don Francesco Pedrazzi – Commento al Vangelo del 28 Maggio 2021

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Gli uomini illustri e il fico sterile

Il Siracide proclama la gloria di Dio – cioè la sua bellezza, grandezza, bontà – che risplende ovunque nel mondo, in tutte le sue opere. L’opera che più di tutte le altre può irradiare la gloria del Creatore è l’uomo. Ma non ogni uomo. Quelli che chiama “gli uomini illustri”. Il brano di oggi inizia con le parole: «Facciamo ora l’elogio di uomini illustri, dei padri nostri nelle loro generazioni». Qui si apre una sezione del libro in cui viene fatto l’elogio di tutti i “santi” dell’Antico Testamento, da Enoc ad Abramo, da Mosè a Samuele e molti altri.
Interessante questo aggettivo “illustri”, che in italiano significa “coloro che danno lustro”, dal latino “lustrum”, “luce”, e quindi: “dare luce“. Letteralmente: “uomini luminosi”, “splendenti”, che danno luce. Il termine ricalca la versione greca, dove troviamo un aggettivo che contiene la parola “gloria” (doxa): uomini “gloriosi”, che irradiano la gloria di Dio, la sua luce (cf. Mt 5,16).

Chi sono per l’autore del Siracide gli uomini luminosi e gloriosi? Così sono definiti al capitolo secondo: «Quelli che temono il Signore cercano di piacergli, quelli che lo amano si saziano della legge» (2,16).
È quindi l’intenzione del cuore che cerca Dio ciò che rende l’uomo “illustre”, “luminoso”.

Vale la pena di rifletter su questo punto: quando cerchiamo con sincerità di cuore di piacere a Dio diventiamo come specchi che riflettono la sua luce e la sua bellezza!

Viceversa, il vangelo di oggi ci mette in guardia dalla falsa religiosità di chi cura solo l’apparenza, l’esteriorità, perché cerca di piacere agli uomini, senza esaminare il proprio cuore davanti a Dio. Per comprendere il significato del fico sterile, pensiamo a quel noto proverbio italiano: «Tanto fumo e niente arrosto!». Qui si potrebbe dire :«Tante foglie e niente frutti!». Infatti, il fico ha delle foglie grandi e visto da lontano è difficile capire se vi siano dei frutti. Ma Dio ci vede “da vicino”: «l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore» (1Sam 16,7). Nel brano di oggi leggiamo, infatti: «Avendo visto da lontano un albero di fichi che aveva delle foglie, Gesù si avvicinò per vedere se per caso vi trovasse qualcosa ma, quando vi giunse vicino, non trovò altro che foglie».

Le foglie simboleggiano la vanagloria dei farisei e dei capi di Israele, che fanno tutto «per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange» (cf. Mt 23,5), si vantano per la bellezza del loro tempio e per gli arredi sacri, ma sono come «sepolcri imbiancati: all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume» (Mt 23,27). Poiché questo fico non ha frutti da offrire al Figlio di Dio, rimarrà per sempre sterile: nemmeno gli uomini mangeranno più dei suoi frutti. A differenza degli alberi da frutto, siamo invitati a cercare di piacere a Dio in ogni stagione (anche in quelle “invernali”!) e non solo nella “bella stagione”. Una delle cose più pericolose della vita spirituale è il pensare che ci sarà un tempo “domani” migliore per convertirci. Se non lo facciamo oggi, non lo faremo mai!

Correlato, nel suo significato simbolico, all’episodio del fico sterile, è il gesto profetico della purificazione del tempio e della cacciata dei mercanti. Non certo per giustificare l’irascibilità, ma per ammonirci sul fatto che siamo tempio dello Spirito Santo e che il Signore vede cosa c’è nel nostro cuore!

All’inizio di questa giornata mi pongo la domanda: nella mia religiosità quanto conta l’apparenza, il desiderio di piacere agli uomini, e quanto conta la cura del cuore, e quindi il desiderio di piacere a Dio. Quali sono i mercanti che profanano il mio cuore e lo rendono un “covo di ladri”, invece che una casa di preghiera”? Posso pregare con il salmista, ripetendo spesso: «Crea in me, o Dio, un cuore puro!».

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