto di carta, si provò a scrivere. Appena premuto un poco, avvenne uno scoppio; gli saltò la mano destra e parte dell’avambraccio, la sinistra fu ferita e la faccia bruciacchiata.

Quell’arnese sembrava una biro e non lo era. Circa venti anni prima, durante la guer­ra, dagli aerei nemici venivano lanciati si­mili oggetti. Quanti incauti rimasero feriti o perdettero la vita!

Il ragazzo oggi è mutilato. Avvenuta la disgrazia, toccò a me, scrivente, dire la pa­rola di conforto ai parenti.

Può dirsi colpevole questo ragazzo? Meri­terebbe rimprovero? Di certo no! E’ stata co­sa fortuita, imprevista; è stata una disgrazia.

Così nel campo delle tentazioni. Ci sono oggi tanti di quei pericoli morali, per cui tutti non si possono prevedere né evitare; perciò si deve stare vigilanti finché è pos­sibile.

Occasioni.

La tentazione, della quale si è responsa­bili, è la volontaria, che per lo più è cer­cata o provocata.

Chi volontariamente si mette nel pericolo di peccare, come può pretendere che Dio l’aiuti a non peccare? Come può la volontà resistere al male, se liberamente va incon­tro ad esso?

È tentazione volontaria il mettersi in una cattiva occasione. Si danno ora i principii morali riguardanti l’argomento.

È occasione di peccato tutto ciò che spin­ge a peccare, sia persona, sia luogo e sia oggetto.

Le occasioni deboli, dette così perché di per sé non hanno la forza di spingere al peccato grave, si dicono remote. Quelle invece che sono forti, si dicono occasioni prossime.

Ognuno può conoscere per esperienza qua­li siano le occasioni prossime individuali. Quando una persona, messa in una data occasione, sempre o quasi sempre o con una certa frequenza commette qualche grave col­pa, è tenuta a fuggire tale occasione, anche con grande sacrificio.

Chi si mette volontariamente in un’occasione prossima di grave peccato, senza una vera e grave necessità, è reo di peccato mortale volta per volta che si mette in quel pericolo, anche se eventualmente non cedesse alla tentazione, perché è peccato il mettersi nel grave pericolo di cadere.

È così importante questo punto di mo­rale, che la santa Chiesa lo ricorda espres­samente nell’Atto di Dolore, che si recita nella Confessione: « … E propongo di fug­gire le occasioni ».

Col fuoco non si scherza … perché il fuo­co brucia. Con le forti tentazioni volute e cercate non si scherza! Dice lo Spirito San­to: « Chi ama il pericolo, in esso perirà » (Ecclesiastico, III – 27).

Gioco … poco igienico.

Un ricordo giovanile.

Gli alunni delle scuole del mio Istituto furono invitati ad assistere allo spettacolo di un circo equestre. Fra i tanti numeri dello spettacolo ci fu quello del serpente.

Si trasse fuori dal giaciglio un pitone, rettile dell’Africa; era lungo circa due metri e grosso quanto un buon braccio di uomo.

Finché durò quel numero, si guardava e quasi si tratteneva il respiro. Tutto era sug­gestivo: la penombra, il suono del flauto per incantare il serpente, il silenzio profondo e lo svolgimento delle varie scene.

Lo scrivente, più che guardare il pitone, osservava il domatore, il quale si mostrava sicuro del fatto suo.

L’ultima scena colpì assai. Il domatore afferrò per il collo il serpente, che spalan­cava la bocca minacciosa, e lo pose sulle sue spalle nude. Da lì a poco il pitone si attorcigliò al petto del domatore e cominciò a stringere. Le spire di questo rettile sono così potenti da stritolare anche il petto di un leone … ed immaginarsi di un uomo!

Per fortuna accorsero in aiuto due la­voratori del circo, nerboruti; con sforzi e dopo tanta resistenza riuscirono a snodare il serpente. Se il domatore fosse rimasto solo, sarebbe stato stritolato.

I giocolieri danno spettacoli per guadagnarsi il pane, però lo scherzare con un grosso serpente è sempre pericoloso. Satana, serpente infernale, è più forte di un pitone. Quando una persona si mette nell’occasione prossima di peccare, si mette nelle spire di Satana e facilmente muore al­la grazia di Dio cadendo in peccato.

Perché essere tentati?

La tentazione involontaria è permessa da Dio per il bene delle anime; giova cono­scerne i vantaggi.

Dice lo Spirito Santo: « Beato l’uomo che soffre tentazioni, per­ché, quando sarà provato, riceverà la corona di vita, da Dio promessa a quelli che lo ama­no. Nessuno, quando è tentato, dica di es­sere tentato da Dio, perché Dio non può ten­tare a fare il male ed Egli non tenta alcuno; ma ciascuno è tentato, attratto, adescato dal­la propria concupiscenza, la quale poi genera il peccato; e il peccato, consumato che sia, genera la morte » (San Giacomo, I – 12).

Trasformazione.

A Torino visitai una vetreria; un addet­to mi fece da guida.

In un magazzino stava un grande quan­titativo di sabbia. Domandai: – E’ sabbia di mare?

– Si, viene dai Paesi Nordici; è ricca di silice, molto adatta a fare il vetro -. Nel primo magazzino stava la sabbia e nell’ultimo stavano i vetri: coppe, bottiglie, vassoi e servizi eleganti, lampadari, ecc.

Dissi tra me: che trasformazione!

Ma per ottenere questo è necessaria una accurata lavorazione. Nei locali intermedi, fra il primo e l’ultimo magazzino, stanno i cosiddetti crogioli, che sono forni ad altis­sima temperatura.

La sabbia, posta in particolare recipiente, sta dentro il crogiolo; il fuoco la cuoce a tal punto da renderla una pasta. L’operaio attraverso uno sportellino, servendosi di un lungo tubo d’acciaio, ne estrae una por­zione, che dopo pone dentro una forma.

Basta un soffio nel tubo e la pasta prende la forma che si vuole.

Il nuovo recipiente è scottante e potreb­be frantumarsi passando subito a bassa tem­peratura. Per evitare ciò, si mette in un se­condo crogiolo e poi in un terzo e in un quarto … finché gradatamente abbia rag­giunto la temperatura normale.

Due palette di sabbia possono trasformar­si in graziosi servizi da tavola, degni delle mense reali. Però, se la sabbia non passa per il fuoco del crogiolo, non può divenire vetro.

Così capita nella vita spirituale: se l’ani­ma non passa per il crogiolo della tentazio­ne e della sofferenza, non può impreziosirsi.

Il fuoco delle passioni è più che il fuoco del forno della vetreria. L’anima deve lot­tare e vincere le sue cattive tendenze, ri­fiutando le soddisfazioni illecite che presen­tano i tre nemici spirituali; ma superata la tentazione, si arricchisce, si tempra e di­viene più preziosa agli occhi di Dio.

È vero che si deve fuggire la tentazione e pregare Dio che ce ne liberi, per il pericolo cui si espone la debolezza umana; ma quando Dio la permette, deve accettarsi con serenità. È di tanto conforto l’insegnamento dello Spirito Santo: « Quando siete bersaglio di diverse tentazioni, rallegratevi, sapendo che la vostra Fede, messa alla prova delle tenta­zioni, produce la pazienza, che porta alla perfezione » (San Giacomo,   I – 2 …) .

Scuola di umiltà.

La superbia è madre di ogni vizio, men­tre l’umiltà è madre, fondamento e custodia di ogni virtù.

Vantaggio della tentazione è un aumento d’umiltà.

  Nel libro dell’Imitazione di Cristo è det­to che le tentazioni sono profittevoli, an­corché siano gravi e moleste, perché così l’anima resta umiliata, purificata ed erudita.

Quando non si hanno tentazioni e si go­de delle gioie spirituali, è facile esser ten­tati di superbia: Valgo qualche cosa!… So­no forte!… Non sono miserabile come tan­te altre anime! …

Ma quando giunge l’assalto di una terri­bile tentazione, allora si tocca con mano la propria debolezza, si sente il bisogno del­l’aiuto divino, si vede l’abisso ove potrebbe cadersi ed in tal modo la virtù dell’umiltà mette più profonde le sue radici.

L’esperienza.

La tentazione è una scuola pratica, ove si impara a proprie spese. Il vantaggio di cui si parla è quello dell’esperienza.

Ero in Piazza Santa Maria di Gesù a Catania; da lì stava per partire un camion. Un operaio, giunto in ritardo, volendo ap­profittare dell’occasione, si aggrappò al pa­rapetto retrostante, nella speranza di spic­care un salto e montare sul camion.

L’autista non si accorse di nulla ed ini­ziò la marcia, prima ancora che l’operaio facesse il salto. Si sa bene che non è pos­sibile prendere la spinta di un buon salto mentre la macchina è in moto. La corsa intanto accelerava.

L’operaio rimase aggrappato al parapet­to, ma con i piedi a terra. Cosa fare? … Non servirsi più dei piedi e restare ap­peso? A un certo punto le braccia sareb­bero cedute e lui sarebbe piombato a ter­ra sfracellato. Staccarsi dal parapetto? Peg­gio ancora! Data la velocità, si sarebbe di certo ammazzato.

Quelli che stavano dietro a guardare, un po’ lontani, seguivano trepidanti la scena e non potevano dare alcun aiuto. L’unica sal­vezza sarebbe stata il trovare chiuso il pros­simo semaforo. Non so come sia andata a finire; mi auguro in bene.

Un’applicazione!

Se quel povero operaio se la fosse scap­pata, più o meno malconcio, avrebbe im­parato a spese sue. Certamente in avvenire non si sarebbe più permesso di aggrapparsi ad un camion pronto a partire.

L’esperienza è maestra!

Una forte tentazione, causata dall’incon­tro con persona pericolosa, o da uno svago incauto, o da una lettura cattiva … una tale tentazione potrebbe costituire un pericolo morale di vita … e di vita eterna … caden­do in peccato mortale.

L’anima che si fosse trovata in simile pericolo e se la fosse scampata, più o me­no malconcia, dovrebbe dire: Non sarà mai più! Dopo la triste esperienza ho imparato come comportarmi!

Purtroppo, per i pericoli del corpo si sta attenti, per quelli dell’anima si suole es­sere trascurati!

TENTAZIONI VARIE

Principii di morale.

Si viene a trattare di certe tentazioni in particolare, incominciando con l’esporre i principii di morale.

Ora s’intende parlare di peccato mortale, o grave colpa, che toglie l’amicizia di Dio. Perché si possa commettere un peccato mortale occorrono tre condizioni essenziali: materia grave, piena conoscenza e piena vo­lontà. Se manca una sola di queste condi­zioni, non c’è il peccato mortale.

Materia.

Nei comandamenti di Dio c’è la materia grave e quella leggera. Rubare cento lire, è mancare al settimo comandamento; però la materia è leggera. Rubare una buona som­ma o recare un danno relativamente grave alla roba altrui, costituisce materia grave. Quasi in tutti i comandamenti c’è la di­stinzione di materia. Si è detto « quasi in tutti », perché nel secondo comandamento « Non bestemmiare », nel sesto « Non com­mettere atti impuri » e nel nono « Non de­siderare la persona d’altri » non c’è materia leggera, ma tutto è grave.

Memoria.

Tante colpe, che a prima vista potrebbero sembrare gravi, non lo sono, perché, quan­do la conoscenza dal male non è piena, non può esserci la colpa grave.

Chi ha poca istruzione, non sa distin­guere le facoltà dello spirito umano e facil­mente potrebbe credere che sia colpa ogni cosa poco buona che passi per la mente. Su ciò si dà un’istruzione.

