Religione scenografica
Quello che mi affascina del cinema è il saper ricreare spesso situazioni e luoghi che non esistono, perché sono ormai in un passato lontano o in un improbabile futuro. Ho sempre sognato poter visitare qualche set cinematografico dove vengono ricreate architetture incredibili che fanno da sfondo alle vicende narrate. Questo ovviamente non vale solo per il cinema ma anche per il teatro, anzi proprio da li nasce l’arte della finzione scenografica che deve essere credibile e stupire, anche se alla fine è tutto finto e precario. Sono infatti molto pochi i set cinematografici che sopravvivono ai film per i quali sono stati realizzati, e la stessa cosa vale per le scenografie teatrali.
Se a me affascinano le scenografie per il cinema, a Gesù invece non piace la scenografia nella vita di fede. È questa scenografia religiosa ciò che denuncia nei farisei e scribi del suo tempo. Gesù condanna una vita fatta di gesti religiosi esteriori, molto ampi e visibili, ma che non hanno profondità e verità, proprio come le facciate finte di un set cinematografico.
I farisei e scribi “rappresentano” la fede ma non la vivono, la insegnano ad altri ma per loro ha la durata della rappresentazione che non dura.
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Gesù al contrario è la verità di Dio, nella sua vita dal primo istante fino all’ultimo manifesta l’incontro con Dio, e quel che lui fa non è apparenza ma sostanza, non è per stupire un istante, ma per coinvolgere una vita.
Gesù non è una facciata finta di Dio, ma è Dio stesso che nel suo volto umano esce dalla rappresentazione religiosa di un momento, di un semplice atto tradizionale di culto, e entra dentro la vita degli uomini di ogni tempo e luogo.
Nel film “la rosa purpurea del Cairo” di Woody Allen, una donna che si reca in continuazione al cinema per lo stesso film, ad un certo punto vede l’amato protagonista che in modo incredibile esce dallo schermo, stanco anche lui del ripetersi della storia di finzione, e scappa con lei, in carne e ossa.
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Gesù ha “bucato” lo schermo della rappresentazione religiosa stanca e superficiale di Dio e lo ha fatto diventare vita quotidiana. È letteralmente “sceso” dal palco sul quale era posto dai riti religiosi superficiali, e si è introdotto nella vita degli spettatori, cioè noi.
Siamo capaci di fare altrettanto con la nostra vita di fede? La nostra religiosità è solo una rappresentazione superficiale, che dura il tempo di un momento di culto, di una festa tradizionale, di una prima comunione o matrimonio in chiesa, o è vita vera che tocca quello che veramente siamo e viviamo tutti i giorni?
Dio si è fatto servo dell’uomo per amore, e l’amore e il servizio sono ciò che fa diventare vera la vita religiosa, superando la tentazione della finzione scenografica, bella ma alla fine inutile.
“Chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato”. Con questo gioco di parole Gesù scrive la trama della sua storia e della nostra come suoi discepoli.
L’umiliazione che appare come brutta parola, in realtà richiama l’humus, la terra, la concretezza della vita di tutti i giorni. Ed è questo quello che Dio ha fatto, ed è questo che possiamo fare noi.
Se permettiamo a Dio di scendere dentro la terra della nostra vita, se scendiamo anche noi dal palco delle apparenze e incontriamo i nostri fratelli e sorelle in carne e ossa, per amore, allora la nostra vita si accende e diventa grande, non per un momento di finzione, ma per sempre.
Fonte: il blog di don Giovanni Berti (“in arte don Gioba”)