1° Lettura
– Il popolo ebreo è in esilio a Babilonia
da una cinquantina di anni;
si rivolge a Dio
nella speranza che intervenga
per liberare loro da quella situazione
di esilio
e di punire il popolo conquistatore
per le loro malefatte.
Devono solo aver pazienza:
Dio punirà i Babilonesi “cattivi”
e salverà il suo popolo Israele, “tutto buono”.
– Interviene il profeta Isaia:
Dio non la pensa così!
“I miei pensieri non sono i vostri pensieri,
le mie vie non sono le vostre vie”.
Dio è trascendente,
è al di fuori e al di là,
diverso
da come la pensiamo noi;
Dio non vede, non giudica,
non interviene nella maniera
che vorremmo noi:
anzi
dobbiamo correggere totalmente
la nostra concezione di Dio:
Dio non punisce i malvagi
e non premia i buoni, perché sono buoni;
Dio vuole la salvezza di tutti,
non solo di quelli che noi riteniamo
giusti e buoni noi,
ma pure di quanti noi condanniamo come malvagi.
Dio giudica e premia
non secondo le nostre opere
ma secondo la sua bontà e misericordia,
indipendentemente dai nostri meriti,
che non esistono di fronte a Dio.
A questo punto l’esempio più chiaro
ci viene dalla parabola verità
che ci racconta oggi Gesù
e che sentiremo ora nella pagina del vangelo.
Noi veniamo salvati
dalla bontà di Dio
non per le nostre opere buone.
VANGELO
– L’incontro di A.C.
in cui ai partecipanti era stato offerta
questa parabola
come pagina per la riflessione.
La conclusione dell’assemblea è stata:
quel padrone (Dio)
non si è comportato bene
con i suoi operai:
ha commesso una grave ingiustizia!
E si stava parlando di Dio…
A prima vista ha qualcosa di irritante
questo comportamento trasgressivo,
ingiusto,
fuori da ogni logica.
– Ma è proprio su questo comportamento strano,
illogico,
fuori dai nostri schemi,
che verte l’insegnamento di Gesù,
che non vuole insegnare
una forma di giustizia retributiva sociale,
ma il cuore di Dio.
– Noi ( la società, i sindacati, leggi, ecc…)
in base a che cosa fissiamo le paghe?
Con quali criteri
si decide la retribuzione per un lavoro ?
– il tipo di lavoro
più o meno pesante,
più o meno di responsabilità,
per il ruolo sociale che rappresenta,
per il guadagno che aiuta a percepire,
per la famiglia da mantenere,
per l’anzianità di lavoro,
per la specializzazione personale,
per il rischio economico a cui va incontro,
per il titolo di studio,
per l’incidenza sulla salute, ecc…
e sono tutti criteri validi e giusti
con cui vengono assegnati i contributi
e le buste paga.
– Gesù dice che c’è anche un altro criterio:
la generosità del padrone,
del datore di lavoro!
– La parabola della giornata di lavoro
rappresenta la vita,
i momenti della vita:
dal mattino (nascita)
fino a sera (morte).
Il Padrone con alcuni aveva pattuito
“la giusta ricompensa”
senza precisare quanto o quale fosse:
“il giusto”!
Chi decide “il giusto”?
– Lo scandalo, la ribellione
nascono da vari fattori
che non vogliamo accettare: es.
– comincia a pagare dagli ultimi,
– dà a tutti la medesima paga!
E’ una scorrettezza evidente!
– Noi siamo ancora legati alla
religione dei meriti;
non esistono davanti a Dio
“i meriti” per essere andati a Messa,
aver fatto opere buone,
aver detto tante preghiere
o aver visto la Madonna…
Tutte questo cose buone
possono aiutare noi,
farci sentire in pace e sereni…
ma non servono per farci belli davanti a Dio.
L’unico criterio di salvezza (la paga finale)
è la bontà e la misericordia di Dio;
e per fortuna!
1° non toglie nulla a nessuno,
2° tutti ricevono ciò che è giusto,
3° molti più di quanto meritano.
N.B.
Gli Ebrei, i farisei, gli scribi, i Sacerdoti
del tempo di Gesù
erano convinti che l’osservanza
della Legge di Dio,
la pratica al Tempio,
le opere buone
fossero necessari per salvarsi…
come se fosse l’uomo stesso a salvare se stesso;
invece Gesù rovescia il concetto:
non è l’uomo, per quanto buono e pio
a salvarsi,
ma è Dio che salva,
indipendentemente dalla bontà o meno
della persona stessa.
Commento a cura di don Franco Scarmoncin – Diocesi di Padova