Il Signore vede il cuore
Il racconto del libro di Tobia si conclude con un colpo di scena narrativo: l’arcangelo Raffaele si fa riconoscere, in modo che appaia chiaramente che l’intera vicenda è stata guidata dalla mano provvidente di Dio.
Prima di manifestarsi, Raffaele esorta Tobi e suo figlio con queste parole: «Fate ciò che è bene e non vi colpirà alcun male. […] Coloro che commettono il peccato e l’ingiustizia sono nemici di se stessi». Quindi rivela la propria identità, dicendo: «“Quando tu e Sara eravate in preghiera, io presentavo l’attestato della vostra preghiera davanti alla gloria del Signore…. Io sono Raffaele, uno dei sette angeli che sono sempre pronti a entrare alla presenza della gloria del Signore…”. E salì in alto». Allora Tobi, pieno di stupore e di gioia, proruppe in un solenne canto di ringraziamento, in parte riportato nella liturgia odierna (cf. Tb 13). Troviamo queste parole: «Benedetto Dio che vive in eterno… Egli fa risalire dalla grande perdizione: nessuno sfugge alla sua mano…»
Nessuno sfugge alla mano di Dio e – come si legge nel Siracide – «le opere di ogni uomo sono davanti a lui, non è possibile nascondersi ai suoi occhi» (Sir 39,19).
Questo è il grande insegnamento del libro di Tobia e al tempo stesso del Vangelo di oggi. Gesù osserva la folla che getta monete nel tesoro del tempio. «Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò soltanto due monetine». Apparentemente questa donna è meno generosa, ma «l’uomo vede solo l’apparenza, il Signore vede il cuore» (cf. 1Sam 16,7). Gesù dice ai discepoli: «Questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».
La povera vedova è un modello da imitare per ogni discepolo di Gesù. A Dio non si dà il superfluo. Non si danno le briciole, ma il cuore, cioè tutta la propria vita, come Gesù avrebbe fatto di lì a poco per noi. Questo vale per tutti i battezzati. Non solo per i religiosi. E vuol dire compiere ogni azione nella nostra giornata per la sua gloria e non per noi stessi. Vuol dire accettare nella pace da Lui ogni avvenimento, sapendo che nulla sfugge alla sua mano.
Mi chiedo: Cosa c’è nel mio cuore? Un amore umile e disinteressato oppure la brama di essere ammirato dagli uomini? Assomiglio più agli scribi, che come tronfi pavoni si mettono in mostra, oppure posso dire di essere simile alla povera vedova, che si preoccupa soltanto di piacere a Dio?