La grande paura
Come un fiume che si disperde in mille rivoli e dissecca così è la vita di chi pensa solo a distrarsi e a divertirsi per vincere la paura della morte e per evitare di riflettere sul proprio destino eterno.
La prima lettura riporta l’evento memorabile dell’uscita di Israele dalla terra di Egitto. Per noi discepoli di Gesù questa liberazione è un’immagine eloquente del passaggio dalla condizione di schiavi alla condizione di figli, di uomini liberi, in forza della grazia di Cristo.
Nella Lettera agli Ebrei si legge che «Cristo ha ridotto all’impotenza mediante la sua morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e ha liberato così quelli che, per timore della morte, sono soggetti a schiavitù per tutta la vita» (Eb 2,14-15).
La paura della morte è quindi il filo attraverso cui il burattinaio infernale ci tiene prigionieri! È un’ombra che sovrasta l’esistenza dell’uomo, che egli lo sappia o no, e che gli impedisce di essere pienamente libero, di essere sé stesso. «L’ombra di morte» di cui parla il Cantico di Zaccaria, si dirada quando siamo visitati da Cristo il «sole che sorge dall’alto» (cf. Lc 1,78-79).
Gesù ci libera da questa paura e ci permette di guardare in faccia alla morte come a una “sorella”, non come a una fonte di angoscia.
Ma davvero abbiamo permesso a Cristo di liberarci dalla paura della morte?
Come ha scritto il grande filosofo Blaise Pascal tanti cristiani non sono mai stati veramente «guariti dalla morte», ma al contrario decidono «non pensarci» gettandosi sul «divertissement», cioè su quelle distrazioni mondane che impediscono di pensare, di riflettere sul proprio destino eterno, e il “divertissement” diviene in realtà «la maggiore tra le nostre miserie» (Blaise Pascal, Pensieri, n. 168.171)
Tutte le nostre pigrizie e indolenze, le nostre angosce, ansie, paturnie… così come l’ira, la violenza verbale e fisica… sono tutte figlie della paura della morte, della paura di invecchiare, di ammalarci, di divenire impotenti… Ma non possiamo vincere questa paura scegliendo di non riflettere sulla morte e di gettarci a capofitto nelle distrazioni: al contrario, questo ci porta a una vita mediocre, dispersa in mille distrazioni e piaceri mondani, come un fiume che si disperde in mille rivoli e dissecca o come, come un uccellino in una gabbia aperta che preferisce la schiavitù con il cibo assicurato, a una condizione di vera libertà.
Vivere ogni giorno della nostra vita terrena, con la coscienza che potrebbe essere l’ultimo, ma sentendosi in coscienza sereni e pronti a incontrare il Giudice della vita, è un segreto di grande sapienza! (cf. Sal 90.12). È ciò che ci consente di imitare Gesù buono e umile di cuore, ritratto oggi dalle parole di Isaia: «Colui che non alza la voce, non spezza una canna già incrinata e non spegne una fiamma smorta…». Colui che dinanzi a coloro che volevano «farlo morire» continua ad essere sereno, mansueto come un agnello, perché non libero dalla paura della morte.
Nel Getsemani ci insegna che la preghiera accorata di abbandono nelle braccia del Padre è il grande rimedio per vincere gli assalti del “Principe della morte”.
Metti nel nostro cuore, o Signore, la certezza che tu hai vinto la morte, che chi crede in te non muore, ma entra nella vita! Amen.