Il commento al Vangelo di domenica 20 ottobre 2024 è curato da don Gaetano Amore.
Trascrizione automatica (non rivista) generata da Youtube e “corretta” tramite IA.
Oggi piove. Mi fermo dentro perché sennò ci umidifichiamo del tempo ordinario. Bellissima questa richiesta, questa preghiera sbagliata. Questa preghiera, al contrario, con cui si apre questo Vangelo.
Vi ricordo, siamo in Marco 10, 35-45. Prosegue il racconto di domenica scorsa. Il problema di domenica era l’antitesi della sequela di Cristo: la ricchezza. Oggi è il potere. La ricchezza e il potere ci impediscono di guardare negli occhi Gesù Cristo. La preghiera al contrario è quella dei figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, i figli del tuono, che gli chiedono: “Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che noi ti chiederemo.”
Se ci fate caso, è la richiesta e la preghiera che facciamo sempre tutti quanti a Gesù: “Signore, quanto vogliamo che tu facessi per noi quello che noi ti chiediamo.” Questa ridondanza di richiesta è come dire: “Tu sei il mio servo e devi fare quello che io ti dico. Altrimenti, se tu non fai quello che io ti dico, io non ti seguo più.” Per cui, se tu sei servo, è perché tu devi essere al servizio delle mie intenzioni.
Noi oggi abbiamo un concetto grande nella nostra mente: più che il Dio servo, doulos come vedremo—schiavo—che ci insegna Gesù nel Vangelo di oggi, è il Dio servitore dei nostri pensieri, dei nostri desideri. Per farmi capire che esiste, deve assolutamente mettere in pratica i miei desideri, deve realizzare le mie preghiere, deve sottoscrivere i contratti che ogni giorno io gli do. Altrimenti non è Dio. Quindi, preghiera più sbagliata non esiste, perché è l’antitesi del Padre Nostro: “sia fatta la tua volontà.” Invece, qui, questi servi dicono: “sia fatta la nostra volontà e tu aiutaci a realizzarla.”
Ma Gesù, in maniera molto tranquilla, dice loro: “E allora, che cosa volete che io faccia per voi?” “Concedici di sedere nella tua doxa, nella tua gloria, uno alla destra e uno alla sinistra.” Ma probabilmente sfuggiva loro una grande premessa: qual è la doxa di Cristo? È la croce. E sedere a destra e sinistra della croce di chi è? Di chi è quel posto? Dei due ladroni, cioè di coloro che hanno saputo lasciare tutto, prendere la croce e seguire il Cristo. Quindi, non sta nemmeno a lui decidere, ma è di coloro che hanno lasciato tutto e seguono Cristo.
Vi ricordo che in Marco 9, un capitolo prima, dice: “Insegnava loro, ai discepoli, che avrebbe dovuto soffrire molto.” E quando giunsero a Cafarnao, versetto 33: “Quando fu in casa, chiese loro: di che cosa stavate discutendo lungo la strada?” Ed essi tacevano. Infatti, avevano discusso tra di loro chi fosse il più grande, il megalomane, colui che ha più grandezza, desiderio di grandezza tra di loro. Quindi, vedete che le premesse di questo Vangelo ci sono già tutte.
Gesù disse loro: “Voi non sapete nemmeno quello che chiedete.” Bello, dice: “Voi non lo sapete, non sapete quello che chiedete. State chiedendo qualcosa di assurdo.” Dice: “Potete bere il calice che io bevo o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?” Bere il calice, fare la volontà, entrare nella vita stessa di Dio, oppure il battesimo, il baptisma, che non è quello di San Giovanni, un battesimo di purificazione. È il battesimo del Salmo 69, i salmi del giusto sofferente che descrivono spesso la sofferenza di Gesù: “Salvami, o Dio, l’acqua mi giunge alla gola. Salvami dal fango che io non affondi, liberami dai miei nemici, dalle acque profonde. Non mi sommergano i flutti delle acque, la fossa non chiuda su di me la sua bocca.”