L’anima nostra ha tre facoltà: la memo­ria, l’intelligenza e la volontà. Queste fa­coltà agiscono nella mente.

La memoria fa ricordare il passato: perso­ne viste, parole udite, azioni compiute, scene buone o cattive. Per mezzo della memo­ria le immagini passate diventano presenti. Quando il sistema nervoso è eccitato, o per malattia, o per stanchezza snervante causata dagli scrupoli, o per una forte im­pressione, o anche per una semplice cattiva digestione, allora i ricordi del passato pos­sono acquistare nella mente tanta vivezza da fare meraviglia. In questo stato la mente potrebbe para­gonarsi al televisore, ove le immagini si susseguono tempestivamente.

La memoria e la fantasia non possono fare mai il minimo peccato, perché il pec­cato può farlo soltanto la volontà.

Intelligenza.

Una facoltà più nobile della memoria è l’intelligenza; per mezzo di questa si cono­sce il bene ed il male.

L’intelligenza è fatta per la verità; dà la luce per conoscere la moralità degli atti che si hanno da compiere; però non è capace di peccare, avendo, come si è detto sopra, sol­tanto la volontà la capacità di peccare. La condizione perché si possa commet­tere un grave peccato è questa: l’intelligenza deve conoscere il gran male che sta per fare e deve conoscerlo pienamente.

Perciò non è peccato mortale:

  1. – Il male che si fa per ignoranza. So­no incapaci di peccare i piccoli, prima del­l’uso di ragione; i pazzi; i veri deficienti. In costoro manca la conoscenza del male che fanno e quindi sono esenti da colpa.
  2. – Il male che si fa con poca rifles­sione, quasi distrattamente o istintivamente, o per dir meglio con sorpresa. In simili casi, tutto al più, si potrebbe essere colpevoli di peccato leggero.
  3. – Il male che si fa quando l’intelli­genza è offuscata. Questo, ad esempio, può avvenire nel dormi-veglia, perché in quel tempo si è intontiti e la conoscenza del male non può essere piena. Nel dormi-veglia la colpa non può superare il limite del peccato veniale o leggero.

La piena conoscenza deve esserci prima di fare il male; se si ha dopo, manca la colpa. Per chiarificazione si porta un esempio. Un tale ascolta una predica ed apprende che una certa mancanza è peccato mortale. Costui deve cure a se stesso: Sinora non l’ho saputo e quindi sinora non ho peccato. Da oggi in poi, essendone ormai a conoscen­za, peccherò gravemente se ricadrò in quel­la mancanza.

Data l’importanza del principio di cono­scenza del male, non è lecito concludere: Meglio non istruirsi e così non si è respon­sabili del male che si commette! – La ra­gione è che si ha il dovere di istruirsi, per­ché l’ignoranza colpevole delle verità della Fede e della legge morale è un peccato con­tro il primo comandamento.

Gesù disse agli Apostoli: « Andate ed istruite tutte le genti, battezzandole nel no­me del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, dicendo loro di osservare ciò che ho comandato a voi » (Matteo, XXVII-19).

Se il Papa, i Vescovi ed i Sacerdoti han­no il dovere d’insegnare, i fedeli hanno il dovere d’istruirsi.

Volontà.

La volontà è la facoltà « regina » della nostra anima; è proprio essa che ci decide a fare il bene o il male.

Quando si pecca non sono le mani a pec­care, o gli occhi, o la memoria, o l’intelli­genza, ma è sempre e soltanto la volontà.

Finché la volontà non si decide, non c’è peccato; inoltre, perché si possa peccare, si richiede che la volontà sia pienamente riso­luta di trasgredire un comandamento di Dio.

Appena la volontà si decide al male, il peccato è già commesso, ancorché esterna­mente il male non si sia ancora operato. Un esempio.

Una persona, ricevuta una grave offesa, dice in cuor suo: Voglio uccidere quel tale. So di commettere un delitto e di mancare al quinto comandamento di Dio; tuttavia vo­glio vendicarmi!

Presa la deliberazione, il peccato mortale è già fatto, quantunque il delitto si consumi dopo giorni o mesi, oppure non si consumi per timore del carcere.

In questo esempio citato c’è: la materia grave, la piena conoscenza del male e la piena volontà di farlo.

Quando si resta in dubbio se la cono­scenza o la volontà siano state piene o no, essendoci il dubbio, non si è responsabili della colpa grave; per conseguenza non si è tenuti ad accusarsene in Confessione. Tut­tavia, chi volesse confessarsene dovrebbe dire: Sono in dubbio se io abbia peccato.

Esistente il dubbio, di cui ora si parla, ci si può accostare anche alla santa Comu­nione. È consigliabile far precedere un atto di dolore, dicendo ad esempio: Gesù mio, chi sa ti abbia io offeso in qualche modo, perdonami! Non voglio offenderti mai più!

Cosa fare?

Passata che sia la tentazione, ci sono tre casi: o si resta dubbiosi, o vincitori, o vinti. Cosa fare?

Nel caso del dubbio si è spiegato or ora come comportarsi.

Quando si è vinta la tentazione, si rin­grazii il Signore, dando a Lui l’onore e la gloria, perché è per l’assistenza divina che si esce vincitori da una lotta spirituale e non per valentia personale o per forza umana.

Quando disgraziatamente si cede alla ten­tazione, non bisogna abbattersi. Chi cade, si rialzi e subito!

Occorre allora umiliarsi davanti a Dio, riconoscendo la propria miseria e debolezza. Si chieda perdono al Signore, con tutto il cuore, promettendo di confessarsi al più presto; l’atto di dolore sia fatto con più perfezione possibile, cioè, più per il dispia­cere di avere offeso Dio, che per il timore dei suoi castighi.

È molto fruttuoso il fare una buona pe­nitenza volontaria dopo aver ceduto a qual­che grave tentazione.

Contro la fede.

Una tentazione veramente molesta è quella contro la Fede. Possono venire in mente questi o simili pensieri: Ma Dio realmente c’è? … Gesù è proprio il Figlio di Dio, fatto uomo? … L’Ostia con­sacrata è davvero Gesù vivente? … Il Pa­radiso e l’inferno sono realtà o supposizio­ni? … E’ da credere che l’inferno non finirà mai? Com’è possibile che Dio, da buon Padre, punisca così uno suo figlio? … I morti un giorno risorgeranno? … Gli articoli del Credo, insegnati dalla Chiesa Cattoli­ca, sono proprio verità indiscusse?

Molti fedeli, che credono con semplicità, come i bambini, neppure pensano che pos­sano esserci simili tentazioni. Eppure ci so­no e sono forti e potrebbero formare il tormento di un’intera vita.

Come regolarsi?

Il volere ragionare troppo, il volere ad­dentrarsi più del necessario nelle verità della Fede, il volere penetrare a fondo ogni singola sublime verità rivelata da Dio è grande fatica e spesso sprecata. Le verità divine superano la capacità del­la mente umana; bisogna accettarle con sem­plicità. Si capisce ciò che è possibile capire, perché l’intelligenza umana davanti ad una verità divina è come un piccolo recipiente davanti al mare. Il bicchiere prende dal ma­re soltanto quel poco di acqua, che è capace di contenere.

I Dottori della Chiesa e i grandi Teologi, che devono insegnare ai fedeli con gli scritti e con la predicazione, giungono solo là, ov’è possibile giungere, contentandosi d’illustrare le verità rivelate, e concludono come conclu­se San Tommaso d’Aquino nell’inno euca­ristico del Pange lingua: « Praestet fides supplementum sensuum defectui » e cioè: Supplisca la Fede al difetto dei sensi.

Bisogna conoscere, ma con sobrietà.

Santa Teresina.

Quando si è assaliti da tentazioni contro la Fede, si dica: Signore, io credo quanto Voi avete rive­lato e lo credo perché l’avete rivelato Voi, che siete Verità infallibile! … Signore, ac­crescete in me la Fede!

Non sono le anime, per così dire, piccine che possono avere le tentazioni, ma anche certe anime grandi, quale Santa Teresina del Bambino Gesù.

A questa Santa il demonio suggeriva: Cosa hai guadagnato a lasciare le como­dità e le gioie della tua famiglia, per vivere incompresa in un convento?

Le tue sofferenze sono sprecate! … Non c’è né Dio né un’altra vita!

Perché perdi il tempo a seguire quel Tale, che è morto in croce da malfattore? –

La Santa, anima delicatissima, si afflig­geva, resisteva e con tutto ciò la tentazione si intensificava.

Un giorno ebbe un’idea luminosa, che attuò. Si praticò una piccola ferita e poi con il suo stesso sangue scrisse la formula del Credo; teneva sul petto la preziosa cartina e quando il demonio la tentava, portava la mano al petto dicendo in cuor suo: Io cre­do tutto ciò che ho scritto col mio sangue!

Scrisse la Santa nella sua Autobiografia: – Ho fatto più atti di fede da qualche anno in qua, anziché in tutto il resto del­la mia vita. –

Quanti meriti, dunque, acquistò la San­ta, a motivo di quella tentazione, meriti che non avrebbe acquistati se Dio non avesse permesso quella tentazione.

Ad imitazione di Santa Teresina, chi ha tentazioni contro la Fede non si scoraggi e non sprechi il tempo a pensare; piuttosto faccia degli atti di fede con semplicità e serenità.

La bestemmia.

Più di una persona, specialmente del ses­so femminile, si è presentata allo scrivente in uno stato da fare pena.

– Reverendo, soffro assai! Ho la testa piena di bestemmie. Sento nella mente pa­role contro Dio e contro i Santi. Talvolta mi sembra di pronunciarle anche con la boc­ca. Prego, sí! Ma che valore hanno le mie preghiere, dato che con la mente bestem­mio? Vorrei comunicarmi tutti i giorni, sta­re sempre vicino a Gesù e dargli piacere; ma sento di essere un’anima indegna e spes­so tralascio la Comunione. Il Confessore mi dice: Lei non pecca; può comunicarsi sem­pre! Ma io non so più cosa fare! –

Per buona sorte sono poche le persone soggette a questa tentazione.

Nel caso ora esposto si tratta di un sem­plice lavorio mentale. Per effetto dell’esau­rimento nervoso la mente può fissarsi sulla bestemmia; però non si commette peccato, neppure leggero, perché non c’è nulla di volontario. Infatti, se si chiedesse a chi ha questa tentazione: – Lei vorrebbe bestem­miare apposta, con la bocca, per offendere Dio e sfogare la sua collera contro Gesù? – la risposta sarebbe: – Ma io non vorrei offendere Gesù, anzi vorrei amarlo! –

E’ questo il modo di comportarsi: Convincersi che non si pecca. Distrarsi e non far caso di quanto passa nella mente. Non stancarsi a fare esami di coscienza, per­ché l’esaminarsi è tempo sprecato. Di tanto in tanto dire: Benedetto Dio nei suoi An­geli e nei suoi Santi! –

Più di tutto si curi l’esaurimento nervoso.

Contro la carità.

Una tentazione forte e non rara è quella contro la carità, che dalla semplice antipatia può passare all’avversione ed all’odio.

Quando si riceve un rifiuto, un’umilia­zione, una grave offesa, resta ferito il na­turale amor proprio, o superbia. Sorge su­bito nella mente un cumulo di pensieri ten­denti all’avversione e, se non si sta vigi­lanti, si progettano disegni di vendetta.

