Riflessione
– Sembra che il tema della 1° Lettura di Giobbe,
come sarà del Vangelo,
sia il dolore,
la sofferenza umana.
Non farò il commento della 1° lettura
e poi del Vangelo;
ma userò le due letture
per una riflessione sul dolore umano.
Nella 1° Lettura il protagonista Giobbe
giunto al limite delle sue sofferenze
e del degrado umano e fisico,
ha perso figli, moglie, bestiame, casa,
ogni bene
e infine anche la salute.
Nonostante la sua pazienza
non può non lamentarsi
con gli amici che lo vanno a trovare…
Nella pagina che abbiamo letto,
Giobbe si chiede:
“Ma che senso ha venire al mondo,
lavorare, costruirsi una vita e una famiglia…
se poi alla fine devi lasciare tutto
e tutta la vita è pervasa,
condita di dolori e sofferenze?
Il Vangelo di oggi
presenta un tema è analogo,
anche se non è l’unico ed esclusivo:
a Gesù viene presentata una donna ammalata
mentre fuori della porta di casa,
dove era entrato per riposare e mangiare qualcosa,
gli vengono portati ammalati e sofferenti,
simbolo di tutto il dolore umano.
Anche la donna, suocera di Pietro,
ammalata,
giace su un letto sofferente;
è immagine di tutta un’umanità
che giace prostrata da una sofferenza infinita
e da cui non riesce a sollevarsi da sola.
Gesù è in grado di aiutarla e risollevarla.
Davanti alla sofferenza umana,
al dolore,
alla fame,
alle violenze: Dio dov’è?
Davanti e durante i massacri in Centro Africa,
in Cambogia, Iraq, in Siria, in Afghanistan
o nei campi di concentramento nazisti
e Croati, oggi in Libia e altrove
Dio dov’è ?
– Il Libro di Gobbe,
scritto alcuni secoli prima di Cristo,
di cui abbiamo letto una pagina,
vorrebbe essere un tentativo di dare una risposta.
E’ una domanda angosciosa
che appartiene da sempre alla cultura umana:
Perché il dolore ?
Dov’è Dio in tutta questa sofferenza?
Giobbe è un uomo ricco e fortunato:
ha una bella famiglia, tanti figli,
una moglie che gli vuol bene,
è padrone di grandi campagne e di molto bestiame,
ha dei servi e operai che lavorano nella sua casa…
E’ un uomo “benedetto da Dio”.
A quei tempi, nella mentalità del pio ebreo,
c’era la convinzione che quando le cose andavano bene
voleva dire che Dio benediva
e guardava con benevolenza quella persona benestante;
mentre i poveri e i malati erano segno
che avevano commesso qualche colpa
e Dio li voleva punire.
Questo Giobbe da ricco e fortunato…
comincia a perdere i raccolti per opera di bande armate,
poi gli rubano tutto il bestiame,
gli ammazzano i servi,
i figli muoiono tutti sotto il crollo della loro casa;
alla fine Giobbe perde anche la salute
e infine anche la moglie lo abbandona,
perché non riesce più a soffrire la puzza delle sue piaghe…
e il povero uomo finisce in una discarica.
Qui vengono alcuni amici, si fa per dire,
a fargli compagnia;
vorrebbero confortarlo,
ma continuano a rinfacciargli
che se gli sono capitate tutte quelle sventure
è segno che deve aver commesso delle colpe gravi
che lui tiene nascoste.
Giobbe tenta di difendersi per giorni e giorni
e il suo motto è:
“Dio mi aveva dato tanti beni,
ora Dio me li ha tolti.
Sia sempre benedetto il Signore”.
Ma di fronte all’insistenza di questi tre personaggi
che gli rinfacciano colpe nascoste,
alla fine Giobbe perde la pazienza
e chiama Dio in una specie di tribunale
a giustificare quanto gli sta facendo
e perché gli manda tutte queste sofferenze
fisiche, morali, spirituali, psicologiche…
Arriva al punto di maledire il giorno della sua nascita:
non vale la pena nascere per soffrire!
Perché Dio l’ha fatto venire al mondo ?
Per farlo soffrire ?
