LIBERI E POVERI
Ciò che in san Francesco d’Assisi può sembrare una “follia” è in realtà la verità più profonda della vita di ogni uomo, ovverossia che non siamo fatti per essere schiavi della ricchezza e del successo, ma per volare liberi e poveri con un unico fine: amare come Gesù ci ha amati
Il padre di Francesco d’Assisi era molto facoltoso e il figlio amava ostentare questa ricchezza, organizzando feste con gli amici. Era per questo chiamato “il re delle feste”. Come ha osservato il Cardinale Angelo Comastri, se avesse continuato a vivere in questo modo nessuno oggi si ricorderebbe di lui!
Nel 1206, a ventiquattro anni, nella chiesetta di San Damiano ad Assisi, accade un fatto che mette in crisi tutte le sue sicurezze, soprattutto l’idea che i beni materiali possano rendere felici. È l’incontro con Gesù vivo. Non è che prima non credesse in Lui. Ma non aveva mai avuto così chiaramente la percezione che quell’uomo povero e nudo in croce è davvero vivo, vivo dentro la nostra vita! Se è così cambia tutto!
C’è un capovolgimento totale nel modo di vedere la felicità. La ricchezza che tanto lo allettava diventa il suo primo nemico e “Madama Povertà” la prima donna da amare. Il padre pensa che suo figlio sia impazzito. Arriva a denunciarlo al vescovo come dilapidatore delle sue sostanze.
Ma qual è la vera follia?
Fu vera follia quella del Francesco penitente o non piuttosto del Francesco prodigo e festaiolo? È vera follia quella di coloro che anche oggi hanno il coraggio di rinunciare a tutto per dedicarsi Dio e ai fratelli bisognosi oppure è vera follia quella di coloro che credono che la felicità consista nel vivere da nababbi e nello sfoggiare abiti firmati e auto di lusso?
Per avere la risposta basta guardare i frutti. Il rinnegamento degli idoli della ricchezza, del successo e della carriera hanno reso san Francesco un uomo tremendamente felice, di una gioia che contagiava tutti. Viceversa, quanti sposano gli idoli della ricchezza, del piacere e del successo – come il giovane ricco del vangelo – approdano alla noia, all’insoddisfazione e alla tristezza.
San Francesco ci appare ancora oggi a distanza di quasi mille anni come un uomo affascinante perché la sua vita ci ricorda la strada che tutti dovremmo percorrere per essere felici. Non si tratta ovviamente di lasciare tutto e di vestire un saio, ma di rapportarsi con vera libertà rispetto ai beni di questo mondo, agli onori e ai piaceri. Sapendo che – come ha insegnato a chiare lettere Gesù – «la vita non dipende da ciò possediamo» (cfr. 12,15), ma da quanto amiamo! (cfr. 1 Cor 13,2-3).
Ciò che nella vita del Poverello di Assisi può sembrare una “follia” è in realtà la verità più profonda della vita di ogni uomo, ovverossia che non siamo fatti per divenire schiavi della ricchezza e del successo, ma per volare liberi e poveri, come passerotti nel cielo, con un unico fine: amare come Gesù ci ha amati.
San Francesco mostra perciò con la sua vita la verità del vangelo proclamato nella sua festa: il regno di Dio – che è «pace e gioia nello Spirito» (cfr. Rm 14,17) – appartiene ai piccoli e i pesi della vita divengono «leggeri» e «dolci» quando ci abbandoniamo in Gesù e abbracciamo senza condizioni il suo giogo!
La conversione di Francesco non solo gli ha regalato la vera felicità a cui il suo cuore aspirava, ma l’ha reso un vero strumento per riformare la Chiesa di Cristo. Gesù, dal Crocifisso di San Damiano, gli aveva detto: «Va’ e ripara la mia chiesa!». E come la ripara? Come va a riparare quella Chiesa in cui anche le alte gerarchie apparivano corrotte proprio a causa di quella ricchezza e di quella smania di potere che Francesco aveva rinnegato? Forse mettendosi ad accusare sacerdoti, vescovi e cardinali o agendo contro di loro?
No, egli aveva intuito che per salvare se stesso e contribuire a riparare la Chiesa doveva seguire la strada che Gesù stesso aveva seguito: la strada dell’Amore povero e crocifisso, la strada dell’umiltà e dell’obbedienza. Coltivò nel suo cuore questo amore mediante una preghiera continua a tal punto che i segni del Crocifisso s’impressero nella sua carne. Con San Paolo poteva esclamare – come si legge nella prima lettura di oggi – «quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo».
Che l’Altissimo susciti anche oggi, per intercessione del santo Patrono d’Italia, anime piccole e semplici, che mostrino con la loro vita la strada della vera beatitudine evangelica. Amen.