Finché nel primo momento tutto si svol­ge nella mente, senza il controllo dell’in­telligenza e senza l’accettazione della vo­lontà, manca il peccato, perché si tratta solo di atti istintivi. Ma appena si rientra in se stessi, bisogna reagire alla tentazione per non soccombere. Il demonio approfitta del momento propizio per soffiare sul fuoco e fare sviluppare un grande incendio da una piccola favilla.

Si suggerisce cosa fare:

  1. – Appena ci si accorge dell’assalto diabolico contro la carità, subito chiudere la porta della volontà, dicendo: – Signore, non intendo acconsentire ai pensieri ed ai sentimenti, che possono offendere la ca­rità! –

Compiendo quest’atto di protesta, si resti tranquilli.

  1. – Se in seguito si affacceranno alla mente i torti ricevuti, le parole offensive udite ed i mali trattamenti, non si stia a ragionare, perché più si vuol ragionare e più l’amor proprio ferito, sobillato dal de­monio, reclama i suoi diritti. Guai a secon­dare la superbia ferita!

Rimedio efficace assai è il dire: Gesù, come Tu perdoni a me i peccati, così io perdono, agli altri i torti che mi fanno! – Ovvero dire: Gesù, ti offro la mia pena a penitenza dei miei peccati! –

Ed è ancor meglio dire: Gesù, benedici chi mi ha offeso! Ricambia con gioia e be­nedizione chi mi ha dato tanta amarezza! –

Quando saltuariamente si presentasse al­la mente l’immagine di chi abbia mancato verso di noi, si approfitti per dire un’Ave Maria per l’anima sua.

Chi si comporta così, ottiene vittoria, ac­quista fortezza, mette in fuga il demonio e si unisce di più a Gesù. 

Quando si riceve la Comunione o si recita il Rosario, la prima persona per cui pregare sia quella verso la quale si sente avversione.

Se Dio presenta l’opportunità di essere utile a chi abbia mancato nei nostri riguardi, non si lasci sfuggire l’occasione.

Oggi non sono disposta!

Una famiglia numerosa era a tavola. Es­sendo giorno festivo, alla fine del pranzo fu dato il dolce.

Si sa che tanto i piccoli quanto i grandi non rinunziano facilmente ad un dolce. Ep­pure la figlia maggiore quel giorno vi ri­nunziò; con un sorriso lo porse alla mam­ma, dicendo: Mangialo tu! Oggi non sono disposta! –

La mamma non trovava la ragione di quella privazione e per il momento non chiese nulla. ­

Ma nel pomeriggio  chiese: Sarei curiosa di sapere perché ti sei privata del dolce!

– Non vorrei dirtelo; ma poiché po­trebbe essere di giovamento anche a te, lo dico, a patto che non ne parli con altri. Una amica mi ha oggi offesa; mi son sentita bol­lire il sangue; mi sono frenata per amore di Gesù ed è ritornata in me la calma. Quan­do a tavola mi son trovata davanti al dolce, mi è venuta in mente l’amica. Ho avuto una ispirazione ed ho detto nel mio cuore: Gesù, rinuncio al dolce per tuo amore; il mio sa­crificio accettalo a bene dell’anima, anzi gra­discilo come se te l’offrisse l’amica e non io. Intanto, o Gesù, benedici lei e me! –

Ansietà di spirito.

Una tentazione pesante è questa: Ho peccato nella mia vita. Ma Dio mi ha per­donato? … Ho fatto tante Confessioni. Ma ho accusato bene i miei peccati? …

Questo timore e questo dubbio, alimentati spesso dall’opera diabolica, tarpano le ali della vita spirituale e rendono l’anima triste e oppressa.

Come superare tale tentazione?

  1. – Pensando che Gesù è buono, che in un attimo cancellò una vita di scandali a Maria Maddalena e che dietro poche pa­role di pentimento promise subito il Para­diso al buon ladrone.

Si bacino spesso le sante Piaghe di Gesù, dicendo col cuore: Qui metto tutte le mi­serie della mia vita! O buon Gesù, pietà di me!

Come può Gesù, che è tutto bontà e mi­sericordia, non perdonare ad un’amica con­trita ed umiliata?

  1. – Riflettendo sulle Confessioni passa­te, se ci fossero dei forti e veri timori, si manifestino al Confessore e poi si stia nella serenità dello spirito, senza preoccuparsi più del passato.

Il cuore turbato è il campo ove il demo­nio guadagna sempre qualche cosa.

Tentazione allarmante.

Di buon mattino mi ero messo in viag­gio; stavo sul direttissimo. Mentre il con­trollore vistava i biglietti del mio compar­timento ed io gli scambiavo qualche parola, il treno improvvisamente si fermò, pur es­sendo in aperta campagna.

Il controllore si allontanò pochi minuti e poi, ritornato, disse: Un uomo è morto sotto il treno!

Da Sacerdote, nella speranza di essere ancora in tempo a dare l’Assoluzione sa­cramentale, scesi dal treno per andare e vedere. Nulla da fare! Il corpo era presso le rotaie e la testa dell’infelice stava a due metri, in una scarpata.

Era un uomo sugli ottant’anni. Forse solo, privo di affetto e di tutto, stanco del­la vita, in un momento di abbattimento decise di troncarsi la vita.

Si compatisce un vecchio, forse poco con­sapevole dell’atto inumano per effetto del­la arterio-sclerosi.

Ciò che oggi è allarmante è la tentazione del suicidio, tentazione terribile, che gior­nalmente ha le sue vittime, come appare dagli articoli dei giornali.

E non sono tanto i vecchi, quanto i gio­vani ad essere tentati.

Tra le lettere che ho sul tavolo, c’è quel­la di una giovane, che per due volte ha tentato di avvelenarsi.

Una madre, venuta a trovarmi con la fi­glia, mi diceva qualche tempo fa:

– Questa figlia si è gettata dal balcone e non è morta. Ancora un paio di volte ha tentato di uccidersi. Non so più cosa fare!

Mi sforzai di convincere la giovane a non fare simili pazzie e mi rispose:

– Ciò che lei dice è giusto. Ma io so­la so che cosa provo dentro di me; nessuno può averne un’idea! –

Un’altra madre, vestita a lutto, mi dice­va: Stavo nella mia cameretta, quando entrò la figlia di ventiseí anni. Mi abbracciò e disse: Mamma, ti saluto per sempre! Ho preso or ora il veleno! … E così ho per­duto la figlia! –

In vista di tanti attentati di suicidio, un tedesco, vero filantropo, da alcuni anni ha attuato una buona iniziativa. Ha comunicato per radio il numero del suo telefono, dicen­do: Chiunque avrà deciso di togliersi la vi­ta, prima di suicidarsi mi chiami a telefono.

Altre buone persone, anche in Italia, già ne seguono l’esempio, pubblicando il loro numero di telefono. L’iniziativa ha preso il nome di « Telefono Amico ».

Si spera che mettendosi qualcuno a col­loquio con questi disperati, si possa riuscire a calmare i loro nervi, incoraggiandoli a su­perare le difficoltà della vita.

Motivi.

Come spiegare tanti tentativi di suicidio? La vita irreligiosa moderna influisce as­sai. Si è falsato da molti il fine della vita, cioè si vuole vivere soltanto per godere. Quando ci si trova davanti ad una forte sofferenza, si conclude: Non ne posso più! È meglio farla finita!

Siccome si vuol trascorrere la vita pas­sando da piacere a piacere, non essendo al­lenati al dolore, ci si abbatte per poco; talvolta per arrivare al suicidio basta una boc­ciatura agli esami, un affare mal riuscito, una disillusione d’amore, un rifiuto reciso avuto dai genitori e spesso il sentire il vuoto nel cuore. Può spingere al suicidio la vanità di far parlare di sé i giornali.

Il demonio potrebbe tentare anche per­sone timorate di Dio, in certe ore nere del­la vita. Bisogna allora pregare, domandare la forza a Dio e respingere subito e con energia l’insinuazione diabolica.

Poiché queste pagine sono dirette alle ani­me pie, si raccomanda loro di non dimentica­re nella preghiera quotidiana le persone di­sperate, che sono in procinto di suicidarsi, affinché il Signore ne abbia misericordia.

Contro la purezza.

Le tentazioni specifiche, di cui si è par­lato, riguardano certe categorie di anime; in­fatti non tutte le persone sono tentate con­tro la Fede, o di bestemmia, o di suicidio.

Ma c’è una tentazione che riguarda tutti ed è quella contro la virtù della purezza.

Poiché da tutti si è tentati e con veemen­za e di giorno e di notte e si è tentati in mille modi, in vista di ciò è bene trattare l’argomento un po’ diffusamente.

Iddio ha creato l’uomo e la donna per attuare i suoi disegni nel mondo. Ciò che il Creatore ha stabilito è santo.

E’ prescritta la purezza e del corpo e del­lo spirito. A tale scopo Dio ha dato due comandamenti: il « sesto » che riguarda gli atti, ed il « nono » che riguarda i pensieri e i desideri.

Mancare volontariamente a questi ordini divini è peccato mortale.

Chi ha buona volontà, con la grazia di Dio, può mantenersi puro.

C’è la purezza coniugale, prescritta a co­loro che sono legati dal vincolo del matri­monio, e c’è la purezza verginale, prescritta a chi non ha il vincolo matrimoniale, cioè ai celibi, alle nubili, ai vedovi e alle vedove.

A chi volesse ulteriori istruzioni in propo­sito si consiglia il libretto « Perla e fango » (Libreria Sacro Cuore – Via Lenzi – Messina).

Il divorzio.

La corrente dell’immoralità vuol travol­gere tutto; vuole abbattere anche la santità del matrimonio.

Pure nelle nazioni cattoliche, quale è l’I­talia, si è fatto di tutto per avere la legge del divorzio. Essendo il problema del divorzio di capitale importanza, si d’anno delle delu­cidazioni.

Il matrimonio è il Sacramento che dà all’uomo e alla donna la grazia di convivere santamente e di educare cristianamente i figliuoli.

Questo Sacramento lega gli sposi con vin­colo indissolubile. Nessuna autorità umana, neppure il Capo Supremo della Chiesa Cat­tolica, ha il diritto di scioglierlo, finché gli sposi sono in vita. Soltanto la morte di uno dei coniugi spezza tale vincolo.

L’indissolubilità è legge divina; infatti Gesù Cristo ha detto: « L’uomo non separi ciò che Dio ha congiunto » (San Matteo, XIX-6).

Essendo il divorzio proibito da Dio, pecca gravemente l’uomo che lascia la propria mo­glie per convivere con un’altra donna, come pecca la donna che abbandona il proprio marito per convivere con un altro uomo.

Ancorché in una nazione ci sia la legge del divorzio, chi si serve di essa per divor­ziare, commette peccato mortale, anzi si lega ad una terribile catena di peccati mor­tali quotidiani.

I divorziati sono pubblici peccatori ed i loro figli sono figli del peccato.

Per conseguenza i divorziati non possono né confessarsi, né comunicarsi, né ricevere alcun altro Sacramento; non sono ammessi a fare da padrini al Battesimo ed alla Cre­sima; i loro cadaveri non possono portarsi in chiesa per i funerali e la loro tomba non riceve la Benedizione.

Queste sono le pene ecclesiastiche riser­vate a chi divorzia.

Nei rapporti con Dio i divorziati sono molto da compiangersi; vivendo essi nello stato abituale di peccato, sono sotto la spa­da della Divina Giustizia. Guai a morire in tale stato! Li attende l’inferno, ove sconteranno in eterno i pochi anni di vita di pia­cere. Il Creatore, che ha dato una legge, es­sendo infinitamente giusto, non può non pu­nire chi la calpesta.

Riflettere bene!

