don Giovanni Berti (don Gioba) – Commento al Vangelo del 11 Giugno 2023

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Eucarestia perché?

“Ma la particola in bocca va masticata o lasciata sciogliere senza toccarla con i denti?”

“La particola è meglio prenderla in mano anche se non sono perfettamente lavate oppure è meglio direttamente in bocca?”

“Posso fare la comunione anche se ho mangiato qualcosa meno di un’ora fa?”

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“Si deve fare la confessione sempre prima della comunione?”

Sono più o meno queste le domande principali che spesso emergono quando faccio gli incontri di preparazione alla prima comunione con bambini e genitori. E anche tra preti a volte ci facciamo tantissime domande su come rispettare tutti i riti e le regole giuste per una celebrazione che sia il più corretta possibile: qual è la formula più adeguata da usare, come fare quel gesto, se è bene ammettere o meno alla comunione questa o quella categoria di persone…

Anche a Gesù nel suo lungo discorso sul Pane del cielo, a seguito del grandioso segno della moltiplicazione dei pani e pesci, vengono fatte delle domande. Nel brano che ascoltiamo questa domenica l’evangelista ci riporta la domanda fatta dai suoi ascoltatori: “come può costui darci la sua carne da mangiare?”. I Giudei prigionieri dei loro schemi mentali e religiosi, non riescono a farsi scalfire dalle parole di Gesù, il quale per loro rimane quasi sconosciuto, infatti si rivolgono a lui con un generico “costui”. Gesù è incomprensibile, è su un altro piano spirituale, parla una lingua religiosa che non è la loro, e le sue parole sembrano una pazzia. Mangiare la sua carne? E’ una cosa stupida! Bere il suo sangue? A quel tempo “bere il sangue” era una offesa a Dio, perché nel sangue, secondo la credenza, Dio aveva posto la vita della persona, la sua anima. Da qui veniva la proibizione anche solo di toccare il sangue, con la conseguenza di diventare impuri.

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Ai Giudei manca la fede in Gesù, e quindi non riescono ad andare oltre le apparenze e il “sentito dire”. Senza questa amicizia e senza frequentazione con lui, le sue parole non sono capite, i suoi gesti fraintesi e tutto è occasione per accusarlo.

Ma siamo sicuri che invece noi le abbiamo capite? Siamo sicuri di conoscere il vero significato di quel sacramento che chiamiamo Eucarestia, così centrale nell’esperienza cristiana eppure sempre più disertato da noi cristiani?

Le parole di Gesù che abbiamo nel Vangelo non sono più per i suoi ascoltatori di allora ma per noi oggi, ed è per questo che abbiamo bisogno di ascoltarle e imparare. Ma non dobbiamo ascoltare con gli orecchi dei Giudei del tempo di Gesù, ma con quelli dei suoi amici e discepoli. Non con orecchi distratti e superficiali ma con orecchi di fede.

E’ la fede quella che ci viene chiesta. La fede non è adesione mentale perfetta e senza dubbi, non è perfezione morale e perfetta rettitudine di vita. La fede è mettersi in gioco per Gesù, fidarsi della sua amicizia, desiderare un rapporto di amicizia con la sua comunità, la Chiesa. La fede è vivere alla ricerca di una relazione con il Maestro vivendo con i suoi discepoli e sentirli fratelli e sorelle.

Gesù, ci dice lui stesso nelle parole di Vangelo, è Dio che si è fatto carne, si è fatto come noi. “Carne” nel linguaggio del Vangelo non è semplicemente l’aspetto “cellulare” e materiale, ma indica tutta la vita dell’uomo, a partire proprio dalla sua concretezza fragile e limitata. Essere carne, significa essere mortali, segnati dal limite e dalla fragilità che accomuna tutti gli esseri umani. Gesù è di carne, come noi, come me. Ed è proprio questa carne e questo sangue, cioè la vita di Gesù Figlio di Dio, che sono chiamato a mangiare e bere, ad assumere.

Mangiare e bere Gesù significa unire la mia vita alla sua, sperimentare la sua vita dentro la mia, e in questa unione sentire che la vita, la mia vita, ogni vita umana sono il luogo dove incontrare Dio.

Quando vivo con la comunità l’Eucarestia, con i suoi segni e riti, con il segno del pane e del vino, celebro questa fede e la nutro.

Quando penso all’Eucarestia vissuta la domenica con la comunità non devo mettere come prima preoccupazione il rito, cioè il “come” si fa, ma il suo significato dentro la mia vita, il suo “perchè”.

“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui”. Ecco il “perchè” che è più importante di tutti i “come” e di tutte le regole vecchie e nuove: L’Eucarestia ci fa rimanere in Gesù e rende la nostra vita eterna.

Ed ora è Gesù che rivolge a me una domanda: “Ti fidi di me?”

Fonte: il blog di don Giovanni Berti (“in arte don Gioba”)