Solo dalla gratitudine scaturisce l’amore
Il miracolo strepitoso racconta di dieci lebbrosi guariti nello stesso momento: essi hanno vissuto i mesi e forse gli anni insieme soffrendo la mutilazione progressiva delle loro membra e l’esilio che la comunità imponeva loro; erano come morti viventi, gente non esistente, senza volto, né identità. Gesù li riammette alla vita insieme alla guarigione, dona loro di nuovo un volto, un nome, una riammissione alla vita comunitaria, nella società; un nuovo inizio è donato a questi uomini, che non erano più persone.
La guarigione avviene mentre si recano dai sacerdoti per farsi riammettere alla vita sociale e religiosa, poiché lebbra e peccato erano fortemente associati. Dio dispone pene e condanne per i propri peccati, essi possono essere immediati o successivi alla morte, sempre però si tratta di purificazione che riguarda l’anima.
Ogni sofferenza, anche sopportata per altri riguarda l’anima, la quale deve essere purificata dalla grazia, che aiuta a staccare dall’amor proprio per rivolgersi a Dio e al prossimo. La sofferenza sulla propria pelle insegna cosa è la gratitudine e l’amore, infatti si ama dopo aver sperimentato in se stessi la gratitudine verso Dio, una fora silenziosa invade il cuore e siamo spinti ad amare Dio in ogni persona che la vita ci mette davanti; è immediato, non è un pensiero, ma forza che urge nella verità, immediata e chiaramente riconoscibile.
Questa gratitudine per i dieci lebbrosi non si manifesta, non scatta: essi ottengono felici il risultato del loro incontro provvidenziale, la loro richiesta è ascoltata da Gesù, sanno che Dio opera in lui, ma non sono grati se non uno solo.
Eppure la Legge che prevedeva la certificazione della guarigione per mezzo dei sacerdoti, esprimeva chiaramente che essi dovevano rendere grazie a Dio per la salute ottenuta: sapevano che Gesù operava con la potenza di Dio, dovevano anche testimoniare questo prodigio ai sacerdoti, dire che Gesù era Figlio di Dio, poiché solo la sua forza poteva guarire e risanare ovvero non solamente fermare la lebbra, ma ricreare le loro membra disfatte.
Il peccato di ingratitudine, non è solo una questione di educazione, ma di cecità spirituale di ottusità
dell’anima, di peccato come risposta alla grazia.
Il peccato è ben raffigurato dalla lebbra, che deforma l’anima, la mutila, rende il volto della persona ripugnante e irriconoscibile, isola dalla comunità dei fedeli, taglia fuori dalla comunione con Dio, condanna alla morte vivendo. Nulla di tutto questo è balenato nella mente di nove guariti eccetto nel decimo, non appartenente al popolo di Dio, uno straniero.
Verità tremenda e profezia!
Chi appartiene al Corpo di Cristo ora, vive nel peccato come lebbroso nell’anima, ma non piega le ginocchia davanti a Dio, cerca salute e salvezza nelle cose umane, e relega Dio al di fuori della propria vita e se qualche cosa riesce a fare, non ringrazia Dio, ma si esalta per la propria capacità e quella di altri uomini: Dio è escluso pur quando i suoi interventi sono tangibili, perché viviamo nell’ingratitudine.
Non vediamo la verità, non abbiamo sguardo profondo, non riconosciamo il dito di Dio che opera nella nostra vita e nel mondo, siamo ottusi, perché incapaci di rispondere all’amore con la gratitudine, siamo ingrati e quindi incapaci di amare, neppure il prossimo che incontriamo, neppure Gesù che si è reso visibile, rivelando l’amore di Dio.
Solo un pagano risponde a Dio nella medesima sorte di dieci: la differenza nel giudizio, che incombe, non sarà fatta dall’appartenenza alla Chiesa, ma dalla qualità del cuore, battezzato o pagano, il cuore rivelerà chi veramente sa trarre sapienza dalla vita e ringraziare Dio.
Dio vi benedica!
Gabriele Nanni
Fonte: YOUTUBE | SPREAKER