Il male non si deve fare, né consigliare, né approvare, né desiderare e né vi si deve coo­perare in qualsiasi modo. Pecca perciò chi fa un omicidio, che lo consiglia, chi l’approva e chi vi coopera in qualche modo. Questo prin­cipio di morale è per tutte le violazioni della legge di Dio e quindi anche per il divorzio.

Pecca, dunque, gravemente chi fa il di­vorzio, chi lo suggerisce, chi lo desidera, chi l’approva e chi vi coopera.

Davanti a Dio sono rei di grave colpa i Deputati al Parlamento che votano per la legge del divorzio, coloro che hanno eletto tali Deputati sapendo che un giorno avreb­bero votato per questa legge immorale; so­no pure colpevoli i pubblicisti, che con libri o con giornali propugnano il divorzio.

I peccati d’immoralità che si commettono in una nazione, forse per secoli, a motivo della legge del divorzio, sono imputabili non soltanto ai divorziati, ma pure a coloro che hanno cooperato per averne la legge, essen­done responsabili in causa.

Quale tremenda responsabilità apporta la legge del divorzio!

Gli uomini e le donne immorali avranno da fare un giorno i conti con Dio, col quale c’è poco da scherzare! …

Sul matrimonio ed in particolare sul di­vorzio ci sarebbe molto da dire. Si rimanda il lettore ad altri scritti, di cui sono fornite le Librerie cattoliche.

Gl’incendi.

Una sera d’estate, ad ora avanzata, stavo in terrazza e contemplavo un grande incen­dio, che si svolgeva sui Monti Peloritani, poco distanti da Messina. In seguito, passando in macchina per quei pressi, vidi il danno cau­sato dall’incendio.

Un’altra sera, pure d’estate, volgendo lo sguardo al di là dello Stretto, vidi sulle alture di Aspromonte, in Calabria, non un in­cendio, ma parecchi incendi, distanti tra loro. È da pensare: si mettono iscrizioni e tar­ghe lungo gli stradali « Pericolo d’incendio » e gl’incendi avvengono ugualmente!

Quale causa potrebbe produrli in un bo­sco? … Forse una vendetta privata, oppure una cicca di sigaretta, ancora accesa, gettata distrattamente da un fumatore, oppure qual­che cosa di simile.

Ma c’è un’altra causa ed è l’autocombu­stione, cioè l’incendio che si sviluppa da se stesso. La reazione chimica, dovuta alla fer­mentazione di certi elementi in decomposi­zione, produce calore ed essendo i cespugli ed il fogliame abbastanza caldi per l’azione del sole, avviene l’incendio.

Ciò che si verifica nel mondo vegetale, sotto altro aspetto si verifica pure in quello animale; e poiché il corpo umano è soggetto alle leggi del mondo animale, si deve vigilare sull’autocombustione.

Nel corpo umano possono svilupparsi im­provvisamente degli incendi passionali, anche senza una causa esterna determinante. Non bisogna né meravigliarsi né tanto meno sco­raggiarsi; si faccia però di tutto per non ali­mentare l’incendio, anzi per spegnerlo.

L’incendio corporale si doma col conser­vare la calma dello spirito, convinti che ciò che non è volontario non può essere peccato.

Il pensiero agisce potentemente sul cor­po; perciò l’autocombustione si supera d’or­dinario col volgere la mente ad altro, col cambiare posizione, passeggiando, applican­dosi a qualche lavoro, cercando onesta com­pagnia ed anche … cantando o zufolan­do… come diceva un oratore ad un gruppo di giovanotti universitari.

Più che tutto giova il pensare serena­mente a Dio, alla morte, al Paradiso ed il recitare qualche preghiera.

Una visione.

San Smeraldo Abate, a proposito di ten­tazioni, racconta un fatto. Dice che un san­to monaco vide una volta due demoni, che stavano ragionando tra loro.

Uno domandò: – Come te la passi col tuo monaco?

– Molto bene, perché gli presento alla mente un cattivo pensiero ed egli si ferma a rimirarlo. Dopo torna a fare riflessione: co­me andò quel pensiero, se vi si trattenne, se vi ebbe qualche colpa, se gli fece resi­stenza, donde ebbe origine, se vi diede occa­sione, se fece tutto ciò che poteva per resiste­re. In tal modo gli faccio sprecare il tempo. Rispose l’altro demonio:

– A me non succede così! Il mio mo­naco è furbo. Appena gli presento un cat­tivo pensiero, rivolge subito la mente ad al­tro, ovvero si leva da sedere e dà mano a qualche occupazione. Per quanto io faccia, non riesco a vincerlo -.

Il Signore avrà permesso questa visione affinché serva d’insegnamento alle anime tentate, specialmente contro la purezza.

Tempo pericoloso.

L’autocombustione nei magazzini di fieno può avvenire anche in periodo invernale; ma nei boschi si verifica sempre in estate, tempo di forte calore.

Anche per il corpo umano ci sono i pe­riodi più pericolosi.

E’ un periodo particolare l’età, dai dodici anni circa ai cinquanta o ai sessanta.

È un pericolo la stagione dell’anno; cioè il principio della primavera e tutta l’estate. E’ pure un gran pericolo l’ora del giorno, cioè l’ora in cui comincia il riposo notturno e quella del primo mattino.

Sono ore di autocombustione quelle che seguono il pranzo.

Chi vuole, con l’aiuto di Dio non si brucia, come non si bruciavano tra le fiam­me materiali Sant’Agata, Santa Lucia e Sant’Agnese.

La purezza del corpo giova alla salute, conserva la pace del cuore, attira le bene­dizioni di Dio e rende simili agli Angeli, in compagnia dei quali un giorno i puri godranno in Cielo.

Il toro inferocito.

Nel 1932 dimoravo a Trapani. Avvenne allora un fatto curioso. La città è una lun­ga lingua di terra che s’interna nel mare, dando a chi la guarda dal vicino Monte Erice l’aspetto di una falce.

Un giorno alla banchina del porto si met­tevano giù dalla nave molti capi di bestia­me. Chi sa come, un toro riuscì a scappare. È da immaginarsi il panico!

La bestia inferociva sempre più, e per l’inseguimento e per le grida d’allarme.

In meno che si dica le vie si spopolarono; chi correva e chi si rifugiava in qualche en­trata. Il momento fu tragico quando il toro imboccò il Corso Vittorio Emanuele, ove hanno sede parecchie scuole statali.

Si salvi chi può!

Guardie e poliziotti con la pistola in mano seguivano il toro, finché questo entrò in un portone. Seguí allora una scarica di pallot­tole e la povera bestia si abbatté.

Un toro inferocito, che corre pazzamente lungo le vie di una città, può fare delle vittime.

Lucifero, o Satana, che è il principe delle potenze infernali, intelligente oltre ogni dire, sa bene che il peccato proprio dell’uomo e della donna è quello contro la purezza; sa pure che chiunque si abbandona a questo peccato, poco per volta perde anche la Fe­de e facilmente può andare all’inferno.

Lucifero, per permissione di Dio, ha il po­tere di mandare in giro per il mondo i suoi satelliti, cioè i demoni, affinché tentino al male, senza però violentare la libertà umana.

Non sappiamo in che quantitativo i de­moni vaghino per il mondo, però sappiamo che per lo più tentano contro la purezza, non dando tregua ad alcuno. Se è terribile un toro inferocito, e guai a chi gli si accosta incautamente, più temi­bili sono i demoni dell’impurità, arrabbiati per aver perduto il Paradiso e gelosi che vi vadano le creature umane.

I demoni, essendo puri spiriti, non si ve­dono, tranne quando Dio permette che pren­dano temporaneamente sembianza umana, come, secondo che narra la sacra storia, è avvenuto di vedere a certi Santi.

Dunque, questi tori infernali seminano la strage nel mondo, suscitando pensieri e desideri impuri, ispirando ed appoggiando le iniziative del male, quale sarebbe oggi la moda scandalosa, togliendo dal cuore umano la speranza della vita di oltretomba, metten­do il dubbio sull’esistenza di Dio, annullan­do il timore dell’inferno e presentando la vita presente come una partita di piacere.

I demoni della fornicazione, conoscendo la tendenza dell’uomo e della donna verso l’immoralità, per spingere al peccato si ser­vono di tutto: di persone, di oggetti, di luoghi, di spassi, ecc.

Fluido magnetico.

Avevo tenuto una conferenza a Torino; alla fine un Sacerdote mi presentò un gio­vane, sui venticinque anni, dicendo: – Costui ha il fluido magnetico. Vor­rebbe intrattenersi un po’ con lei -.

Tra me ed il giovane si svolse un col­loquio interessante: – Ha qualche titolo di studio?

– Sono ragioniere. Vorrei divenire Sa­cerdote. Ho chiesto consiglio anche a Pa­dre Pio da Pietrelcina.

– Faccia di tutto per rispondere alla chiamata del Signore. Passando ad altro, dica un po’: Come utilizza lei il suo fluido magnetico?

– Curo le malattie.

– Quando e come si è accorto di que­sto dono di Dio?

– Da ragazzo avvertivo niente; crescen­do negli anni, qualche volta avvertivo un po’ di malessere e stavo a disagio. Mi ac­corsi che mettendo le mani sopra qualcuno, stavo meglio, poiché il fluido del mio corpo si scaricava in parte su colui che toccavo. Così poco per volta compresi sempre me­glio che il mio corpo è un campo magnetico speciale. Per mia iniziativa e per suggeri­mento di altri, provai ad imporre le mani sui sofferenti ed essi o miglioravano o gua­rivano. Consapevole di ciò, cerco di fare del bene. Se qualcuno, per esempio, ha mal di testa, basta che per alcuni minuti io vi ponga le mani sopra e cessa il dolore. Al mio contatto il fluido si scarica sulla par­te ammalata, agisce in bene e l’organismo si rimette. Ormai con la pratica, ancorché gli ammalati non mi dicano nulla del loro male, imponendo le mani indovino la malattia. Difatti, dopo che mi presentano le lastre della radiografia, tutto risulta come io ho di già constatato.

– Che cosa avverte per individuare un male

– Quando la mia mano è a contatto del­la parte ammalata, il fluido si scarica in ab­bondanza in quel posto e sento un formi­colio particolare alla mano. Per certi di­sturbi bastano dieci minuti circa d’imposi­zione delle mani; per altri mali è necessario ripetere l’imposizione a distanza di giorni. Se lei ha qualche male, le do una prova.

– Ho un piccolo disturbo al petto; sarà un trauma per sforzi fatti.

– Ed allora, permetta! Non occorre sco­prirsi; impongo le mani sull’abito -. Prima ancora che il giovane mi toccasse, già ad un palmo di distanza, avvertii nell’or­ganismo ciò che si avverte appena penetra nel corpo il liquido di una iniezione endo­venosa. Procurai di non suggestionarmi. Il contatto delle mani produceva abbon­dante calore. Presto il giovane individuò il punto preciso del mio disturbo.

Influsso malefico.

Il fluido magnetico è qualche cosa di mi­sterioso, che ancora sfugge ai ritrovati della scienza; se ne constatano solo gli effetti. Coloro che ne sono forniti in abbondanza, siccome d’ordinario l’utilizzano nel curare le malattie, sono chiamati « guaritori » op­pure « salvatori ».

Nel campo morale c’è un’altra specie di fluido; invece di chiamarlo fluido benefico, si chiami influsso malefico. È qualche cosa di diabolico, che sprizza da certe persone e da certi ambienti, provocante all’immoralità.

L’attuale società, forse più che in altri tempi, è satura di tale influsso, il quale agisce in male su tutti e su tutto. Hanno questo influsso: la televisione scandalosa, la minigonna, il rotocalco dei giornali, il foglio-réclame, l’affisso murale, ecc.