– Un giorno arriva anche un quarto amico,
il quale è convinto che la sofferenza:
umana, materiale, spirituale,
le grandi catastrofi umane e ambientali
potrebbero avere un senso,
un significato importante ed educativo:
– ci tengono umili,
– ci fanno toccare con mano i nostri limiti,
– ci impediscono di insuperbirci davanti a Dio
e davanti agli altri
– ci impediscono di crederci come Dio,
– ci fanno pensare che questa terra, questa realtà
non è il fine della nostra vita,
– il dolore favorisce la comprensione di quanti
si trovano in una medesima situazione di sofferenza,
– la sofferenza ci sollecita
a farci prossimo di chi soffre,
a venire in loro aiuto,
– ci rende sensibili alle sofferenze degli altri,
– certi disastri ambientali facilitano la collaborazione
tra persone e tra i popoli,
– ci costringe alla riflessione e allo studio
per trovare una risposta,
un antidoto, una cura al dolore e alla malattia,
Questo personaggio molto positivo,
afferma appunto che il dolore
può avere anche un senso positivo,
anche se non lo riusciamo a conoscere e capire.
– Alla fine del libro Dio si presenta a Giobbe
e gli dà la risposta che aveva sollecitato:
“Dio deve venire a giustificarsi davanti a me,
dirmi il perché mi fa soffrire così!”
E Dio appunto gli chiede:
“Senti Giobbe,
ma quando creavo l’universo, le stelle,
i pianeti, la galassie… ho chiesto il tuo parere
o tu mi hai dato dei consigli?
E quando ho creato e diviso le terre asciutte
dalle acque… ho chiesto come fare a te ?
E quando ho plasmato le varie specie di animali:
il rinoceronte, la zebra, il montone, gli uccelli, i pesci…
ho chiesto a te come dovevano essere ?
Ad ogni domanda di Dio,
Giobbe umiliato risponde con un soffio:
“No, Signore!”
Alla fine Dio conclude:
“Perché dovrei chiedere il tuo parere,
o la tua approvazione
sul perché e sul come procede la vita umana
e debba dare giustificazioni a te
per la sofferenza umana?”
Il libro si conclude
con Giobbe che ricupera la salute,
si rifà la famiglia,
ha altrettanti figli e figlie,
entra in possesso delle campagne
e di infinite mandrie di animali, ecc…
e vivrà felice per tanti anni ancora.
– Il Libro di Giobbe tenta di dare una risposta
alla sofferenza umana,
ma arriva al massimo a farci capire
che il dolore non è la negazione di Dio;
la conclusione davanti al dolore non è:
“Se Dio esiste
non dovrebbe permettere certe sofferenze,
- la morte per fame di bambini
o che qualcuno sgozzi un uomo innocente…
Se queste situazioni terribili continuano
non è segno che Dio
o non esiste
o non è interessato a noi.”
E’ segno che non riusciamo a capire
e che se Dio non interviene
non è perché non vuole,
ma perché non lo lasciamo intervenire…
lo mettiamo prima fuori dalla porta
e poi ci lamentiamo
o lo chiamiamo in causa
perché non fa nulla.
Oltre al libro di Giobbe,
noi abbiamo pure il Vangelo
che potrebbe illuminarci
su questo immenso problema
e interrogativo umano:
“Perché il dolore” ?
– Il Vangelo ci dice che Gesù,
a cui Dio voleva un bene dell’anima,
come a se stesso:
lo fa nascere in una stalla,
lo fa lavorare nella povertà,
vive nella precarietà e nella sofferenza,
viene rifiutato, deriso, percosso
messo in croce e lasciato morire
senza che nessuno, neppure il Padre,
intervengano per salvarlo…
Come se Dio non esistesse,
come se quell’Uomo non gli interessasse,
come se non potesse far nulla per fermare quella barbarie.
Mentre così non è:
quel Gesù è la cosa più cara che Dio ha,
eppure lo lascia morire in croce,
lasciandoci intendere
che Dio Padre sembra avere più a cuore noi
che il Figlio.
E’ un mistero d’amore che non riusciamo a comprendere,
ma così è successo.
Il Dio di Gesù è un Dio che fa tutto per amore
e senza amore non è in grado di fare nulla;
è onnipotente, ma solo nell’amore.
N.B.
