Tocatì
“Tocatì” è una manifestazione di giochi tradizionali di strada che si tiene nella mia città di Verona a settembre da una ventina d’anni. Per tre giorni, per le strade della città, squadre di giocatori provenienti anche da altre nazioni si sfidano in giochi e sport della tradizione storica, legati alla vita di strada, semplici e antichi. E’ un modo giocoso e concreto per fare memoria della propria storia e del modo popolare di stare insieme.
Il titolo della manifestazione fa riferimento all’espressione veneta “toca a ti”, cioè “tocca a te, è il tuo turno”, che si dice sempre quando si gioca almeno in due a qualsiasi gioco.
Gesù per strada, come al suo solito, incrocia un lebbroso che si è avvicinato a lui. Già questa cosa è straordinaria, perché i lebbrosi a quel tempo, dovevano stare lontani dalla gente, perché contagiosi e considerati religiosamente impuri. Potremmo dire che erano considerati “fuori gioco” dalla società del tempo, che li guardava con sospetto e paura.
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Ma questo lebbroso probabilmente conosce il modo di Gesù di “giocare” nella vita, e così si avvicina e con quel grido di aiuto “Se vuoi puoi purificarmi” è come se dicesse “toca a ti”, “è il tuo turno” Gesù! E cosa fa Gesù? Tocca!
Ecco come Gesù entra in gioco con questo lebbroso. Si sente “toccato” nel profondo da questo uomo sofferente nel corpo e nell’animo, e a tua volta lo tocca per guarirlo.
Quanti “tocchi” fa Gesù nel Vangelo per comunicare la sua salvezza spirituale e anche fisica. Tocca i malati e abbandonati come la suocera di Pietro; tocca e si fa toccare dalle prostitute; tocca ciechi, lebbrosi e anche morti. Tocca, e così rischia di essere messo anche lui “fuori gioco” dalla mentalità religiosa del tempo, che vedeva in queste azioni qualcosa che rendeva impuri e maledetti.
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Gesù prima di tutto vuole guarire la lebbra che deturpa il volto degli uomini del suo tempo che giudicano ed emarginano. Lo fa però non solamente a colpi di proclami, ma con gesti concreti, con tocchi concreti.
Se guardiamo a noi oggi, di strada contro la lotta alle discriminazioni ne abbiamo fatta tanta dai tempi di Gesù. Oggi nessuno più considera maledetto e indegno qualcuno perché malato o per qualche disabilità fisica. Ma non è forse ancora del tutto compiuta la strada che porta a toccare e farsi toccare concretamente da quelle situazioni. Magari a parole non lo diciamo, ma dentro di noi fanno ancora paura e rimangono “intoccabili”. Siamo spesso spettatori di chi fa il bene e lo applaudiamo, ma fare noi stessi il passo per incontrare concretamente le sofferenze del prossimo, non è così scontato e facile.
Toccare a farsi toccare implica prendere le proprie responsabilità e mettere in conto i rischi di ogni azione di bene e di solidarietà. Toccare porta il rischio del contagio non solo sanitario ma soprattutto di reputazione.
Ho un caro amico prete che da anni nella periferia di Roma si occupa di persone transessuali, quelle che spesso sono messe davvero ai margini delle statali per essere usate e poi dimenticate. Molte di loro vivono una vita difficile dal punto di vista economico e sociale, e hanno bisogno di essere prima di tutto accolte proprio per quel che sono come tutti, cioè come persone. Questa accoglienza concreta e umanissima è davvero cristiana, gli costa e non è facile, ma questo amico prete sa che è così che si vive Gesù oggi.
Nella giornata mondiale del malato, che cade quest’anno proprio di domenica, lo slogan è preso dal racconto della Genesi, quando Dio crea l’uomo e la donna, quando crea la relazione umana: «Non è bene che l’uomo sia solo». Curare il malato curando le relazioni, ci ricorda che al di la delle competenze mediche, tutti possiamo prenderci cura del prossimo, ma solo se ci facciamo toccare dalla sua vita e la tocchiamo, con una vicinanza concreta che sana.
Quando leggo le pagine del Vangelo, che mi raccontano la vita, le parole e i gesti di Gesù, immerso totalmente nella vita umana del suo tempo perché l’amore di Dio arrivi a tutti, sento alla fine una voce interiore che mi dice “toca a ti”.
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Fonte: il blog di don Giovanni Berti (“in arte don Gioba”)