Nelle Litanie dei Santi c’è l’invocazione: Dallo spirito di fornicazione, liberaci, o Si­gnore!

Che il Signore liberi dall’influsso impuro le anime innocenti e che trattenga dal male le anime penitenti!

Guardarsi dal contagio.

In Colombia, nell’America Meridionale, c’è un paese di lebbrosi, Agua de Dios. Un visitatore, andando lì per osservare, diceva: « Ho constatato che taluni dei lebbrosi toccano apposta degli oggetti, affinché i vi­sitatori possano avere il contagio della loro malattia ».

Questi miseri agiscono male; meritano compassione.

Quelli che vivono nel fango dell’immo­ralità sono peggiori dei lebbrosi; hanno la disonestà loro e vogliono comunicarla agli altri, anzi sogliono indispettirsi contro chi vuole essere puro.

Guardarsi!

Un convegno di persone, in una famiglia, in un bar, in una sala di ricevimento o sul treno. I due o i tre … e forse più … si fan­no presto conoscere per quello che sono. E’ lo sguardo irrequieto, è il sorrisetto malizioso, è la maniera di vestire o di stare a se­dere, è la barzelletta equivoca, è il giornale cattivo che sta tra le mani … è tutto un assieme che manifesta il fango del cuore.

L’influsso malefico della disonestà dei due o dei tre comincia ad agire sui presenti col pericolo del contagio.

Bisogna evitare l’incontro con tali per­sone, perché costituiscono una vera tenta­zione. Se si è costretti da forza maggiore a stare presenti, si pensi ad altro e si rea­gisca con energia al loro cattivo influs­so; se non altro, se è possibile, si cambi posto.

La favola insegna.

L’antichissima favola del lupo e dell’a­gnello è sempre di attualità.

Lungo un torrente, ma in basso, stava un agnello a bere; lassù, in alto al torrente, stava un lupo, al quale venne la brama di mangiare l’agnello. Cercava un pretesto; per­ciò disse: – Non sporcarmi l’acqua!

– Se sto in basso, non è vero che ti sporco l’acqua!

– Tuo nonno una volta mi offese!

– Cosa c’entro io con mio nonno? – Intanto, mentre si parlava, il lupo si av­vicinava; poi spiccò un salto, avventò al collo l’agnello e l’uccise.

Un maestro, raccontata la favola, chiese agli alunni:

– Dunque, l’agnello perdette la vita. Di chi fu la colpa?

– Del lupo! – risposero a coro i ra­gazzi.

– No! – riprese il maestro. – La col­pa fu dell’agnello, perché, quando si accorse che c’era il lupo, doveva scappare; invece stette fermo, cominciò a chiacchierare e così gli fini male -.

La favola insegna a tutti, ma specialmente alla gioventù femminile.

Oggi sono le ragazze che vanno in bocca al lupo; non amano stare in casa e bramano la compagnia dei giovanotti. Le conseguen­ze sono: poca voglia di lavorare e di stu­diare, ribellione ai genitori, fughe, richieste di divorzio, attentati di suicidio, ecc.

Attenti al sesso!

Lo stato ordinario è quello del matrimo­nio; è necessario quindi fidanzarsi.

Il fidanzamento, periodo molto perico­loso, si svolga con serietà e secondo le norme della morale cattolica.

Una cosa poco lodevole è la troppa fa­miliarità con le persone di altro sesso, con la scusa della parentela, del vicinato, del­l’amicizia o della riconoscenza. Il fuoco e la paglia producono l’incendio!

Che male ci sarebbe nella familiarità con una buona persona di altro sesso? Eppure! Si prenda un pugno di terra santa; vi si metta sopra un poco di acqua benedetta. Cosa ne risulterà? … Un pugno di fango! Comprenda chi può comprendere.

Custodire i piccoli.

Venne a trovarmi in ufficio una signora, con la figlioletta di quattro anni. Mi ac­corsi che la bambina non poteva star fer­ma. Rovistava tutto, osservava e faceva con­tinue domande.

– Signora, – le dissi – ma questa bam­bina è troppo vispa! La tenga a freno e la domini mentre è ancora piccola.

– Reverendo, non ne posso più! È trop­po! Mentre attendevo nell’atrio per essere ricevuta, ho dovuto darle due schiaffetti.

Me ne combina sempre. L’altra sera erava­mo in piazza; un signore ed un ufficiale par­lavano con me. Questa birichina, senza far­sene accorgere, estrasse dal fodero la pistola dell’ufficiale, si pose nel mezzo della piazza e con l’arma in mano puntava sulle persone circostanti. Corremmo a toglierla di mano. Per fortuna la pistola era scarica -.

Questo episodio infantile faccia aprire gli occhi ai genitori ed a chi ha cura dei piccoli. I bambini oggi nascono, come si suol dire, con gli occhi aperti. Essendo piccoli non sono responsabili di ciò che fanno, ma si custodiscano bene, perché in fatto di pu­rezza potrebbero essere di tentazione ai grandi e potrebbero prendere l’abitudine del male senza comprenderne la gravità.

I ragazzi e le ragazze di nove o dieci anni, data l’atmosfera malefica che pervade il mondo, ne sanno oggi forse piú di quanto se ne sapeva prima oltrepassati i quindici anni.

Attenzione particolare ai precoci! Che i piccoli siano e crescano puri!

« Chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una ma­cina da mulino e fosse sommerso nel pro­fondo del mare » (San Matteo, XVII-6).

Moda.

 Quanta stranezza nella moda femminile! Si è giunti al ridicolo ed al ributtante.

Sino al principio di questo secolo le don­ne erano vestite con decenza, cioè, la veste ai piedi e le maniche ai polsi; ma anche allora c’erano delle stranezze; infatti talune, per distinguersi dalle altre, portavano la ve­ste con la coda; più lunga era la coda e più si era ammirate. La veste prese tali proporzioni che fu necessario che una don­na andasse dietro ad un’altra donna per sostenerle la coda.

Era troppo; ma l’abito di moda era quello e bisognava appagare la vanità muliebre. Poco per volta scomparve la coda; la ve­ste sino ai piedi era comune. Al solito, la vanità cominciò a far ridurre la naturale lunghezza, per apparire con una certa aria di modernità. Prima la veste si accorciò di mezzo palmo, poi di uno e poi quasi di due. Quando la veste femminile giunse al gi­nocchio, ci fu un allarme di meraviglia. Al­lora venne fuori una cartolina del pubblico: Un bambino, sopra i tre anni, piangeva lungo la via. Uria guardia gli domandò:

– Perché piangi?

– Ho perduto la mamma!

– Ma tu devi stare sempre vicino alla mamma; devi stare attaccato alla sua gonna! – Non ci arrivo! – esclamò il bambino. La barzelletta uscita in quel tempo è og­gi una triste realtà. La minigonna e la mi­crogonna non permettono più che i bimbi possano aggrapparsi alla veste della mamma. Certe donne cattoliche, dette tali soltanto perché battezzate, dovrebbero imparare la decenza del vestire dalle buddiste e dalle maomettane. La donna vestita indecentemente appare forse più bella? Al contrario! Desta meraviglia e spesso ribrezzo.

Qual è il movente del nudismo femmi­nile? In piccola parte è la vanità; in gran parte è la disonestà. I primi responsabili di tanto marciume sono i genitori e poi le figliuole. Quale conto daranno a Dio!

L’uomo è tentazione alla donna e questa all’uomo. L’abito femminile indecente è cau­sa d’innumerevoli tentazioni, per cui può affermarsi che le donne che vestono così sono a servizio di Satana, sono portatrici di fango, rovina degli altri e più che tutto di se stesse.

Incontro con un’artista.

L’influsso malefico dell’impurità si riscon­tra pure, e non in piccola dose, nei diver­timenti mondani: balli, festival, canzoni, spiagge e particolarmente film e televisione. Desideravo incontrarmi con un’artista ita­loamericana, di nome Maria Iannella; l’in­contro avvenne a Roma.

La giovane artista, ricca di doti intellet­tuali e d’iniziative e più che tutto ripiena di amor di Dio, mi fece delle confidenze: « Amo Gesù e la Madonna. La mia vita di artista è un apostolato. Ma quante lotte e delusioni! Credevo di trovare almeno in Italia un campo fertile ed invece… Proprio qui, a Roma, centro del Cattolicesimo, tro­vo tanta irreligiosità ed immoralità.

« Sapesse quali sconcezze si vedono nelle rappresentazioni! Non è molto, un’amica in­sisteva che le facessi compagnia, poiché si dava in prima visione un super-spettacolo. Andai e dalle prime scene compresi che la rappresentazione trasmodava; dapprima ab­bassai lo sguardo e poi fui costretta a la­sciare la sala, con le lacrime agli occhi.

« Io che conosco l’arte e la vedo così deturpata, mi affliggo più degli altri a ve­dere certe cose. « Ormai ho deciso di ritornare a New York; sono stanca della vita di Roma ». Fin qui l’artista Maria Iannella, autrice ed attrice di drammi morali e religiosi, del­la quale s’interessano le Riviste cattoliche. Quanto male può produrre un film cat­tivo!

Scarica di bombe.

Durante la guerra del 1940-45 le incur­sioni aeree s’intensificavano sempre più. Erano cadute le bombe sopra un edificio della mia città. Andai a vedere. Che ro­vina! Un ammasso di macerie!

Nel primo momento furono portati via i feriti ed i cadaveri in vista; poi si proce­dette ad un lavoro delicato.

Non si vedeva altro che un campo di ma­cerie. Quanti, ancora vivi, stavano sotto quei rottami! Come salvarli? Non si poteva andare sulle macerie, perché il peso avreb­be accelerato la morte a qualche sottostan­te; non si poteva lavorare con i picconi, per timore di colpire qualche sotterrato.

Come Dio volle, con pazienza e pruden­za, si venne in aiuto a tanti infelici. In­tanto da molti si stava a guardare.

Un lembo di coperta emergente sui rot­tami richiamò l’attenzione dei lavoranti. Sotto vi si trovò una vecchia, che sembrava morta.

Fatto un po’ di largo, si procedette nel salvataggio e fu trovato un uomo morto, con lire venticinque mila tra le mani. Avvistato un grande armadio, si sgombrò all’intorno ed, appena aperto, ne vennero fuori due sposi, del tutto illesi. I presenti li salutarono con un applauso spontaneo. A poco a poco si salvò il salvabile. Ma quanti morti e feriti!

Danni morali.

Il male che produce un film cattivo è superiore a quello che può produrre una densa scarica di bombe sopra una città. Le bombe apportano danni materiali, al mas­simo possono ferire o togliere la vita al corpo. Il film immorale invece ferisce o toglie la vita della Grazia all’anima.

Chi potrebbe contare le tentazioni im­pure che assalgono gli spettatori durante una rappresentazione oscena? E poiché le tentazioni sono cercate, anzi si paga il bi­glietto per averle, come si può resistere agli assalti della passione?

Quante anime, di giovanetti e di fanciulle, entrano innocenti nella sala cinema­tografica e poi ne escono scandalizzate! Quante altre ne escono legate con doppie catene dai demoni della fornicazione!

Ciò che si dice del film, vale anche per la televisione.

Conoscere l’acqua.

Durante un Anno Santo mi trovavo a Roma; vi giungevano pellegrini da tutto il mondo.

