Fratelli come prima
Dio ha il potere di rimettere insieme i pezzi della fratellanza frantumata, quando nel cuore c’è un sincero desiderio di riconciliazione.
La liturgia ci fa passare dalla storia di Giacobbe a quella del figlio Giuseppe e dei suoi fratelli. La prima lettura riporta una pagina relativa alla parte finale di questa storia. I fratelli, recatisi in Egitto a causa della carestia, incontrano Giuseppe, che avevano venduto per gelosia ed era poi divenuto, a loro insaputa, viceré d’Egitto. Giuseppe riconosce i fratelli mentre essi non lo riconoscono nelle vesti di sovrano. Perciò, li mette alla prova perché possano riflettere sull’atto malvagio compiuto contro di lui. Tiene prigioniero uno di loro e chiede di condurgli il fratello più giovane, Beniamino, rimasto nella terra di Canaan con Giacobbe. I fratelli vedono in questa richiesta un giusto giudizio di Dio per ciò che avevano fatto a Giuseppe. Quando se ne andarono, dice il racconto, «Giuseppe andò in disparte e pianse».
La storia di questi fratelli è bellissima perché sentiamo che è anche la nostra storia. Noi cristiani ci chiamiamo “fratelli” perché sappiamo di essere figli di un solo Padre, ma a volte ci facciamo del male perché lasciamo prevalere le gelosie e lo spirito di rivalità, la volontà di primeggiare, la presunzione di essere i migliori…. E, come un preziosissimo vaso di ceramica che cade in mille pezzi, così il dono della fratellanza si frantuma in un attimo. Ma, come avviene nell’arte giapponese del Kintsugi, in cui gli oggetti di ceramica sono riparati con l’oro e diventano più belli di quando erano integri, così Dio ha il potere di rimettere insieme i pezzi della fratellanza frantumata, quando nel cuore c’è un sincero desiderio di riconciliazione.
Il pianto di Giuseppe dice questo desiderio, così come la disponibilità dei fratelli ad assecondare le sue richieste pur di salvare il fratello rimasto prigioniero.
La storia di Giuseppe ci ricorda che la Provvidenza divina può trarre anche da un grande male un bene maggiore. Infatti, Giuseppe, il fratello venduto, diviene il salvatore della famiglia nel tempo della carestia e uno strumento di riconciliazione per ridare vita alla comunione frantumata.
Giuseppe prefigura Gesù, tradito e venduto per trenta monete d’argento, che simboleggiano i nostri peccati, ma divenuto causa di salvezza e strumento di riconciliazione tra gli uomini e con Dio.
Nel Vangelo di oggi istituisce i Dodici apostoli, a cui dà il potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità. Il peggiore spirito impuro e la peggiore malattia è quella che ci separa dai fratelli, ed è riconducibile all’orgoglio, radice di ogni gelosia, invidia e rivalità.
Preghiamo, allora, con il salmista, dicendo: «Dall’orgoglio salva il tuo servo, Signore, perché su di me non abbia potere; allora sarò puro dal grande peccato!» (Sal 19,14). Amen!