don Francesco Pedrazzi – Commento al Vangelo del 28 Giugno 2021

1352

Il fuoco e la rugiada

La vita non è necessariamente una “favola a lieto fine”

Il Signore dice ad Abramo: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave!». Il testo non precisa di quale peccato si siano macchiati gli abitanti di Sodoma e Gomorra. Troviamo una chiave di lettura nel Nuovo Testamento, nella Lettera di Giuda, dove si legge: «Sòdoma e Gomorra e le città vicine, si abbandonarono all’immoralità e seguirono vizi contro natura…». Il racconto, in alcuni passaggi omessi dai testi liturgici, allude a un comportamento depravato nei confronti degli ospiti inviati da Dio. Infatti, i tre misteriosi pellegrini arrivano in città e gli abitanti dicono a Lot: «Dove sono quegli uomini che sono entrati da te questa notte? Falli uscire da noi, perché possiamo abusarne!». È evidente il contrasto tra l’umile accoglienza di Abramo e la mancanza di rispetto e di accoglienza da parte degli abitanti di Sodoma. La depravazione su un piano affettivo si traduce quindi in un peccato contro la carità e l’accoglienza.

Abramo intercede presso Dio perché perdoni i peccati degli abitanti di quella città, dove si erano trasferiti anche i membri del clan del nipote Lot. Dio risponde ad Abramo che se si trovassero anche solo per dieci giusti in quella città, essa sarebbe risparmiata per riguardo a quei giusti. Ma quei dieci giusti non li ha trovati… I tre uomini permettono solo a Lot, alla moglie e alle due figlie di uscire dalla città, prima della sua distruzione.

Il fuoco che divora la città rimanda al fuoco delle basse passioni che rendono l’uomo schiavo dei propri istinti e gli impediscono di accogliere e servire con purezza e rispetto i fratelli che Dio mette sul nostro cammino. Dio può salvare da questo fuoco solo se c’è una volontà di conversione, perché non può mai agire contro la libertà umana. Nondimeno, il racconto ci fa capire che Egli è in grado di salvare i peccatori grazie all’intercessione dei giusti. Vengono in mente quelle drammatiche parole che disse la Santa Vergine ai Pastorelli di Fatima, ai quali aveva mostrato l’inferno: «Pregate, pregate molto e fate sacrifici per i peccatori, perché molte anime vanno all’inferno, perché non c’è chi si sacrifica e prega per loro».

È una parola dura ed esigente anche quella del vangelo di oggi, in cui Gesù chiede, a chi intende seguirlo, una disponibilità di base ad abbandonare ogni sicurezza, anche quella rappresentata da una dimora stabile o dai legami familiari.

I testi di oggi ci ricordano che la vita è sì un dono meraviglioso, ma anche una realtà molto seria. Non è una favola con un lieto fine già scritto! Il lieto fine dipende da noi, perché – come scriveva sant’Agostino – “Dio che ci ha creato senza di noi, non può salvarci senza di noi” [​Cf. Sermo CLXIX, 13]. Possiamo certamente credere a un lieto fine se ci sforziamo di mettere Dio al primo posto, se torniamo a Lui con cuore pentito, se crediamo al suo amore per noi.

Come la rugiada del mattino rinfresca i fiori e l’erba, il Salmo di oggi, il 102, dona refrigerio al cuore, proclamando la bontà e la tenerezza di Dio per quanti lo temono: «Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore!». 

Fonte