Il biblista don Fabio Rosini commenta il Vangelo di domenica 29 Marzo 2020, da Radio Vaticana e dalle pagine di Famiglia Cristiana e l’Osservatore Romano.
«Lazzaro, vieni fuori!». In contesto di quarantena sono parole impressionanti… l’attesa di poter uscire dalle nostre case è forse parossistica, e fa un certo effetto ascoltare il testo di Ezechiele dire: «Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri». Può essere un caso questa coincidenza fra la liturgia e il dramma planetario in corso?
Vedremo Gesù portare avanti una strana strategia, nella quale tarda intenzionalmente nel soccorrere il suo amico Lazzaro e fa strani discorsi ai suoi discepoli e a Marta, la sorella del defunto, suscitando sconcerto e dissenso intorno a sé.
Ma a un dato momento Gesù rende grazie al Padre, proprio nell’istante della rimozione della pietra sepolcrale, quando si stava concretizzando quanto paventato da Marta: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni».
Quindi mentre il fetore si spande, Gesù rende grazie. Di cosa? Di poter compiere la sua missione, quella di parlare con un morto e riportarlo alla vita, proprio laddove nessuno lo può più avvicinare. Parlare alla parte più povera, maleodorante, inguardabile, impresentabile dell’uomo, e amarlo lì dove nessuno è amabile. Dove solo Dio può entrare. Dove solo Cristo ha la forza di rigenerare.
Ma c’è un aspetto ulteriore: quel che ha potere di tirare fuori dal sepolcro è un grido fatto «a gran voce». Questo urlo è la voce di Cristo, che va oltre la pietra, oltre il fetore, oltre le strategie, e raggiunge Lazzaro, l’amico di Cristo.
Quello che ci tirerà fuori dalle nostre quarantene non sarà un Decreto del Governo, ma una parola che entra nel nostro cuore, quella parola che cambia tutto dal di dentro.
Se quella parola entra nel profondo dell’uomo, si diventa liberi davvero, anche se si resta reclusi.
Se usciremo dalle nostre novelle “tombe” senza una parola nel cuore, resteremo dei sepolcri imbiancati; è questa la grande occasione di questo tempo: essere liberati dal di dentro. La porta per uscire non è quella di casa, ma quella del cuore. È lì la pietra da togliere.
— Da Famiglia Cristiana —
Lazzaro, vieni al Padre, abbandonati a lui.
Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose [Marta]: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il figlio di Dio». Giovanni 11,1-45
<Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio>. Cosa sono queste parole? Un hashtag di moda? No, sono le primissime parole di Gesù nel Vangelo di questa domenica senza Santa Messa per il popolo, in questi tempi di peste moderna.
Siamo alla quinta domenica di Quaresima, dove si narra della malattia mortale che affligge Lazzaro. Gesù viene avvertito per tempo, per poter intervenire, eppure resta dove sta. Che aspetta? Perché non corre? Le sorelle del malato, vedendo Gesù arrivare tardi, diranno: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!», e la gente, dal canto suo: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». Aveva detto che la malattia non avrebbe portato alla morte, e invece Lazzaro muore. Evidentemente si è sbagliato. Oppure no?
Succedono cose che a noi sembrano ingiuste, che non dovrebbero essere permesse. Spesso è semplicemente vero che siano sbagliate, che sono errori o disgrazie, come questo virus dal nome un po’ monarchico. Intanto noi stiamo andando verso il triduo pasquale, a celebrare un errore giudiziario – l’uccisione di un innocente – che diventa la più grande notizia di tutta la storia umana.
È qui il punto: la gloria di Dio funziona così, e quel che sembra un cammino verso la morte è invece il sentiero della vita. Questo non è umano, gli uomini queste cose non le possono produrre. L’uomo non può mettere l’eternità tra le sue strategie. Perché una storia di morte divenga gloria occorre passare per una cosa che sembra un errore, un’ingiustizia che non doveva esser fatta, e vedere la potenza di Dio manifestarsi proprio in quell’assurdità.
ENTRARE NELLA GLORIA
Esistono soluzioni ed esistono resurrezioni. Sono diverse: le prime sono umane, arrivano in tempo, evitano i problemi, le altre sono l’“oltre” della morte. Altro è guarire da una malattia e altro è entrare nella gloria. Altro è salvare Lazzaro dalla morte e altro è spingerlo oltre la biologia, dritto dentro un’esperienza di eternità.
C’è un grave pericolo: quello di non sfruttare questo momento, quello di guarire ma non rinascere dall’alto.
Siamo in molti in quarantena, che dalle nostre stanze aspettiamo che qualcuno dica: Lazzaro, è finita, vieni fuori, puoi uscire! Prima o poi accadrà. Ma c’è qualcosa di più importante, definitivo, glorioso: che usciamo da questi novelli sepolcri mentre stiamo ancora dentro. Diceva don Tonino Bello: Dio non salva dalla morte, Dio salva nella morte.
Non possiamo sprecare questa occasione per fare un altro viaggio, la scoperta di una porta segreta da cui uscire, di spazi sterminati in cui si può correre, anche se si sta su un letto di malattia, anche se si è in quarantena. Altrimenti usciremo dalle nostre stanze, ma resteremo ingabbiati dalle nostre paure. Solo un indulto, non una resurrezione.
C’è chi è stato libero pure se era stato messo in carcere; c’è chi è morto giovane ma ha fatto risplendere la vita. Lazzaro, vieni fuori ora, non alla fine della pandemia. Vieni al Padre. Abbandonati a Lui.