Andavo un giorno lungo il Transtevere; era vicino a me una comitiva di pellegrini. Uno di costoro, vero omaccione, stanco e assetato, alla vista di una fontanella non ci pensò due volte e si attaccò al getto d’ac­qua. Frattanto uno dei presenti lesse e pro­nunciò forte le parole scritte sulla fonta­nella: « Acqua Marcia ».

Udito questo, la moglie dell’omaccione corse alla fontanella, afferrò il marito per un braccio, gridando: – Non bere! Non bere! Quest’acqua é marcia! Ti avveleni! –

Intervenni subito io: – Signora, si calmi! L’Acqua Marcia di Roma è buona, anzi la migliore della città! – Se me lo dice lei, che è Sacerdote, ci credo! … E allora, marito mio, continua a bere! –

In altra occasione ero in treno, sulla li­nea Roma-Torino. Trovandomi sulla piat­taforma della vettura, vidi passarmi vicino un ragazzetto. Non ne feci caso. Dopo un poco assistetti ad un dialogo.

Il ragazzetto, assetato, lasciando aperta la porta del gabinetto, cominciò a bere l’acqua del così detto « lavabo », acqua de­stinata solo ad uso esterno. Un signore, accortosi, disse: – Bambino, non bere! Quest’acqua ti fa male.

– Perché mi fa male? – Perché non è buona.

– Ma sì che è buona! – replicò il ra­gazzetto. Qui sta scritto « Acqua non pota­bile ». Perciò vuol dire che si può bere! –

Ce ne volle per convincere quel mar­mocchio!

Attenti all’acqua! Non tutta l’acqua, che momentaneamente disseta, è buona; potreb­be essere inquinata. Ci vuole poco a pren­dersi un tifo o un paratifo.

Ciò che si dice dell’acqua, si dica pure del cibo.

Lettura sana.

Il nostro corpo ha bisogno di acqua e di cibo; pure il nostro spirito, o anima, ha bisogno di nutrizione. Si nutrisce la mente con la ricerca della verità, accumulando co­gnizioni; l’intelligenza infatti ha sete di co­noscere, sete che si appaga con l’istruzione. Ci si può istruire in diverse maniere, ma la più comune è la lettura.

La lettura è acqua e cibo dello spirito. Guai se la lettura non è buona! L’intelli­genza allora si ottenebra e la volontà si perverte.

C’è in giro molta stampa; la maggior parte è pericolosa o addirittura cattiva. Per renderla più attraente, i pubblicisti presentano materia piccante, pornografia o scandalosa; inoltre arricchiscono le pagine d’immagini immodeste, ponendo in prima pagina di copertina, ad esempio, una giova­ne in minigonna o in costume da bagno.

Un giornale, o una rivista, o un fumetto, o un romanzo, messi su da pubblicisti senza coscienza, diventano una deleteria sorgente di tentazioni contro la purezza.

Non si lasci entrare in casa la stampa cattiva! Si vigili che non vada in mano spe­cialmente alla gioventù! Si distrugga quella che capitasse tra le mani!

Si diffonda piuttosto la stampa buona! Quando si viaggia, si lasci un buon libro sul sedile, quasi fosse stato dimenticato. Qualcuno prenderà e leggerà. Si spedisca per posta, in omaggio, all’insaputa del de­stinatario. Si regali il buon libro, come atto di carità! Donare un buon libro ad un’anima bisognosa o farlo penetrare in una famiglia di indifferenti, vale più che regalare un pran­zo ad un poverello.

Coloro che vestono con indecenza, o as­sistono a spettacoli non buoni, o leggono stampa cattiva, non dovrebbero recitare il Padre nostro. Se costoro dicessero: « Padre nostro … e non ci indurre in tentazione! », potrebbe il Signore rispondere: « Siete voi che cercate la tentazione, anzi voi siete di tentazione agli altri! Come osate chiedere a me la grazia di liberarvene o la forza per non cadere? ».

Lettori e lettrici di questo libretto, esa­minate la coscienza su quei punti della pu­rezza, che più vi riguardano!

SEGRETI DI VITTORIA

Un brutto quarto d’ora.

Ad ora notturna avanzata partivo da Villa San Giovanni sulla nave-traghetto per rien­trare in Sicilia.

Attraversare lo Stretto è delizioso, ma non così quando infuriano i venti, special­mente perché proprio allo Stretto s’incon­trano i due mari, il Tirreno e l’Ionio. Quella notte, dopo qualche attesa d’incer­tezza, il comandante della nave diede il via. Finché si era vicino alla terra, le onde agi­tate non mettevano paura; ma in alto mare, incalzando il vento e la furia delle onde, cominciò il panico.

La nave doveva resistere ed andare avan­ti; tutti i motori si misero in attività; si spensero tutte le luci. La nave frattanto oscillava da sembrare un’enorme altalena.

Io stavo a centro della nave per avvertire meno il disturbo; pregavo e con me altri. Finalmente si entrò nel porto; recitai un’Ave di ringraziamento, rivolto alla Ma­donnina, che domina sul braccio del porto. Si passò da tutti un brutto quarto d’ora. Anche la tentazione è un brutto quarto d’ora nella vita umana; è una tempesta spi­rituale. Occorre stare preparati e sapere come comportarsi all’occasione.

Sulla nave c’è tutto preparato: gòmene, pompe, salvagente, scialuppe, àncore, ignì­fugo … Dato l’allarme, ognuno si mette all’opera per salvarsi e salvare.

Trattandosi il tema delle tentazioni, si devono presentare i mezzi opportuni per non farsi travolgere dalle onde della ten­tazione.

Al principio della Passione, nel Getse­mani, Gesù agonizzava e sudava sangue; si accostò ai tre Apostoli che dormivano e, svegliatili, disse loro: « Vigilate e pregate, per non cadere in tentazione » (San Matteo, XXVI-41) .

Dunque, Gesù insegna quali siano i mezzi ai quali appigliarsi: la vigilanza e la pre­ghiera.

Se ne dà dettagliata spiegazione.

Vigilanza.

Non è raro il viaggio in treno di qualche detenuto. In tal caso in un compartimento della vettura si scrive: « Riservato ai de­tenuti ».

Entro l’anno, in cui scrivo, giunse alla stazione di Messina un compartimento ri­servato. Era portato fuori dalla Sicilia un assassino, uomo tetro. Lungo il tragitto era stato ben custodito. Alla stazione i gen­darmi, sicuri che tutto procedesse bene, sce­sero dalla vettura e s’intrattennero a chiac­chierare sulla banchina.

Appena il detenuto si vide solo nel com­partimento e si accorse che i custodi non vigilavano, si liberò alla meglio dalle pa­stoie, saltò fuori dallo sportello opposto alla banchina e prese la fuga.

Fu grande poi lo sgomento dei gendarmi. Essi ne erano i responsabili ed i gravemente responsabili. Seguirono telefonate alla Le­gione dei Carabinieri ed alla Questura Cen­trale; tutti in movimento per rintracciare subito l’assassino.

Non essendo facile l’impresa, l’indomani giunsero in città i cani-poliziotti; si fecero annusare ad essi certi indumenti del dete­nuto e poi furono sguinzagliati per la città, sotto il controllo dei veri poliziotti.

I cani, guidati dal fiuto, rifecero il per­corso fatto dal fuggitivo; era meraviglioso vederli andare avanti ed indietro, fermarsi definitivamente. Forse i forti odori estranei, specie il puzzo della benzina, avranno fatto disorientare i bravi cani.

Dopo due giorni di trepidanti ricerche, con l’aiuto delle foto, si riuscì a trovare l’assassino.

In conclusione: finché i gendarmi vigila­vano, tutto procedeva bene; cessata la vi­gilanza, cominciarono i pasticci.

Così nel campo spirituale: finché si vi­gila sulle cattive tendenze del cuore e del corpo, finché si fuggono le occasioni, finché si riflette sui lacci che Satana tende, non si cade nella tentazione. Ma se si vive alla leggera, poco curandosi della vita spirituale, cullandosi sui passatempi e sulle scarse gioie della vita, allora i nemici spirituali assal­gono e cantano vittoria sull’anima.

« Beati quei servi – dice Gesù – che il padrone al suo ritorno troverà vigilanti » (San Luca, XII-37).

Preghiera.

Per vincere le tentazioni è necessaria la forza che viene da Dio, forza che si ottiene con la preghiera. Per questo Gesù nell’Orto del Getsemani esortò gli Apostoli a pregare.

Gesù, nella preghiera del Padre nostro, tra le grazie da domandare a Dio mise an­che questa: « E non ci indurre in tenta­zione », il che vuol dire: Dà a noi, o Dio, la forza per non essere vinti dalla tentazione.

Recitando il Padre nostro, si ponga sem­pre mente alla suddetta invocazione, per im­plorare l’aiuto divino nella lotta con Satana.

Chi prega, si salva; chi non prega, si danna!

Qualunque preghiera è accetta a Dio ed ha la sua efficacia; ma se ne suggeriscono due in particolare. La prima è l’invoca­zione del divino aiuto per i meriti della vittoria riportata da Gesù su Satana, quando fu tentato per tre volte nel deserto. È del seguente tenore:

« Gesù, che con la tua onnipotenza di­cesti: Satana, ritirati e si adori il solo Dio, per i meriti di tale vittoria, concedimi la grazia che io non sia mai preda delle sue diaboliche suggestioni e metta sempre nei miei pensieri di volere piuttosto la morte, che aderire ai suggerimenti del maligno infernale.

« Signore Gesù, per il tuo santissimo Nome aiutami a trionfare delle mie pas­sioni, che sono e danno motivo a Satana di tormentarmi.

« Io, che ho fiducia nel tuo aiuto ed in quello della Madre tua divina, trionferò di sicuro ed avrò la salvezza eterna. Amen! ».

Questa preghiera sia recitata di tanto in tanto; ma in certi periodi, in cui gli assalti diabolici si susseguono con frequenza, sia recitata possibilmente ogni giorno.

L’altra preghiera che si consiglia è l’of­ferta del Divin Sangue. Il Sangue di Gesù Cristo, offerto all’Eterno Padre con fede, è mezzo efficacissimo per abbattere i nemici dell’anima.

Nella storia del « Fiorellino di Gesù » si narra:

« Quest’anima privilegiata era fortemente tentata. Il demonio l’assaliva anche in modo sensibile, presentandosi in forma umana.

« Il direttore spirituale un giorno le sug­gerì: Appena le si presenterà la prima vol­ta il demonio per tentarla, dica subito: “Scenda, o Signore, il tuo Sangue sopra di me per fortificarmi e sopra il demonio per abbatterlo!”. Detto questo, osservi be­ne il comportamento del maligno.

« Non passò molto ed al solito il tenta­tore si presentò.

« Appena recitata la preghierina del Divin Sangue, il demonio montò sulle furie ed esclamò: “Ma quell’uomo non aveva altro da suggerirti?…”

« Il Direttore spirituale comprese sempre più l’importanza di quell’invocazione e ne fece tesoro per giovare anche ad altre ani­me tentate ».

Impariamo tutti.

Quando ci si trova sotto l’azione dia­bolica e la tentazione persiste, si dica e si ripeta con fede: « Scenda, o Signore, il tuo Sangue sopra di me per fortificarmi e sopra il demonio per abbatterlo! »

Il tentatore potrà continuare ancora l’as­salto, perché non vorrebbe darsi vinto, ma presto si allontanerà sconfitto.

Al momento della tentazione se ne faccia l’esperienza.

È pure di grande aiuto, quando si è ten­tati, il baciare con amore le sante Piaghe di Gesù Crocifisso, dicendo, ad esempio: « Ge­sù, custodiscimi in queste sante Piaghe! ».

