«Non io, ma Dio»
«Beato lui!». «Beata lei!». Sono esclamazioni in genere riferite a persone ricche, benestanti, che hanno una bella casa o una supercar o che hanno fatto carriera nella vita.
Ben diverse le “beatitudini” di Gesù, specialmente del vangelo di Luca, più “radicali” rispetto a quelle di Matteo: «Beati voi, poveri… Beati voi, che ora avete fame… Beati voi, che ora piangete… Beati voi, quando vi odieranno, vi escluderanno e vi disprezzeranno…».
A quali beatitudini noi crediamo?
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Se non si entra in una “logica di fede” le beatitudini evangeliche sembrano assurde. Per entrare in una logica di fede occorre avere incontrato Gesù e avere fatto un’esperienza trasformante dell’Amore di Dio. Allora ciò che è assurdo agli occhi degli uomini, appare la realtà più luminosa della vita ai nostri occhi.
L’incontro di Gesù porta a una “rivoluzione copernicana”: è la scoperta che al centro della vita non c’è il nostro IO, ma DIO e il suo Amore. «Non io, ma Dio», era il bellissimo motto del Beato Carlo Acutis, che con quattro parole riassumeva l’essenza della spiritualità cristiana. È esattamente ciò che si legge nella prima lettura, dal libro del profeta Geremia: «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo… Benedetto l’uomo che confida nel Signore!».
La chiave è in questo verbo: “confidare”, che nel suo significato ebraico significa “appoggiarsi”, “poggiare i piedi su”, “porre le propria fondamenta su”. Il povero, l’afflitto, l’affamato e il perseguitato non sono certamente beati per la loro condizione di sofferenza, ma lo sono perché, avendo incontrato il Cristo crocifisso e risorto, hanno scelto di fondare la casa della loro vita sulla roccia indistruttibile dell’Amore di Dio: nella condizione di sofferenza hanno saputo trovare in Lui la vera ricchezza, la forza, il nutrimento e il rifugio. E sono divenuti «come un albero piantato lungo un corso d’acqua», che «non teme la siccità» e «non smette di produrre frutti».
Don Francesco