don Giovanni Berti (don Gioba) – Commento al Vangelo del 5 Febbraio 2023

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Sapore di sale

“Sapore di sale, sapore di mare, sapore di te…”

Sono le ultime parole del testo di una delle più famose canzoni italiane, di Gino Paoli, uscita esattamente 60 anni fa. L’immagine molto semplice del sapore salato del mare richiama l’atmosfera bella della vacanza, l’amore estivo lontano dal freddo della città e della vita di tutti i giorni. Basta a volte una semplice immagine, anche piccola e banale come quella del sale, per aprire la mente e il cuore a ricordi, emozioni e anche pensieri profondi.

È quello che fa anche Gesù, che usa l’immagine del sale per parlare ai suoi discepoli, per dire loro chi sono e quale è la loro missione nel mondo. In questa pagina del Vangelo ci sono altre immagini che nel giro di poche righe aprono anch’esse ad un mondo di significati molto belli per i discepoli di allora come per quelli di oggi, cioè noi che ascoltiamo questo passo del Vangelo: la luce, la città sul monte, la lampada che illumina la casa…

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La prima immagine del sale forse a noi sembra strana e meno immediata di quella della luce, ma basta richiamare alla mente gli usi del sale, sia oggi e in particolare ai tempi di Gesù, per scoprirne la bellezza e profondità.

Il sale allora come oggi serviva per dare il sapore al cibo, e quando si mette il sale questo sparisce tra gli ingredienti principali, eppure è essenziale. Gesù dice ai suoi discepoli che sono “sale della terra”, cioè sono chiamati a entrare dentro gli ingredienti della vita quotidiana e non far rimanere il Vangelo chiuso in un barattolo. Noi come cristiani siamo chiamati a dare il sapore del Vangelo a ogni ambiente di vita nel quale siamo, il gusto giusto dell’amore che esalta il bello e il buono, che dona speranza e unità. Non basta vederci in chiesa oppure esibire qualche simbolo esteriore che dice che siamo cristiani, ma possiamo e dobbiamo entrare dentro la vita e lì portare le parole di Gesù.

Il sale ai tempi di Gesù come ai nostri serviva anche per conservare i cibi. Dicendo così Gesù invita i suoi discepoli a sentirsi custodi della sua parola e della sua presenza, in modo che non vada perduto il ricordo vivo e non “imbalsamato” di Gesù. La vera tradizione non è in uno sterile ripetersi di gesti e usanze, ma impedire che la forza viva e sempre nuova delle parole di Gesù vada perduta ma si conservi e si tramandi di generazione in generazione. “Essere sale” è quindi questa possibilità che abbiamo di far si che nonostante tutti i cambiamenti che ci sono nella storia e nel mondo, Gesù sia ancora attuale e come nuovo.

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Il sale in antichità serviva anche come paga, e da qui capiamo il termine “salario” usato ancora oggi. Essere “sale” significa che la comunità dei discepoli anche se piccola è un valore grande dentro la società e dà valore alla vita. Chi incontra un discepolo che vive il Vangelo può incontrare qualcosa che vale, di cui non si può fare a meno.

La cosa da sottolineare è che Gesù quando usa queste immagini lo fa utilizzando il verbo all’indicativo (Voi siete il sale… luce…), per dare coraggio e forza ai suoi amici. Non dice “dovete essere…” ma “siete…”, annunciando una cosa bella che abbiamo già per la forza del legame con Lui nel battesimo e nell’ascolto della sua Parola. È vero che dice anche “… ma se il sale perdesse il sapore…” (che dal punto di vista chimico non è possibile), ma lo fa per esortare a riscoprire quello che abbiamo e che siamo già, ma che a volte dimentichiamo. Gesù parlando usa il plurale, perché è insieme che ci sosteniamo in questa riscoperta della fede come dono, come sale della terra e luce del mondo. Insieme come comunità ci aiutiamo quando qualcuno rischia di perdere il sapore del Vangelo e spegne in sé stesso la luce della sua Parola.

Dopo aver letto questo Vangelo, dopo averlo pregato e celebrato insieme, usciamo dalla celebrazione della nostra fede, la Messa domenicale, con la consapevolezza che possiamo, anche solo con un pizzico di buone opere, dare il sapore di Gesù al mondo.

“Sapore di sale, sapore di amare, sapore di te, Gesù…”

Fonte: il blog di don Giovanni Berti (“in arte don Gioba”)