Il demonio teme molto la preghiera che si rivolge alla Vergine Santissima. Quella comune è la recita dell’Ave Maria; però si possono formulare altre preghierine, secondo le occasioni e la propria devozione.

È graziosa la seguente: « Ave, o Maria, piena di grazia, – Im­macolata e bella!

Stella del Paradiso, – prega per noi! ». Sono pure accette alla Madonna alcune pie invocazioni; ad esempio: « Dolce Maria, – salva l’anima mia! ». « Madre del Redentore, – custodiscimi nel tuo Cuore! ».

« Vergine buona e potente, – schiaccia tu la testa al serpente! ».

« Maria, Regina del Cielo, – coprimi tu col vergineo velo! ».

E’ lodevole l’usanza di quelle anime che, quando la tentazione tira a lungo, tengono in mano la corona del Rosario o la meda­glietta della Madonna e le danno qualche bacio.

Non si dimentichi che ognuno di noi ha un Angelo Custode, il quale ha la missione di assisterci e di difenderci. Perché ci ven­ga in aiuto, lo si deve pregare.

Nelle tentazioni può invocarsi qualche Santo, verso il quale si nutre particolare devozione, come sarebbe il Santo o la San­ta di cui si porta il nome.

In senso largo, possono considerarsi pre­ghiera anche i buoni pensieri.

Il primo pensiero, forte e vantaggioso, è quello della presenza di Dio. Essendo Dio purissimo Spirito, Infinito, è presente ovun­que e scruta l’intimo dei cuori. Si pensi, quando si è tentati a fare il male: Sono in questo momento sotto lo sguardo diretto di Dio!

A tanti giova il pensare di trovarsi da­vanti a Gesù grondante sangue, o flagellato, o coronato di spine, o inchiodato sulla cro­ce, mentre si dice dentro di sé: Se cedo alla tentazione, offendo il buon Gesù, che ha sparso il Sangue per salvarmi!

Come fa bene il pensare a Gesù presente, così può far bene il pensare al demonio tentatore presente.

Chi è in pericolo di peccare, pensi: Se io vedessi in questo istante, qui, dinnanzi a me, il brutto demonio in forma umana e mi dicesse: « Fa’ questo peccato! », io cosa gli risponderei? Subito lo caccerei, gri­dando: Va’ via, Satana; Non mi tentare!

Ebbene, nella tentazione è proprio il demonio che lavora ed è lì, presso la per­sona tentata, in forma invisibile, perché spi­rito, ma reale.

L’anima tentata immagini di vederselo davanti in sembianze orribili, per sentirsi più pronta ad allontanarlo.

Il pensiero dei Novissimi è stato e sarà sempre di aiuto nel tempo della tentazione: Si muore; si ha da comparire davanti a Gesù Cristo Giudice; attende il Paradiso, oppure l’inferno.

Per accontentare questo mio corpo, che sarà chiuso in una cassa e seppellito dentro una fossa, vorrò cedere alla tentazione, pre­pararmi un terribile Giudizio divino e di­spormi ad andare all’inferno? …

Lo Spirito Santo dice: «Pensa ai tuoi novissimi e non peccherai in eterno! » (Ec­clesiastico, VII – 40).

La forza maggiore all’anima viene dai Sacramenti. Si sia frequenti alla Confes­sione ed alla Comunione, particolarmente nei periodi difficili, quando cioè pare che tutte le potenze infernali siano schierate contro di noi.

La Confessione ben fatta e la Comunione ben ricevuta sono le armi più potenti con­tro Satana.

Penitenza.

« Se non farete penitenza – dice Gesù – perirete tutti » (San Luca, XIII – 5). La penitenza, è necessaria. I Santi sono divenuti tali per il grande spirito di peni­tenza. Quando per resistere ai latrati del­la passione ai Santi non bastavano i mezzi ordinari, ricorrevano agli straordinari, cioè alle battíture, ai cilizi o ad altre dure peni­tenze. Così, per esempio, San Pier Damiani per vincere certe tentazioni talvolta d’inver­no s’immergeva nell’acqua fredda del fiume

Pur non giungendo a questi estremi, chi vuol vincere le tentazioni corporali, col­tivi lo spirito di mortificazione.

Si faccia molto conto della mortificazione di gola; infatti Gesù, parlando del demonio dell’impurità, dice: « Questo genere di de­moni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno » (San Matteo, XVII – 20).

Occorre la penitenza preventiva, cioè pri­ma della tentazione, per essere allenati alle rinunzie; occorre la penitenza seguente, cioè dopo la tentazione, specialmente se si avesse avuto la disgrazia di cedere all’assalto della passione.

Ad ogni eventuale caduta far seguire una buona penitenza volontaria.

Il demonio ha paura di quelli che fanno penitenza.

Due insidie.

Di due cose si serve spesso Satana per vincere: dello scoraggiamento e della pre­sunzione.

Non si dica mai: « È inutile resistere alla tentazione; … Tanto non ci riesco … ». Non ci si scoraggi mai, per quanto le tentazioni siano forti ed insistenti. Quando l’anima fa ciò che può, assistita com’è dalla Grazia divina, non cade.

Piuttosto si manifesti lo scoraggiamento al Direttore spirituale o al Confessore e si mettano in pratica i consigli opportuni.

Più pericolosa è la presunzione, cioè il dire: « Gli altri cadono facilmente in pec­cato, perché sono deboli; ma io mi sento forte e supero con facilità gli assalti! Da tanto tempo riporto sempre vittoria! ».

Il dire questo è segno di fine superbia. « Chi sta in piedi, stia attento per non ca­dere ».   

Ed è proprio la superbia che fa cadere. « Dio resiste ai superbi e dà la sua gra­zia agli umili ».

Quando il superbo è tentato, negandogli Dio la sua grazia, resta solo e debole e così precipita in basso più degli altri.

Abbiamo un doloroso esempio in San Pietro.

Al principio della sua Passione Gesú disse a San Pietro: « Simone, Simone, ecco Satana ha cercato di vagliarvi come il grano. Ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno; e tu, ravveduto che sia, conferma i tuoi fratelli ».

E quello rispose:   « Signore, se anche tutti si scandalizzeranno per tua cagione, io giammai! ».

San Pietro si credeva forte e più degli altri; presumeva troppo di sé. Subito Gesù gli predisse la caduta: « In verità ti dico, oggi, in questa notte, prima che il gallo canti per la seconda volta, tu mi rinneghe­rai tre volte! ».

San Pietro non credette a queste parole e con più veemenza dichiarò: « Dovessi an­che morire con te, non ti rinnegherò! » (San Marco, XIV – 29). Sappiamo come sia finita al Principe degli Apostoli: rinnegò Gesù Cristo davanti ad una serva, giurando e spergiurando che nep­pure lo conosceva …

La lezione di San Pietro giovi a tutti! Nessuno si fidi troppo di sé ed in par­ticolare nessuno confidi nella purezza avu­ta in passato.

Conclusione.

Quando un imperatore romano, dopo una guerra o dopo una grande battaglia deci­siva, faceva ritorno a Roma, all’ingresso della città gli si prodigavano onoranze ec­cezionali. Talvolta all’occasione si costrui­va un maestoso arco, sotto il quale lo si faceva passare; l’arco poi prendeva il no­me dell’imperatore.

A Roma, poco distante dal Colosseo, c’è la Via dei Trionfi, ove stanno ancora tre Archi trionfali, dei quali il più rinomato è quello di Costantino.

L’imperatore vittorioso era poi onorato con un susseguirsi di feste; tutti andavano a gara per tributargli omaggi. Si dava così al vincitore il meritato onore.

Cosa è l’onore che l’uomo dà all’uomo? È un semplice fuoco di paglia; è fumo che si disperde.

Il vero onore è quello che dura in eterno ed è quello che dà Dio in Cielo all’anima vittoriosa.

La vittoria che si riporta nelle tentazioni è superiore a quella che si riporta sui campi di battaglia, poiché è più difficile vincere se stessi anziché gli altri.

Nell’altra vita Dio riserva all’anima vin­citrice un’eternità di gloria, una corona im­marcescibile, un oceano di felicità, perché Dio le dona se stesso come premio delle vittorie riportate su Satana, su di sé e sul mondo.

All’anima che sa combattere e vincere, il Signore ripete le parole che un giorno disse ad Abramo: « Io stesso sarò la tua ricompensa, e ricompensa molto grande » (Genesi, XV – 1) .

APPENDICE

LE INDULGENZE

Innovazioni nella disciplina indulgenziaria.

Nuova misura per l’indulgenza parziale, congrua diminuzione delle plenarie …

Le norme che seguono apportano alcune opportune variazioni nella disciplina delle in­dulgenze, in accoglimento anche delle pro­loste fatte dalle Conferenze Episcopali.

Le disposizioni del Codice di Diritto Ca­nonico e dei Decreti della Santa Sede riguar­danti le indulgenze, che non sono in contra­sto con le nuove norme, restano invariate.

Nel redigere le nuove norme si è cer­cato in particolar modo di stabilire una nuo­va misura per l’indulgenza parziale, di ap­portare una congrua riduzione al numero delle indulgenze plenarie e di dare alle indulgenze cosiddette reali e locali una forma più semplice e più dignitosa.

Per quanto riguarda l’indulgenza parzia­le, abolendo l’antica determinazione di gior­ni e di anni, si è stabilita una nuova norma o misura considerando la stessa azione del fedele che pone un’opera indulgenziata.

E poiché l’azione del fedele, oltre al me­rito che è il frutto principale, può ottenere una remissione di pena temporale tanto mag­giore quanto più grande è il fervore del fede­le e l’importanza dell’opera compiuta, si è ritenuto opportuno stabilire che la remissio­ne della pena temporale, che il fedele ac­quista con la sua azione, serva di misura per la remissione di pena che l’Autorità Eccle­siastica liberalmente aggiunge con l’indul­genza parziale.

Si è poi ritenuto opportuno ridurre con­venientemente il numero delle indulgenze plenarie, perché il fedele ne abbia maggiore stima e possa di fatto acquistarle con le debi­te disposizioni. Infatti si bada poco a ciò che si verifica frequentemente e poco si ap­prezza quello che si offre in abbondanza.

D’altra parte molti fedeli hanno bisogno di un congruo spazio di tempo per prepararsi convenientemente all’acquisto dell’indulgen­za plenaria.

Per quanto riguarda le indulgenze reali o locali non solo è stato di molto ridotto il loro numero, ma ne è stato abolito anche il nome, perché più chiaramente apparisca che sono indulgenziate le azioni compiute dai fedeli e non gli oggetti o i luoghi, che sono solamente l’occasione per l’acquisto delle indulgenze. Anzi, gli ascritti alle pie Asso­ciazioni possono acquistare le indulgenze loro proprie, compiendo le opere loro pre­scritte, senza che sia richiesto l’uso dei di­stintivi.

Le nuove norme.

  1. – L’indulgenza è la remissione dinan­zi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a determinate condi­zioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa e applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei Santi.
  2. – L’indulgenza è parziale o plenaria secondo che libera in parte o in tutto dalla pena temporale dovuta per i peccati.
  3. – Le indulgenze sia parziali che ple­narie possono essere sempre applicate ai de­funti a modo di suffragio.
  4. – L’indulgenza parziale d’ora in poi sarà indicata con le sole parole « indulgen­za parziale », senza alcuna determinazione di giorni o di anni.
  5. – Il fedele, che almeno col cuore con­trito compie un’azione, alla quale è annessa l’indulgenza parziale, ottiene, in aggiunta al­la remissione della pena temporale che per­cepisce con la sua azione, altrettanta remis­sione di pena per intervento della Chiesa.
  6. – L’indulgenza plenaria può essere ac­quistata una sola volta al giorno, salvo quanto è disposto al n. 18 per coloro che sono in punto di morte. L’indulgenza par­ziale invece può essere acquistata più volte al giorno, salvo esplicita indicazione in con­trario.
  7. – Per acquistare l’indulgenza plenaria è necessario eseguire l’opera indulgenziata e adempire tre condizioni: Confessione sacra­mentale, Comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice. Si richiede inoltre che sia escluso qualsiasi affetto al peccato anche veniale.

