Quanto mi piace che Gesù prenda con sé gli amici e li porti in un luogo appartato dove solitamente va lui per restare in intimità con il Padre. Questa è l’ennesima riprova che il Signore vuole rendere partecipi della sua esperienza divina quelli che hanno scelto di seguirlo fedelmente.
Sembra come se Gesù si fosse portato Pietro, Giacomo e Giovanni a una gita fuori porta sul monte Tabor, a contatto con la natura, con il Creatore. Fidarsi del Signore significa essere ammessi a fare esperienze così tanto singolari da essere inenarrabili, infatti, l’evangelista non sa nemmeno come raccontare la meraviglia e lo splendore di quel momento in cui Gesù si trasfigura. Non trova le parole.
Dio quando ci prende ci fa entrare in realtà così tanto esaltanti, così fuori dal mondo sensibile e finito che non riusciamo a descriverle perché non ci sono parole umane per richiudere l’infinito.
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Elia e Mosè rappresentano l’antica alleanza che Dio conferma e supera con quella nuova rappresentata da Gesù che conversa con loro. Cioè a dire che l’Eterno è lì presente e chi segue Cristo è immerso in questa eternità. Elia e Mosè appaiono vivi, tanto che i discepoli vogliono fare tre tende, ma essi non sono fisicamente presenti, bensì prefigurano la partecipazione alla vita dopo la morte, che è vita vera!
Gesù, con quella luce, con quella visione, con la presenza di Mosè ed Elia, inoltre, sta mostrando ai suoi amici la sua divinità e non lo fa solo per affetto, ma per metterli al sicuro da tutto ciò che di lì a poco succederà.
Quegli amici, da lì a poco si troveranno a passare dalla visione beata sul monte Tabor, alla visione macabra su un altro monte, il Getsemani. Se sul primo hanno visto la divinità di Cristo, sul secondo vedranno tutta la sua umanità sfigurata dall’angoscia, dalla sofferenza, dalla lotta con la morte.
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Quei discepoli passeranno dalla luce accecante, esaltante e indescrivibile, a un momento di profondo buio, di sconforto e di indicibile dolore.
A volte nella nostra vita facciamo di tutto per allontanare il dolore, e per non soffrire ci siamo inventati anche molti modi per niente capaci di parlare di vita. Molti quando sono nella sofferenza affermano che quella non è vita, eppure Gesù con quelle due esperienze sta dicendo una cosa importante ai discepoli, e quindi a noi oggi: siamo chiamati a vivere a pieno la nostra umanità, perché solo attraverso di essa possiamo arrivare a un livello pieno di gioia. Senza sofferenza non comprendiamo la gioia, e senza conoscere la gioia la sofferenza ci sembrerebbe l’unica vita possibile.
È come un cieco che non ha mai visto il mondo, non ne sente nostalgia perché non lo ha mai visto, rispetto a chi magari è divenuto cieco successivamente, ma alla fine si adatta e apprezza ciò che non può più avere, e nell’attesa cerca luce dentro di sé…
I discepoli comprenderanno così che Gesù non è solo vero uomo, ma anche vero Dio, e che non è solo vero Dio così che la sua umanità è solo una finzione, ma Egli è anche veramente e totalmente uomo.
Il mistero del buio lo si capisce solo nel mistero della luce. È attraverso il buio della nostra debolezza umana che si giunge alla luce di saperci divinamente amati e salvi.
Fonte: il blog di don Domenico | Unisciti al suo canale Telegram @annunciatedaitetti oppure clicca QUI |Visita anche il suo canale YOUTUBE