Matrimonio o funerale?
Come sempre Gesù usa moltissime immagini legate al suo tempo e alla sua cultura per parlare di Dio, di sé stesso, della storia e del mondo. Sono immagini che sono straordinariamente ancora comprensibili e ricche di significato anche per noi oggi, come quella che troviamo nella parabola di questa domenica.
L’immagine principale è quella della festa di notte di un re, alla quale dopo il rifiuto violento dei primi invitati, è aperta a tutti senza distinzione: “il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio…”.
Quando Gesù parla di “regno dei cieli” non sta parlando del paradiso o di un mondo fuori dalla storia, ma esattamente il contrario, sta parlando del mondo e della storia umana. È dentro la nostra storia e dentro il mondo nel quale abitiamo che Dio vuole costruire il suo regno. Se vogliamo sperimentare Dio, non dobbiamo aspettare la fine della vita, ma già ora possiamo conoscerlo e collaborare con Lui per un mondo come Lui vuole.
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Questo mondo è come una festa di due innamorati, come un matrimonio dove c’è abbondanza per tutti, allegria e unione, dove ogni conflitto è assente perché si celebra l’amore.
Gesù raccontando la parabola si rivolge prima di tutto a quelli che stanno facendo di tutto per “rovinare” la festa, e si tratta proprio dei capi del popolo e capi religiosi. Questi faranno fuori Gesù, dopo aver fatto fuori prima di lui i profeti, e come fanno fuori in continuazione le persone più povere e secondo loro indegne. La violenza di coloro che per potere e ricchezza escludono e uccidono, alla fine però si ritorce contro di loro. Chi non vuole costruire il regno di Dio alla fine costruisce il regno del male e vi muore.
E qui non possiamo non vedere quanta attualità c’è nelle parole di Gesù. La violenza delle guerre che continuano e si moltiplicano, è il risultato di chi rifiuta di entrare a far parte delle nozze di Dio nel mondo, e trasforma la storia umana da un possibile matrimonio d’amore ad un triste funerale.
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Ma la prima parte della parabola di Gesù si conclude con questo invito allargato a tutti, chiamati dalle periferie del mondo a collaborare con Dio (“… andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”). La sala piena di invitati mi invita davvero a sperare che nel mondo sono tantissimi coloro che costruiscono il regno dei cieli nel regno umano, sono tanti, anche fuori dai miei schemi e che non conosco, che a loro modo collaborano attivamente con Dio. Sono parte della festa di Dio, anche se non lo sanno esplicitamente perché non si dichiarano credenti e non fanno parte delle nostre comunità, ma fanno il bene, cercano la pace e vivono la fraternità umana.
La parabola delle nozze ha un “secondo tempo”, che forse faceva parte di un’altra parabola, ma che ci dona un altro prezioso insegnamento: la veste nuziale mancante…
Potrebbe sembrare davvero una cattiveria il fatto che uno invitato all’ultimo minuto sia cacciato fuori dalle nozze, ma qui ovviamente non si sta parlando del “dress-code” per il matrimonio, ma del vestito della vita, che sono le azioni e le scelte quotidiane. Per far parte della festa di nozze di Dio bisogna “vestire una vita” che mostri da che parte stiamo. Le mie abitudini di vita dicono il mio “abito” umano e dicono da che parte sto. Se il “l’abito” è quello dell’indifferenza, della violenza, della vendetta… allora non posso far parte della festa dell’amore che Dio vuole per il mondo.
Le immagini di questi giorni ci mostrano le divise di chi si combatte con in mano strumenti di morte… Non è certamente questo l’abito di chi fa parte delle nozze di Dio. Quale è il mio abito oggi? Sono pronto per far parte delle nozze di Dio con l’umanità?
Fonte: il blog di don Giovanni Berti (“in arte don Gioba”)