Se manca la piena disposizione o non sono poste le predette tre condizioni, l’in­dulgenza è solamente parziale, salvo quan­to è prescritto al n. 11 per gli impediti.

  1. – Le tre condizioni possono essere adempiute parecchi giorni prima o dopo di aver compiuto l’opera prescritta; tuttavia è conveniente che la Comunione e la preghie­ra secondo le intenzioni del Sommo Ponte­fice siano fatte nello stesso giorno, in cui si compie l’opera.
  2. – Con una sola Confessione sacra­mentale si possono acquistare più indulgen­ze plenarie; invece, con una sola Comunione eucaristica e una sola preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice si può lu­crare una sola indulgenza plenaria.
  3. – Si adempie pienamente la condizione della preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice, recitando secondo le sue intenzioni un Pater ed un’Ave; è lasciata tuttavia libertà ai singoli fedeli di recitare qualsiasi altra preghiera secondo la pietà e la devozione di ciascuno verso il Romano Pontefice.
  4. – Ferma restando la facoltà concessa dal can. 935 del Codice di Diritto Canonico ai confessori di commutare per gli impediti sia l’opera prescritta sia le condizioni richie­ste per l’acquisto delle indulgenze, gli Or­dinari possono concedere ai fedeli, sui quali esercitano la loro autorità a norma del Di­ritto, se risiedono in luoghi dove in nessun modo o almeno molto difficilmente, possono accostarsi ai sacramenti della Confessione e della Comunione, di poter acquistare l’indul­genza plenaria senza l’attuale Confessione e Comunione, purché siano contriti e propon­gano di accostarsi ai predetti sacramenti ap­pena è loro possibile.
  5. – È abolita la divisione delle indul­genze in personali, reali e locali, perché più chiaramente apparisca che le indulgenze sono concesse alle azioni dei fedeli, sebbene esse siano talvolta collegate ad un oggetto o ad un luogo.
  6. – L’Enchiridion Indulgentiarum sarà riveduto in modo che solamente le più im­portanti preghiere e opere di pietà, di ca­rità e di penitenza siano indulgenziate.
  7. – Gli elenchi ed i sommari delle in­dulgenze per gli Ordini e Congregazioni religiose, per le Società che vivono in co­mune senza voti, per gli Istituti secolari e per le pie Associazioni di fedeli, saranno quanto prima riveduti, in modo che l’in­dulgenza plenaria possa lucrarsi soltanto in giorni particolari, stabiliti dalla Santa Se­de, dietro proposta del Superiore Genera­le o, se si tratta di pie Associazioni, dell’Or­dinario del luogo.
  8. – In tutte le chiese ed oratori pub­blici o, per quelli che ne usano legittima­mente, semipubblici, si può acquistare il 2 novembre una indulgenza plenaria da applicarsi soltanto ai defunti.

Nelle chiese parrocchiali si può lucrare inoltre l’indulgenza plenaria due volte all’anno, cioè nella festa del Santo titolare e il 2 agosto, in cui ricorre la Porziuncola, oppure in altro giorno opportunamente sta­bilito dall’Ordinario.

Le predette indulgenze si possono acqui­stare o nei giorni stabiliti oppure, col con­senso dell’Ordinario, la Domenica antece­dente o seguente.

Tutte le altre indulgenze concesse alle chiese od oratori dovranno quanto prima essere rivedute.

  1. – L’opera prescritta per lucrare l’in­dulgenza plenaria annessa ad una chiesa o ad un oratorio consiste nella devota visita di questi luoghi sacri, recitando in essi un Pater ed un Credo.
  2. – Il fedele che devotamente usa un oggetto di pietà (crocifisso, croce, corona, scapolare, medaglia), benedetto da un sacer­dote qualsiasi, può lucrare una indulgenza parziale.

Se poi tale oggetto religioso è benedetto dal Sommo Pontefice o da un Vescovo, i fedeli, che devotamente lo usano, possono acquistare anche l’indulgenza plenaria nella festa dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, ag­giungendo però la professione di fede con qualsiasi legittima formula.

  1. – Al fedele in pericolo di morte, che non possa essere assistito da un sacer­dote che gli amministri i sacramenti e gli im­partisca la benedizione apostolica con l’an­nessa indulgenza plenaria (a norma del can. 468, 2 del Codice di Diritto Canonico), la santa Madre Chiesa concede ugualmente l’in­dulgenza plenaria in punto di morte, purché sia debitamente disposto e abbia recitato durante la vita qualche preghiera. Per l’ac­quisto di tale indulgenza è raccomandabile l’uso del crocifisso o della croce. Questa stessa indulgenza plenaria in pun­to di morte può essere lucrata dal fedele, che nello stesso giorno abbia già acquistato un’altra indulgenza plenaria.
  2. – Le norme stabilite circa l’indulgen­za plenaria, specialmente quella recensita al n. 6, si applicano anche alle indulgenze ple­narie cosiddette « toties quoties ».
  3. – La santa Madre Chiesa, massima­mente sollecita per i fedeli defunti, ha stabilito di suffragarli nella più larga misura in tutte le Messe, abolendo ogni particolare privilegio.

Norme transitorie

Le nuove norme, che regolano l’acquisto delle indulgenze, entreranno in vigore dopo tre mesi dalla data di pubblicazione su Acta Apostolicae Sedis di questa Costituzione.

Le indulgenze, annesse all’uso degli og­getti religiosi, che non sono sopra riferite, cessano dopo tre mesi dalla data di pubbli­cazione su Acta Apostolicae Sedis della pre­sente Costituzione.

Le revisioni, di cui si tratta nei nn. 14 e 15, debbono essere proposte alla Sacra Penitenzieria Apostolica entro un anno; tra­scorso un biennio dalla data di questa Co­stituzione, le indulgenze, che non siano sta­te confermate, decadranno.

Dato a Roma, presso S. Pietro, il 1° gen­naio 1967, nell’ottava della Natività di N. S. G. C., anno quarto del Nostro Pon­tificato.

Paulus PP. VI

DOMENICHE SANTIFICATE

La Comunione di Pasqua, una volta l’anno, non è sufficiente a vivere da buoni Cristiani. Il Concilio di Trento dichiarò che è desiderio della Chiesa che i fedeli, ogni qualvolta assistono alla Messa, si ac­costino alla Comunione.

La domenica si va a Messa; si consi­glia quindi di comunicarsi ogni domenica. Vantaggi. La Comunione domenicale: 1) Soddisfa al desiderio di Gesù, che dice nella Messa: « Prendete e mangiatene tut­ti! ». 2) Fa partecipare attivamente al Divin Sacrificio. 3) Santifica il giorno del Signore. 4) Dà la forza di vivere cristia­namente durante la settimana.

Invito. I fedeli, almeno una volta nel­la vita, per un anno intiero, santifichino

le domeniche con l’accostarsi alla Comu­nione.

Scopo. Ognuno metta un’intenzione par­ticolare, ad esempio: Riparare i peccati che si fanno nella domenica … Libera­re qualche animi. dal Purgatorio … Con­vertire qualche peccatore … Fare un buon matrimonio … Riparare i peccati propri e della famiglia … Assicurare la buona morte a sè ed ai propri cari … ecc….

Norme Pratiche

1) Comunicarsi per un anno intiero ogni domenica.

La pratica può iniziare nella prima do­menica dell’anno, ovvero in qualunque altra, purchè le domeniche raggiungano il numero annuale.

2) Chi fosse impedito a camunicarsi la domenica, potrebbe supplire in altro giorno della settimana.

3 ) Gli ammalati cronici e coloro che per gravi motivi non possono comunicarsi ogni domenica, basta che ricevano la Co­munione cinque volte durante l’anno, in ossequio alle cinque Piaghe di Gesù, ed offrano le loro sofferenze: per la pace del mondo, per il Sacerdozio Cattolico e per la conversione dei peccatori.

4) L’essenza dalla pia pratica è la Co­munione domenicale. Il resto si lascia alla generosità dei fedeli.

5) Si consiglia di seguire le direttive suggerite nell’apposito libretto « Domeni­che santificate », da richiedersi a: Libre­ria Sacro Cuore – Via Lenzi, 24 – Messina.

Pro Unione Chiese Separate

Uno dei più grandi problemi del Con­cilio Ecumenico Vaticano Secondo è la Conciliazione delle Chiese Cristiane Sepa­rate con la Chiesa Cattolica. La Chiesa di Gesù Cristo non è ancora un solo Ovile sotto un solo Pastore.

Si compia la pratica delle Domeniche Santificate per impetrare dallo Spirito San-

to la luce divina ai capi delle Chiese Sci­smatiche, Ortodosse e Protestanti, affin­chè riconoscano la suprema autorità del Papa, legittimo Successore di San Pietro nella sede di Roma.

Nessun Cattolico resti indifferente da­vanti a questo urgente problema!

Le anime zelanti diffondano, a voce e per iscritto, i vantaggi di questa Crociata, servendosi all’uopo della pagellina e del­l’apposito libretto.

Pratica. Ogni fedele sia un apostolo e trovi almeno una decina di persone da di­sporre alla Comunione domenicale. (Da « Domeniche Santificate » )

I 15 VENERDI CONSECUTIVI IN ONORE DEL SACRO CUORE Come si onora la Madonna con i primi Cinque Sabati del mese e con i Quindici Sabati Consecutivi, così si onori il Sacro Cuore di Gesù, oltre che con i Nove Pri­mi Venerdì, anche con la pratica dei Quin­dici Venerdì Consecutivi. Il primo turno comincia verso la metà di marzo, per finire l’ultimo Venerdì di giugno; il se­condo turno comincia verso la metà di settembre, per chiudersi l’ultimo Venerdì di dicembre. Privatamente i Quindici Ve­nerdì si possono iniziare in qualunque tem­po. Chi non potesse comunicarsi al Vener­dì, potrebbe comunicarsi in qualunque altro giorno, prima che giunga il Venerdì successivo. In casi urgentissimi la S. Co­munione può farsi in 15 giorni di seguito.

Quando coincide con il Primo Venerdì del mese, la Comunione soddisfa alle due pratiche. Scopo di questa pratica è: Riparare il Sacro Cuore ed ottenere grazie.

INTENZIONI DELLE COMUNIONI RIPARATRICI

1° Venerdì: Riparare per i sacrilegi eu­caristici.

2° – Riparare per l’abuso della confes­sione.

3° – Riparare per le bestemmie.

4° – Per convertire i peccatori.

5° – Riparare per i peccati di odio.

6° – Riparare per i peccati contro la pu­rezza.

7° – Riparare per i peccati_ di scandalo.

8° – Riparare per i cattivi discorsi.

9° – Riparare per la stampa cattiva.

10° – Riparare per i divertimenti mon­dani.

11° – Riparare per la profanazione della festa.

12° – Riparare per i delitti.

13° – Riparare per le ingiustizie.

14° – Riparare per i propri peccati e per quelli della famiglia.

15° – Pregare per i moribondi

OGNI GIORNO: Recitare cinque Pater, Ave, Gloria, in onore delle Cinque Pia­ghe.