IL MORBO DEL GIUDIZIO
L’uomo tendenzialmente vede i difetti degli altri e non i propri; a meno che non si metta con umiltà davanti alla Parola di Dio e chieda allo Spirito Santo la luce per vedere i propri peccati
Inizia oggi la proclamazione della Prima Lettera di san Paolo a Timoteo, una delle cosiddette “lettere pastorali”. Lo scopo, infatti, è di comunicare a Timoteo, e indirettamente ad altri pastori della Chiesa, indicazioni disciplinari, organizzative e dottrinali.
È evidente l’intento “apologetico” delle tre lettere pastorali di Paolo. In particolare, nella prima Lettera a Timoteo l’Apostolo ha a cuore che il suo “vero figlio nella fede” custodisca il deposito della fede autentica, evitando le «chiacchiere vuote e perverse» e le «obiezioni» che derivavano dalla «falsa scienza», cioè da ragionamenti umani che qualcuno cercava di fare passare come dottrina cristiana.
Come tutti gli scritti paolini, siamo di fronte a un testo di grande attualità, che offre criteri utili anche a noi oggi per orientarci nella “jungla di idee” che circolano all’interno della Chiesa e che creano divisione, confusione e turbamento.
Oggi viene riportato il saluto iniziale, in cui Paolo ringrazia il Signore Gesù, che lo ha «reso forte» e lo ha messo al suo servizio, lui che prima era «un persecutore e un violento». San Paolo, infatti, in tutte le sue lettere invita a rivestirsi di mitezza, bontà e misericordia, ben cosciente che Cristo lo ha reso forte in queste virtù, mentre prima di conoscere Cristo sembrava forte ma in realtà era debole, con il suo stile “talebano” e bellicoso. Egli difende sì la sana dottrina, ma – come scrive nella lettera che inizia oggi – dando a tutti un esempio di magnanimità e bontà, perché a tale scopo Cristo gli ha mostrato «la sua magnanimità» (1,16).
Quando agiva da violento e da fustigatore della Chiesa era “cieco”. La luce di Cristo sulla via di Damasco gli ha mostrato la sua cecità e gli ha fatto capire che per poter aiutare i fratelli a seguire il Signore deve evitare di giudicarli. Scrive, infatti, all’inizio della Lettera ai Romani: «Mentre giudichi l’altro, condanni te stesso; tu che giudichi, infatti, fai le medesime cose» (2,1). Ognuno, piuttosto, deve esaminare attentamente la propria condotta, per non essere giudicato da Dio (cf. 1Cor 11,31).
Paolo non fa altro che riportare l’insegnamento Gesù che in modo categorico ci proibisce di giudicare (cf. Mt 7,1; Lc 6,37). Nel vangelo di oggi ci ammonisce con queste parole: «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».
Un proverbio dice che «ogni lumaca vede solo le corna della vicina e non le proprie», così l’uomo tendenzialmente vede i difetti degli altri e non i propri; a meno che non si metta con umiltà davanti alla Parola di Dio e chieda allo Spirito Santo la luce per vedere i propri peccati.
Invece di preoccuparci di fare i processi agli altri, preoccupiamoci piuttosto ogni giorno di togliere le travi dai nostri occhi. Questa è la via della santità! Allora, saremo capaci, con discrezione e amore, di aiutare il fratello a togliere la pagliuzza dal proprio occhio.
Impariamo a pregare come faceva san Francesco di Sales alla fine delle sue giornate, prima di fare l’esame di coscienza: «Mio Dio, riconosco e confesso dinanzi a Te che oggi sono certamente caduto in qualche colpa e, poiché sono cieco, ti domando la grazia e la luce dello Spirito Santo, perché possa ben conoscere i miei peccati». Amen.