Il volo più bello
È nel combattimento con noi stessi e con il demonio che possiamo vedere all’opera nel modo più grande l’amore di Dio
Giacobbe è in viaggio per incontrare Esaù. Desidera riconciliarsi con lui. Egli sa che il fratello non gli aveva perdonato l’inganno con cui aveva carpito la benedizione di Isacco e voleva ucciderlo. Per farsi perdonare e placare la sua ira, gli prepara in dono capri, pecore, cammelli, giovenche e asini e li invia avanti a sé tramite i suoi servi in dono per il fratello.
È un momento cruciale della vita di Giacobbe. Egli ha paura per la propria vita e quella dei suoi familiari. Come Abramo mentre sale sul Mòria, si affida a Dio senza sapere cosa accadrà.
È a questo punto, presso il torrente Iabbòk, che troviamo uno dei racconti più affascinanti dell’Antico Testamento.
«Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell’aurora». Chi è questo uomo? Con chi lotta Giacobbe?
Non c’è una risposta chiara e univoca. Ciò che è certo è che questa narrazione ha un forte potere evocativo. La lotta di Giacobbe illumina le nostre lotte. Ci ricorda che il cammino di fede comporta inevitabili momenti di combattimento nella notte, nell’oscurità. San Paolo scrive che il nostro combattimento non è contro gli uomini ma contro lo spirito del male. Ma sappiamo che l’azione del demonio è permessa da Dio. Quindi, paradossalmente, è come se lottassimo con Dio. Il combattimento è permesso da Dio affinché vinciamo noi stessi, il nostro amor proprio, le nostre paure, la fatica ad affidarci al Padre, il nostro crederci al centro del mondo… Giacobbe si rende conto che è più debole del suo avversario ma intuisce che è un inviato di Dio e gli dice: «Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!» e l’uomo gli dice: «Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!». Giacobbe esclama: «Davvero ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva».
Israele, il nuovo nome di Giacobbe, diverrà anche il nome del popolo che avrà origine della sua discendenza. Anche noi portiamo questo nome: siamo, per fede, «figli di Israele» (cf. Ap 7,4). Tutti noi abbiamo i nostri “Iabbòk”: ci troviamo dentro notti oscure a lottare corpo a corpo con le nostre ansie e i nostri “dèmoni”. Ciò che conta in questi momenti non è vincere, ma lottare, perché alla fine siamo certi che Dio ci darà la sua benedizione. Perché in quel buio è nascosta la luce più grande, in quella lotta con satana possiamo “vedere” all’opera l’amore di Dio… E alla fine rimarremo feriti da questo amore. Feriti dal Cuore ferito di Cristo.
È la gioia di scoprirsi figli in modo nuovo, con la gratitudine nel cuore, come un uccello ferito che torna a volare e scopre in modo nuovo l’ebbrezza di solcare il cielo.
Perché egli, come ci ricorda il vangelo di oggi, è venuto per vincere il maligno.
Con il salmista, diciamo, quando il nemico ci assale: «Custodiscimi, Signore, come pupilla degli occhi!». Amen.