don Francesco Pedrazzi – Commento al Vangelo del 15 Ottobre 2021

1226

PUSILLANIMITÀ

La fede in Gesù domanda la consapevolezza di essere peccatori, ma anche il coraggio di aspirare alla santità, vincendo il “rispetto umano” nel compiere le opere di penitenza che i santi hanno compiuto.  

Prosegue l’insegnamento di Paolo, che intende mostrare che la salvezza viene dalla fede in Gesù e non da un’osservanza esteriore della legge. Se la salvezza derivasse dalle opere, scrive Paolo, Abramo dovrebbe vantarsi davanti a se stesso, «non davanti a Dio». Sarebbe lui l’autore della propria salvezza! Ma non è così!

Inoltre, se la salvezza derivasse da un’osservanza della legge ci sarebbe da chiedersi perché Dio ha inviato suo Figlio nel mondo, visto che la legge c’era già prima di lui!

L’Apostolo ci ricorda che la salvezza non è semplicemente il risultato di un impegno dell’uomo che cerca di comportarsi bene, di osservare dei riti e di credere a delle dottrine. Queste cose sono necessarie, ma ci salvano solo se scaturiscono della fede in Gesù. Se bastassero per conseguire la salvezza, l’uomo non avrebbe bisogno di Gesù! In realtà, la salvezza giunge a noi prima di tutto nella forma della remissione dei peccati, perché le opere anche apparentemente più sante sono come un «panno immondo» agli occhi di Dio – come scrive Isaia (Is 64,5), perché sempre inquinate, in qualche misura, dall’amor proprio e dalla vanagloria.

Ciò che ci salva è prima di tutto il ricevere il perdono di Dio e permettere che questo perdono ci trasformi e ci conduca a una vita di vera penitenza.

Ecco perché oggi Paolo cita il Salmo 32: «Beati quelli le cui iniquità sono state perdonate e i peccati sono stati ricoperti; beato l’uomo al quale il Signore non mette in conto il peccato!». È quello che è accaduto, ad esempio, al ladrone in croce. Quale merito aveva per conseguire il paradiso, se non la fede in Gesù che gli ha permesso di ottenere il perdono dei peccati? Certo, se fosse sopravvissuto a quella condanna, la fede in Gesù si sarebbe manifestata esteriormente anche nelle opere di conversione!

Agli antipodi del ladrone pentito troviamo «il lievito dei farisei» di cui parla Gesù nel vangelo. Questo lievito è l’ipocrisia che consiste in una falsa religiosità, in cui per il semplice fatto di essere religiosi e osservanti della legge ci si sente superiori agli altri. Ma il Signore vede ciò che è nascosto: vede il cuore, vede che sotto il sepolcro imbiancato c’è il “putridume” della superbia.

La via della vera santità esige prima di tutto l’umiltà di riconoscerci sempre peccatori e bisognosi del perdono di Dio! Tuttavia, occorre fare attenzione anche al rischio, oggi molto diffuso, di intendere l’umiltà in modo sbagliato, come “pusillanimità”. Una persona è pusillanime nel cammino di fede quando si accontenta del minimo indispensabile, è rinunciataria, sempre in preda alla svogliatezza, all’ignavia, alla “mollezza”… come un “invertebrato”, privo di ogni entusiasmo e di slanci di santità!

La fede in Gesù, infatti, domanda sì la consapevolezza di essere peccatori, ma anche il coraggio di aspirare alla santità, vincendo il “rispetto umano” nel compiere le opere che i santi hanno compiuto.  Su questo punto, Santa Teresa d’Avila ci ha offerto insegnamenti preziosi.

Scrive la santa carmelitana: «Occorre ben capire come questa umiltà debba essere, per evitare il danno che il demonio fa a molte persone di orazione, a cui impedisce di progredire col suggerire false idee di umiltà, persuadendole essere superbia nutrire grandi desideri, voler imitare i santi e desiderare il martirio. Dice e persuade che le azioni dei santi sono degne di ammirazione ma non imitabili da noi che siamo peccatori. […] bisogna distinguere quello che si può imitare da quello che è solo da ammirare. Non sarebbe certo ben fatto che persona debole e ammalata praticasse lunghi digiuni, aspre penitenze e si ritirasse in un deserto ove non potesse dormire, né avesse da mangiare, e cose simili. Però dobbiamo pensare che con l’aiuto di Dio ci possiamo far forza e giungere anche noi a disprezzare il mondo, a non stimare gli onori e a non attaccarci ai beni della terra. Ma siamo così pusillanimi che appena ci decidiamo di trascurare alquanto il corpo per occuparci dello spirito, temiamo subito che ci manchi la terra sotto i piedi!» (Libro della vita XIII,4)

Se non sappiamo compiere nessun digiuno e nessuna opera di penitenza, ad esempio per timore della nostra salute fisica e per una “mentalità salutista”, c’è da dubitare della bontà della nostra conversione! E dove sarebbe qui la fiducia in Gesù che oggi ci dice che il Padre si prende cura anche dei passerotti e noi valiamo ben più di essi!? Gesù ha versato il suo Sangue per noi e non sapremo offrire a Lui, per amor suo e in sconto dei nostri peccati, nemmeno un piccolo digiuno o una mortificazione?

La vera fede, in fondo, la vediamo all’opera nei santi: da una sincera fede in Gesù devono derivare necessariamente opere di penitenza e di carità!

Che la Santa Vergine ci aiuti a percorrere questa strada, abbandonando ogni pusillanimità e ipocrisia. Amen.

Fonte