don Giovanni Berti (don Gioba) – Commento al Vangelo del 10 Luglio 2022

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La religione può far male?

Posta così a bruciapelo sembra una domanda presa da qualche pubblicazione antireligiosa e atea, e l’istinto di “difesa” della nostra fede ci porterebbe forse a rispondere immediatamente di “no” nel modo più assoluto.

Eppure se entriamo dentro il racconto del Vangelo mi viene da pensare che Gesù a questa domanda avrebbe risposto di “si”.
Si, la religione, con le sue regole e tradizioni può davvero far del male non solo all’uomo ma, incredibilmente, anche a Dio.

L’uomo che rivolge a Gesù la domanda “come avere la vita eterna”, è un esperto della sua tradizione religiosa che è quella nella quale nasce anche Gesù, e che è alla base anche della nostra esperienza di fede. Quel dottore della legge (una specie di teologo del tempo) conosce già la risposta alla sua domanda, e la pone perché vuole verificare che tipo di maestro è Gesù. La sua è una domanda già sterilizzata dalla sua disposizione d’animo che non è da discepolo che vuole imparare, ma da giudice che vuole in qualche modo trovare una falla nell’insegnamento di Gesù. Ma è proprio grazie a questa sua domanda che abbiamo una delle parabole più famose e belle del racconto evangelico, quella chiamata del “buon samaritano”.

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Sento che in fondo anch’io quando apro il Vangelo o lo ascolto nelle celebrazioni “metto un po’ alla prova” Gesù come questo dottore della Legge, Non lo faccio certo per giudicarlo ma per vedere se davvero le sue parole e i suoi gesti toccano davvero la mia vita redendola “eterna”. E per “vita eterna” non intendo in lunghezza ma in qualità e luminosità.
Se riduco la mia vita di fede alla sola conoscenza delle regole religiose (che puntualmente non riesco ad eseguire tutte) la mia vita spirituale si spegne e non sento più “l’eternità” dentro ogni mia singola giornata, dentro le mie relazioni, e non sento vicino nemmeno più Dio, “l’Eterno”.

Gesù con quel racconto vuole guarire la mia religione in modo che non solamente non si spenga, ma anche non arrivi a farmi del male e “rovinando” l’immagine di Dio che ho e che sono chiamato a testimoniare.

Al centro del racconto che fa Gesù non c’è solo il samaritano che soccorre il povero, ma c’è proprio questo povero uomo che nel mezzo della strada è nel totale bisogno. Senza un aiuto quell’uomo morirà. Non sappiamo nulla di lui e nemmeno sappiamo se si merita o meno l’aiuto, ma è nel bisogno e questo basta per Gesù.

Ma il sacerdote e il levita, che sono sulla sua strada, passano oltre, perché per loro quell’uomo non è sulla loro strada di vita, non c’entra nulla con il loro percorso religioso. Sanno che se toccano un ferito sconosciuto per strada si possono addirittura contaminare religiosamente! Ecco la religione che fa del male! È quella che taglia fuori l’altro, quella che non si fa vicino a chi ha bisogno e che trasforma Dio in un dettatore di regole e in un giudice finale che le controlla.

Il samaritano invece si fa prossimo al prossimo, stringe una relazione di aiuto in un momento non previsto e coinvolge anche altri in questa azione (“tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui”…). Nel prendersi cura del prossimo facendosi prossimi, si annullano non solo le distanze tra gli esseri umani, ma anche la distanza con Dio stesso, che in quel momento è dentro quel povero, ed è dentro anche della persona che si prende cura.

La religione può far del male, ma viene guarita dalla religione stessa, quella del Vangelo, che nello stile di Gesù ci rende tutti prossimi, anche con Dio.

Giovanni don

Fonte: il blog di don Giovanni Berti (“in arte don Gioba”)