Nella 19.Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il Vangelo in cui Gesù, tra le mormorazioni scandalizzate dei presenti, dice:
“Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”.
Su questo brano evangelico, ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:
[powerpress]
[ads2] Il segno (la moltiplicazione dei pani e dei pesci) fatto da Gesù e la sua parola: “Io sono il pane di vita” mettono in crisi la folla presente: il Signore parla di una fame diversa da quella del pane che perisce, annuncia una nuova Pasqua, un nuovo esodo: da questo mondo al Padre. Ma la gente non è disposta a mettersi in crisi: ha le sue idee, le sue pratiche religiose, i suoi schemi…, e tutto questo basta, non vuole altro, anche se proprio questo addormenta quella fame di Dio che Gesù vuole risvegliare. E’ una parola per noi oggi. Davanti a questa dimensione comoda della religione, che non si mette mai in discussione, che ha le sue abitudini, e le sue pratiche…, Gesù diventa scomodo: “Che segno ci dai perché crediamo in te”? La parola di Gesù va nuovamente al cuore del problema: “Non mormorate tra voi”. Il popolo d’Israele – tu ed io – siamo dei mormoratori. La mormorazione nasce dalla non accettazione della storia, della volontà di Dio che conduce la storia per le sue strade. Esclama S. Giovanni della Croce: Per giungere ad un luogo che non si conosce, bisogna accettare di passare per strade che non si conoscono, per dove non si sa. Se non siamo disposti a metterci in crisi, ad uscire dalle nostre piccole certezze, resteremo nei nostri schemi religiosi, ma senza quella fede che dà la vita eterna. Mangiare il pane disceso dal cielo – il pane dell’Eucaristia – significa entrare nella volontà di Dio, insieme a Cristo, il solo che compie la volontà del Padre suo, e gustare la vita che non muore.
Fonte: Radio Vaticana
[ads1]