Allora, il battesimo nel senso di morte, di oppressione, di sofferenza, di togliere il respiro. Gesù, anche in Luca, ci aveva detto: “C’è un battesimo che devo ricevere e come sono angosciato finché non sia compiuto.” Questo non è il battesimo di Giovanni, è il battesimo della stessa volontà di Dio, che è diverso. Ma questi hanno capito? Loro dicono di sì, ma in realtà no.
Romani 6: “Per mezzo del battesimo, dunque, siamo stati sepolti insieme a lui, siamo stati crocifissi con lui per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se siamo morti con Cristo, crediamo che anche con lui noi vivremo.” Allora, vedete, in realtà il battesimo a cui loro dicono di essere pronti è proprio il battesimo della sofferenza, della croce. Sedere a destra e sinistra è il posto di chi accetta la via della croce, verso la salvezza, che è incredibile.
Gli altri dieci non ci fanno una bella figura. Avendo sentito, cominciano ad indignarsi. E allora Gesù, che bello, non reagisce aspramente. Noi, a volte, per risolvere i problemi ci incaponiamo per correggere le cose. Invece, Gesù sta dando loro una metodologia: dobbiamo ripensare la nostra vita, ci dobbiamo ricollocare nella volontà di Dio, perché l’obiettivo non è la gloria del mondo, cioè il successo. L’obiettivo è la doxa della croce, cioè la volontà di Dio che ci porta alla vita eterna.
Allora, dice: “Venite qui, parliamo, cerchiamo di ragionare.” E lì, al contrario della volta precedente, mentre li chiama con loro, Gesù dice: “Voi sapete che i potenti del mondo le dominano, no? Voi sapete…” L’altra domanda invece era: “Voi non sapete quello che state chiedendo.” Invece qui, Gesù dice: “No, è chiaro per tutti che coloro che sono considerati governanti le dominano.” Katakurieuo, mettono in ginocchio. E poi dice: “Coloro che sono considerati i grandi e i capi addirittura le opprimono,” cioè li mettono sotto i piedi, katadikazo, possiamo tradurre, cioè mettere il potere per schiacciare l’altro, cioè opprimere.
Tra voi non è così. Chi vuole essere il megalomane, il più grande, sia il vostro diaconos, il vostro servitore. E chi vuole essere il protos, sia il doulos. Bellissimo questo doulos, ricorda il misterioso servo del secondo Isaia 53, il servo della sofferenza in cui Gesù Cristo stesso rilegge tutta la sua storia e la sua vita. Colui che, con il suo comportamento mansueto, con la sua tenerezza e bontà, assorbirà il male e impedirà che questo si possa estendere, che possa innescare l’epidemia del male sulla terra. Tanto che servire, allora, non significa altro che riconoscere l’altro nella sua libertà, senza opprimerlo. E questo è ciò che Gesù fa con il suo esempio.
Li chiamò a sé con il suo comportamento e con le sue parole, riconoscendo l’altro nella sua verità e permettendo che l’altro si esprima e si realizzi per quel progetto unico che è la volontà di Dio su di lui. Allora, oggi, servire non significa opprimere o condizionare l’altro, ma lasciare liberi, e nello stesso tempo lasciare libero anche Dio di comportarsi con noi secondo la sua volontà e non la nostra.
Oggi mi sono alzato, ho aperto la finestra e volevo fare un po’ di corsa. Ho visto che pioveva tantissimo. Di fronte alla pioggia, c’è subito la prima giustificazione umana: “Ma sì, sta piovendo, chi me lo fa fare? Uscire? Si soffre, è dura. Meglio rimanere in casa, magari mettersi un po’ più a letto, aspettare un po’ di tempo e poi alzarsi.”
Il servo, servire la verità, servire la vita, significa non arrendersi mai alla noia e comprendere che l’abbandono e il disinteresse sono il primo capitolo contro la realizzazione piena di noi e degli altri. Ecco che Gesù, prendendo la sua croce su di sé, ha accettato ogni giorno, con tenerezza e fedeltà, di servire l’altro per donare vita e amore.