OBBEDIENZA E CORAGGIO
San Paolo scrive che tutta la sua missione ha come scopo di portare gli uomini all’«obbedienza della fede», cioè a compiere la volontà di Dio sull’esempio di Abramo, anche quando essa risulta oscura e sembra sconvolgere la vita
Inizia oggi la proclamazione del capolavoro teologico di san Paolo, la Lettera ai Romani, che per quattro settimane accompagnerà la liturgia della Parola.
Nella prima lettura odierna è riportato il saluto iniziale. Paolo si presenta come «servo di Cristo Gesù», che da Cristo ha ricevuto «la grazia» di essere un apostolo allo scopo di «suscitare l’obbedienza della fede» in tutti gli uomini.
È interessante questa espressione: «obbedienza della fede», che anticipa parte del contenuto della lettera. L’Apostolo, infatti, scrive ai Romani per ricordare che cos’è la fede, a partire dalla figura biblica di Abramo. Abramo è un modello di fede perché crede «contro ogni speranza» (4,18), cioè obbedisce a Dio quando gli chiede la prova più difficile che un uomo possa affrontare: consegnargli suo figlio, Isacco, portandolo sulla cima del monte dell’olocausto. Non capisce, ma obbedisce, perché sa che vale sempre la pena di fidarsi di Dio. E’ per questo che Abramo diviene «padre di molti popoli», padre dei credenti (cfr. 4,18).
L’obbedienza è quindi l’espressione essenziale della fede, perché aver fede in Dio vuol dire aderire alla sua Parola e metterla in pratica, anche quando questa parola sembra sconvolgere la nostra vita.
Gesù nel Vangelo ci mette davanti al fatto che abbiamo una grave responsabilità dinanzi alla Parola che ci viene annunciata ogni giorno. Perché questa parola è Gesù: «uno più grande» di Giona e Salomone. Se non ci convertiamo dinanzi ai fiumi di grazia che vengono riversati su di noi in Cristo, dobbiamo temere un severo giudizio.
Convertirsi vuol dire aderire alla Parola di Dio e metterla in pratica, passare – per usare alcune espressioni paoline – dall’obbedienza della carne all’obbedienza della fede, rinnovando il nostro modo di pensare e rivestendo l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità (cfr. Ef 4,24).
Come quel signore anziano che raccontò che quando era un bambino aveva paura del buio, ma un giorno il padre gli chiese di raggiungere la malga per portare una medicina alla nonna, ed egli non esitò a fare una camminata di due ore al buio, attraversando boschi e valli, con una piccola torcia. Per lui era inconcepibile disobbedire al padre e l’obbedienza gli diede perciò il coraggio di vincere la sua più grande paura!
«Obbedienza e pace» era il motto episcopale di san Giovanni XXIII, il “Papa buono”, sempre mite e gioviale. Era proprio l’obbedienza che gli garantiva la pace e la serenità del cuore. Scrive nel suo Giornale dell’anima mentre è Nunzio a Parigi: «Poiché vivo in esercizio costante di obbedienza, questa mi dà coraggio, e sgombra ogni timore» (8-13 dicembre 1947)
O Maria, Vergine fedele, insegnaci a cercare la pace nella perfetta obbedienza alla Divina Volontà. Amen.