Il biblista don Fabio Rosini commenta il Vangelo di domenica 3 Maggio 2020, da Radio Vaticana e dalle pagine di Famiglia Cristiana e l’Osservatore Romano.
Una voce che chiama per nome
(Osservatore Romano)
Il Pastore del capitolo 10 di Giovanni «cammina davanti» alle pecore, ed esse «lo seguono perché conoscono la sua voce». Quando si contempla il passaggio di un gregge non si vede mai arrivare per primo il pastore, semmai i cani che lo aiutano, poi il gregge, e da ultimo il pastore. La strategia descritta da Gesù non è normale. È la Sua…
Questo custode non pasce costringendo ma attirando.
Il suo strumento di guida è la voce: «Le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori».
Questo spiega in parte perché ci può essere stato il fallimento di un modo impositivo di proporre la fede: non attirare, ma incalzare, spingere, costringere. Purtroppo, finché questa educazione alla fede autoritativa corrispondeva a un forte apparato strutturale poteva persino sembrare utile.
Ma oggi questo apparato crolla — questo non è una grazia in realtà? — e non ha più alcun impatto. È successo, storicamente e culturalmente, quel che diceva Gesù: «Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Non di rado abbiamo ricevuto la lamentela per l’incapacità ecclesiale di parlare al cuore delle persone. Molti si sono allontanati perché si sentivano estranei. Ma cosa vuol dire non parlare da estranei? Significa saper chiamare le pecore «ciascuna per nome».
Abbiamo usato parole spesso “mondane” dimenticando la forza della Parola di Dio, che sa appellare intimamente ogni uomo come nessun’altra parola saprà mai fare.
Sappiamo cosa ci tirerà veramente fuori dal lockdown del covid-19: una parola che arriva al cuore e fa uscire e trovare pascolo. Una voce che chiama per nome perché conosce l’uomo come nessuno lo ha mai conosciuto.
Il suo stile è lineare: «Entra dalla porta», non da un’altra parte. La sua opera è liberante, tira fuori dal recinto e fa trovare pascolo. Il suo frutto è generoso: non chiede, non depaupera, non uccide, come fa la menzogna, ma dà la vita «in abbondanza». Perché usare altre parole?
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Ci chiama per nome e ci conduce fuori
(Famiglia Cristiana)
«Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo». Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza». Giovanni 10,1-10
<Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo».Una porta è la discontinuità di un muro, è il luogo dove si va oltre qualcosa. Ma non si può entrare in un luogo senza lasciarne un altro. Si potrebbe infatti capire quella frase di Gesù come un fare avanti-e-indietro, ma non è così. L’azione, infatti, è una sola: uscire, salvarsi e trovare pascolo. Un testo pasquale, di esodo, da meditare con il Covid- 19 e gli strascichi del lockdown in corso. Una buona occasione per focalizzare perché e come Gesù sia una porta.
Il linguaggio della porta, del portale, dell’ingresso solenne è rilevante nella storia, basti pensare agli archi di trionfo romani, o a luoghi come la Porta di Brandeburgo a Berlino, monumento paradossale in una città caratterizzata per molti anni da un muro. Nel vicino Oriente antico la porta era il luogo più importante della città.
Un computer o un tablet senza porte, ossia connessioni, è inutile. Figuriamoci uno smartphone. In questo tempo, chiusi in casa, si sono spalancate mille porte e arzilli ottantenni hanno imparato a smanettare in videochat. Ci sarà molto lavoro per gli oculisti, con le retine spossate dai pixel dannosi degli schermi attivi.
Gesù è la porta e serve a trovare pascolo, essendo venuto «perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza». L’uomo spalanca porte, ma in realtà tende a chiudersi, più di quanto sappia. Costruisce castelli che diventano prigioni, mendica sicurezze che gli diano stabilità, qualcuno cantava che si cercano «centri di gravità permanente» per avere solidità, ma l’anima di tanta febbrile attività è la paura di essere vulnerati, perché siamo fragili. E pian piano le nostre sicurezze diventano le nostre gabbie. Spesso queste gabbie ce le portiamo con noi ovunque.
FALSI GUARDIANI
Usciremo dalla quarantena forse con tutte le nostre paure intatte e un ego incerto e tiranno a spadroneggiarci in nome di soluzioni cui dovremmo dare meno credito. Molti uomini e donne passano la vita a difendere le proprie sicurezze, oggetti o progetti, senza riguardo per sé stessi. Quelle cose sono i «ladri e briganti» di cui parla Gesù. Falsi guardiani della vita che non consegnano vita ma la aspirano nel loro vuoto. Ma Gesù è la porta e sa farsi aprire dal guardiano, che è il nostro cuore guardingo e spaventato. Come fa? «Chiama ciascuna per nome», dice il testo. C’è qualcosa di noi che solo Dio conosce. Si dice spesso “Dio solo sa…”. Vero, Dio solo sa alcune cose, infatti solo Cristo sa chi siamo veramente. Diceva san Giovanni Paolo II che «Lui solo sa cosa è nell’uomo». Infatti, ha dato la vita per noi perché sa quanto siamo importanti. Solo chi ti vuole bene, infatti, ti conosce sul serio. Cristo ci chiama per nome e ci conduce fuori: solo Lui sa spalancare aperture e far entrare aria nuova, pensieri nuovi, intuizioni nuove e liberanti. Vale la pena di disobbedire alle nostre certezze ingannevoli e lasciarci portare via da Lui, lasciandoci condurre. Se il pastore è Lui, la méta è certa.