– Questa pagina del Vangelo
ci narra una giornata della vita di Gesù,
un sabato:
– discorso nella Sinagoga di Cafarnao,
– dialogo con lo spiritato che contesta Gesù,
– verso le 15,30 del pomeriggio
l’assemblea in sinagoga si scioglie
e ognuno torna a casa per mangiare,
– Gesù va in casa di Pietro
– guarisce la suocera di Pietro
(quindi Pietro era sposato e forse già vedovo),
– dopo il tramonto del sole (verso le ore 19)
finisce il riposo sabbatico,
– tanti con malati accorrono verso la casa di Pietro
dove sanno che c’è Gesù,
– Gesù guarisce tutti
– si ferma a dormire da Pietro;
– la mattina presto Gesù si ritira per pregare,
mentre la gente lo cerca,
– Gesù riprende il cammino
per i villaggi della Galilea
ad annunciare il vangelo.
– Qualche sottolineatura al testo del Vangelo:
1° la donna ammalata
è immagine di tutta l’umanità
ammalata e bisognosa di un miracolo
per poter stare bene.
2° Gesù non teme di contaminarsi
toccando una donna ammalata;
Lui si è incarnato
nella nostra umanità
e si sta sporcando le mani con noi.
3° Tutti gli ammalati,
che premono alla porta di Pietro
sperando in un miracolo di Gesù,
sono l’immagine di tutta l’umanità sofferente
e bisognosa di miracoli.
4° Gesù guarisce “molti” cioè “tutti”
ma ci saranno sempre e dovunque ammalati
bisognosi di guarigione…
per quanti miracoli Dio compia
l’umanità sarà sempre sofferente e bisognosa.
5° Abbiamo bisogno di stare bene fisicamente,
ma ancor più della Parola di Dio…
per questo Gesù lascia la casa di Pietro
e comincia ad andare a predicare.
1° Lettura
– Il lebbroso presso tanti popoli dell’antichità
e specialmente presso il popolo ebreo,
era un malato contagioso
e quindi una persona da evitare;
si temeva il contagio
e la diffusione della malattia.
Presso gli ebrei poi
la lebbra era considerata un castigo di Dio
per qualche peccato.
Il corpo che si disfaceva
e la carne che mandava odore
erano un marchio ignominioso del peccato,
il segno che i lebbrosi dovevano essere emarginati,
in nome di Dio.
Il libro del Levitico
espone le disposizioni vigenti in Israele
di come comportarsi con questi ammalati.
Era compito dei sacerdoti,
ufficiali pubblici anche della sanità,
stabilire chi fosse affetto da lebbra
e prendere la decisione di allontanare il malato.
Da tenere presente che a quei tempi
tutte le macchie sulla pelle
potevano essere considerate: lebbra,
macchie epidermiche, le voglie,
la psoriasi, l’eczema, ecc…
Quindi i cosiddetti “lebbrosi”
potevano essere numerosi in quel tempo.
Il lebbroso veniva allontanato
dalla famiglia e dal villaggio,
doveva portare al piede un campanello
che segnalasse la sua presenza,
viveva di stenti nelle grotte delle colline.
Se non moriva di lebbra,
moriva di stenti e di fame in breve tempo.
Queste disposizioni legali e
di precauzione sanitaria,
in Israele erano particolarmente severe
perché il lebbroso veniva considerato
un “maledetto e castigato da Dio”;
e se Dio lo aveva castigato,
perché avrebbero dovuto essere gli uomini
clementi e caritatevoli con lui?
Questo concetto
sarà totalmente rigettato da Gesù,
che avvicina i lebbrosi e li tocca.
VANGELO
– Il gesto di Gesù che tocca il lebbroso
è qualcosa di scandaloso.
Come può una persona per bene
e che fa riferimento a Dio,
toccare un maledetto da Dio ?
E’ un controsenso!
Gesù non solo lo tocca, ma lo guarisce.
Segno anche questo che la malattia
non era un castigo di Dio.
Guarire dalla lebbra
era come risuscitare un morto;
quindi se un lebbroso fosse guarito
era segno che Dio lo aveva perdonato
e fatto risorgere da morte sicura.
