IL PONTE TRA CIELO E TERRA
Noi crediamo in una Chiesa “apostolica”, non solo perché la nostra fede è quella degli Apostoli, ma perché essi ci mostrano in modo esemplare che cosa vuol dire seguire Gesù: vuol dire percorrere il “ponte” della sua umanità crocifissa per essere infiammati dal fuoco del suo amore.
Gesù dice a Natanaele, cioè a colui che diverrà l’apostolo Bartolomeo: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste! … In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».
Santa Caterina da Siena, nel suo Dialogo della Divina Provvidenza ci aiuta ad approfondire queste parole di Gesù nella “dottrina del ponte”. Gesù è presentato come un “ponte” posto tra il cielo e la terra, per riparare la via interrotta dal peccato. È per questo che dopo il diluvio l’arcobaleno (“l’arco di Dio sulle nubi”), viene indicato come il “segno dell’alleanza tra Dio e la terra” (cfr. Gn 9,13). La divinità di Gesù, unita alla sua vera umanità, forma un ponte tra cielo e terra, attraverso cui Dio riconcilia a sè l’umanità perduta.
Questo ponte è formato da tre grandi “scaloni”, in corrispondenza dei piedi, del costato e della bocca di Gesù: «Al primo scalone, sollevandosi dalla terra sui piedi dell’affetto, l’anima si spoglia del vizio; sul secondo si veste d’amore e di virtù; sul terzo finalmente gusta la pace». … «Nessuno può avere in sé la vita della grazia se non li sale tutti e tre…» (cfr. Dialogo della Divina Provvidenza. EDS, Bologna 1989, pp. 75; 209).
Natanaele incontra per la prima volta Gesù, ed egli gli mostra già il percorso da seguire e la meta. In quel momento il discepolo non può capire, ma Gesù gli sta mostrando che la via da seguire per arrivare alla salvezza è il divenire una cosa sola con la sua persona umano-divina innalzata sulla croce. La capirà più tardi, quando – dopo la Risurrezione di Cristo – potrà esclamare, come san Paolo, «sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me!». (Gal 2,19-20). Da “Israelita in cui non c’è falsità», che medita la Scrittura sotto un albero di fico, Natanaele diviene qualcuno di ben più grande: un martire di Cristo, cioè un testimone del Sangue dell’Agnello, versato per la nostra salvezza!
La prima lettura riporta la visione maestosa della città santa, Gerusalemme, cioè della Chiesa gloriosa di Cristo che poggia «su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli». Noi, infatti, crediamo in una Chiesa “apostolica”, non solo perché la nostra fede è quella degli Apostoli, ma perché essi ci mostrano in modo esemplare che cosa vuol dire seguire Gesù: vuol dire bere il calice che lui ha bevuto e ricevere il battesimo che lui ha ricevuto, cioè il battesimo di sangue, per richiamare le parole che Cristo ha detto ai fratelli Giacomo e Giovanni.
Il nostro battesimo non è un battesimo solo di acqua, ma di sangue e Spirito. Il che vuol dire che per salire sul ponte dell’umanità crocifissa di Gesù siamo tutti chiamati ad abbracciare la croce e a consegnarci totalmente nelle mani paterne di Dio in modo da lasciarci infiammare dall’amore dello Spirito Santo.
Nella dottrina del ponte si legge che l’anima, quando arriva al costato di Cristo, riceve il battesimo del sangue redentore di Cristo, che la rende capace di vivere nell’amore, in forza del sacramento dell’Eucaristia (Ivi, p. 191).
Chiediamo a Maria, Regina degli Apostoli, di aiutarci a rimanere sempre sul ponte dell’umanità crocifissa di Cristo, per poter un giorno entrare nel Cielo che egli ha aperto con la sua morte e risurrezione. Amen.