don Giovanni Berti (don Gioba) – Commento al Vangelo del 16 Ottobre 2022

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Una preghiera che non stanca

Pregare senza stancarsi mai… che significa? Riuscire a dire tre rosari di seguito senza distrarsi e senza annoiarsi? Partecipare ad una messa di due ore senza mai distogliere il pensiero dalle parole e dai gesti del rito? È proprio questa la “stanchezza” da cui ci vuole guarire il Maestro con la sua parabola?

Come sempre anche questa parabola di Gesù è molto strana e provocatoria, perché se presa superficialmente sembra darci l’immagine di Dio come di un giudice capriccioso che risponde per fastidio all’insistenza della vedova. Quindi la preghiera sarebbe una specie di tecnica per “rompere le scatole” a Dio finché ci consideri e ci dia quello che vogliamo?

Gesù come sempre nei suoi insegnamenti parabolici vuole allargare la nostra fede, che spesso si blocca in idee sbagliate su Dio, su noi stessi e il mondo. A Gesù interessa insegnarci una preghiera che non cambia Dio ma cambia noi. Gesù vuole che convertiamo la nostra idea spesso sbagliata di Dio, e convertire un rapporto falso con lui che ha ricadute negative sul rapporto con noi stessi e gli altri. La vedova della parabola rappresenta tutti coloro che sono deboli e fragili e sono vittime di ingiustizie e per queste soffrono. La vedova che chiede giustizia al giudice rappresenta noi stessi quando affrontiamo le durezze della nostra vita e ci sentiamo soli davanti al mondo e spesso anche davanti a Dio.

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Nella Bibbia le vedove, insieme agli orfani e agli stranieri, rappresentano le categorie più deboli della società, vittime facili di soprusi e senza protezione. È proprio a loro che per primo Gesù rivolge attenzione, perché proprio per la parte più debole dell’umanità lui è venuto a rivelare il vero volto di Dio, che come Padre ha cura dell’uomo. Quella vedova che in modo insistente e coraggioso non si abbatte e non si arrende nel ricercare giustizia, cercando di svegliare il sonno egoista del giudice e spingerlo a fare il suo dovere, rappresenta Gesù stesso, che da Dio che era si è fatto debole, ultimo, profondamente umano.

Il giudice impietoso non è Dio così come lo vuole rivelare Gesù, ma rappresenta come spesso noi pensiamo sia Dio: Dio come “macchina distributrice automatica dei miracoli”, Dio come “servo dei nostri desideri”, come “Colui che può tutto quello che vogliamo noi”, questo è Dio quando non conosciamo le parole di Gesù e non siamo suoi discepoli. La preghiera per Gesù è imparare chi è Dio veramente, imparare a leggere noi stessi e la nostra vita secondo il pensiero di Dio. Pregare è fermarsi, ascoltare Dio che vuole accendere il nostro cuore verso la pace, la carità, la pazienza, il coraggio… Pregare è aprire gli occhi sui miracoli che noi stessi siamo già capaci di fare senza attenderli dall’alto in modo passivo e senza coinvolgimento.

La vedova coraggiosa che senza paura lotta per la giustizia umana corrotta e violenza la vedo anche nelle donne coraggiose che in questi giorni in Iran si oppongono alla violenza religiosa del loro stato che usa la religione per mascherare l’ingiustizia. Non sappiamo se queste donne iraniane avranno giustizia, ma intanto hanno già raggiunto un risultato, quello di mostrare che l’umanità è capace di lottare per il bene e che non siamo condannati a fare il male.

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Gesù che prende ad esempio di fede una povera vedova, mostra che anche l’ultimo degli ultimi con i suoi atti di amore e coraggio è come lui, è come Dio stesso, mostra Dio come è veramente. La preghiera vera, che non può essere sporadica e superficiale, ci porta dentro noi stessi per scoprire che dentro abbiamo Dio, abbiamo il cielo. La preghiera vera fatta di parole del Vangelo e condivisa insieme ad altri, ci porta a vedere Dio nei fratelli che abbiamo accanto e persino nei nostri nemici, e così ci rende forti nel cambiare il mondo.

Non si “deve” pregare, ma “abbiamo bisogno” di pregare!

Abbiamo bisogno di una preghiera vera per comprendere Dio e il mondo. Una preghiera così non addormenta ma sveglia il cuore!

don Giovanni

Fonte: il blog di don Giovanni Berti (“in arte don Gioba”)