Anzi la guarigione miracolosa dei lebbrosi
era una dei “segni” caratteristici,
di cui aveva parlato il profeta Isaia,
per indicare che quando fosse venuto Uno
a guarire i lebbrosi,
quello era il Messia, l’inviato di Dio.
– Il lebbroso a Gesù non chiede la guarigione,
ma di essere “purificato” dal suo peccato
e poter ritornare a far parte della società.
Anche lui era convinto che se era diventato lebbroso
questo doveva essere la conseguenza di un suo peccato.
Inoltre l’esclusione sociale gli pesava più della malattia.
– Il fatto che Gesù tocchi il malato
sta a indicare che non è un maledetto da Dio,
ma è solo un malato,
una persona con dei limiti fisici,
come li abbiamo tutti…
Dio non era il responsabile;
anzi è venuto proprio per darci una mano.
Dio non castiga alcuno,
non manda malattie o lebbra…
Dio è Amore, è Salvezza
e la guarigione è il segno
che Dio è in mezzo a noi,
per salvare.
– La guarigione operata da Gesù
è anche una contestazione
delle leggi mosaiche,
impropriamente attribuite a Dio.
Gesù non rispetta quelle leggi, ingiuste,
perché sono contro l’uomo
e non vengono certo da Dio.
“Gesù è mosso a com-passione”…
ci dice che Gesù non è un guaritore
che desidera farsi notare;
ma è una Persona che vicino al dolore
prova una sofferenza interiore
che lo sconvolge fin nelle viscere più intime.
Gesù soffre con chi soffre.
– Un ultimo dettaglio:
non possiamo non chiederci,
perché Gesù ammonisce e manda via bruscamente
il lebbroso risanato… e sappiamo che lo farà
molte altre volte;
come si non volesse che alcuno venisse a sapere
del suo gesto prodigioso.
Perché ?
– Perché Gesù si vedeva circondato
da un’infinità di malati e gente povera e
bisognosa di aiuto… ma non voleva essere visto
o considerato un prestigiatore,
un taumaturgo… un guaritore…
Neppure a nome di Dio.
Lui ha un messaggio da annunciare
e la notorietà di questi fatti strani
non lo aiutava a far capire alla gente
la sua vera missione:
annunciare un Dio Padre che ama,
che perdona, che accoglie sempre e tutti;
far capire che davanti a Dio
non ci sono peccatori da punire,
ma solo figli in difficoltà e da aiutare.
Questo era il messaggio e la Buona Notizia
che Gesù intendeva far arrivare
a chi lo ascoltava.
Non era interessato a sbalordire la folla
con i miracoli;
che anzi veniva distratta dal vero obiettivo.
– Chi ascoltava Gesù
doveva fare un cambiamento di mentalità:
non pensare a un Messia vittorioso,
un condottiero, un re,
un personaggio straordinario,
per la conquista del potere,
armi in pugno…
La folla doveva rendersi conto
che il Regno di Dio era tutt’altra realtà
da come se la sognavano.
E questo Gesù doveva far capire.
Ecco perché raccomanda ai miracolati
di tacere e non dire nulla a nessuno:
avrebbero certamente frainteso la sua missione.
E probabilmente solo dopo la Risurrezione,
la comunità e gli Evangelisti
hanno cominciato a capire quei segni strani,
che non erano riusciti a capire
quando Gesù li compiva, cosa fossero:
segni di salvezza.
Conclusione.
1°
Oggi, come ieri, i reietti sociali
sono ancora di attualità:
gli ebrei per gli ariani di razza;
gli zingari per le persone “perbene”;
gli omosessuali per i “veri uomini”;
i divorziati per la Chiesa (fino a ieri…);
gli immigrati per i leghisti e non solo…
i neri per i bianchi razzisti;
drogati e alcoolisti
ex carcerati
barboni
i poveri in genere, quanti cioè non ce la fanno
a sostenere il ritmo e l’impegno economico
di questa nostra società di consumo;
2°
Una società è “umana”
tanto quanto si prende cura degli emarginati.
I forti, i benestanti, i sani, gli “arrivati”
quelli che hanno un posto e un ruolo in società…
ce la fanno anche da soli;
sono gli altri, “gli emarginati”
che hanno bisogno di un aiuto concreto,
non solo a parole o di buoni sentimenti.