Non รจ mia intenzione affrontare la questione giovanile, nella sua complessitร , anche perchรฉ altri autori lโhanno fatto egregiamente. Il cammino verso il sinodo dei vescovi sui giovani ha ancor piรน incrementato e motivato le ricerche socio-religiose e le varie ipotesi interpretative della realtร giovanile odierna. Io mi limito ad alcune provocazioni, che possono venire alla chiesa da un ascolto libero e attento di ciascun giovane eย dei giovani presi nellโinsieme delle loro esperienze, da una parte differenti e non omologabili, dallโaltra con alcuni denominatori comuni. Sono provocazioni che interrogano la chiesa, piรน che i giovani. Ci si accorge sempre piรน, del resto, che prendere sul serio il vissuto dei giovani significa rivedere la credibilitร del mondo adulto. Nel nostro caso, la significativitร di una chiesa chiamata a rimettersi alla scuola del vangelo, imparando anche dai giovani.
Imparare?
A premessa di tutto, mi permetto di porre un punto di domanda sul verbo usato nel titolo. Siamo sicuri che vogliamo imparare? Non si tratta solo di verificare lโatteggiamento profondo, con il quale ci si pone in ascolto dei giovani. Come succede anche in altri ambiti e con altre persone, troppo spesso diciamo di ascoltare e invece lasciamo parlare, nella convinzione di avere giร le idee giuste e quindi di non dover sostanzialmente nulla ai nostri interlocutori. Quando addirittura non cโรจ il retropensiero di catturare in qualche modo lโinterlocutore, tirandolo dalla nostra parte. I giovani hanno un sesto sensoย per accorgersene, oltre al fatto che โ ci ricorda spesso papa Francesco โ il vangelo di Gesรน Cristo non tollera il proselitismo. Nel caso della chiesa, cโรจ di piรน. La questione รจ di recepire fino in fondo il cambiamento avvenuto con lโimpostazione conciliare, naturalmente ritenendola azione dello Spirito non ancora compiuta e non, come vorrebbe qualcuno, riforma da riformare con ritorni allโindietro. Chi ha qualche anno sulle spalle e puรฒ riferirsi a quanto veniva detto a proposito dellโistituzione ecclesiastica, ricorderร la distinzione netta tra chiesa docente e chiesa discente, che metteva sulla cattedra ad insegnare la gerarchia e i ministri ordinati, mentre sui banchi ad imparare ci stava la maggioranza del popolo di Dio nella componente laicale. In questโottica, che non sempre sembra superata soprattutto a livello di prassi, non ha senso dire che la chiesa deve imparare dai giovani. Dovrร loro insegnare, piuttosto. Il fatto che siano giovani giustifica maggiormente questo atteggiamento, sia quando lo si assuma con modalitร cattedratiche (io so le cose, tu che sei giovane no), sia che lo si declini con atteggiamenti paternalistici (lo so io che cosโรจ il tuo bene, tu no, ci penso io per te). Eppure, giร in riferimento a Timoteo, viene ricordato nella parola di Dio: โNessuno disprezzi la tua giovane etร โ (1Tm 4,12). La disponibilitร ad imparare comporta un cambio di prospettiva, come appare da un passaggio assai significativo della Gaudium et spes, lร dove si afferma che โla chiesa non ignora quanto essa abbia ricevuto dalla storia e dallโevoluzione del genere umanoโ (GS 44). Si delinea cosรฌ il volto di una chiesa discente, anche nella sua componente gerarchica, che si pone in ascolto di quanti la possono aiutare a comprendere ed esprimere meglio lโannuncio di fede. Il testo di Gaudium et spes specifica che puรฒ trattarsi di credenti o non credenti, come aveva ben capito ad esempio il cardinale Martini, istituendo la โcattedra dei non credentiโ: loro in cattedra, lui seduto sul banco ad apprendere e confrontarsi. Riferire questo alla realtร giovanile significa aprirsi ad una condivisione e un ascolto di tutti i giovani, non solo quelli che bazzicano i nostri ambienti, ritenendo che si puรฒ imparare da chi non crede e anche da chi รจ critico o contrario alla chiesa: โLa chiesa confessa che molto giovamento le รจ venuto e le puรฒ venire perfino dallโopposizione di quanti la avversano o la perseguitanoโ (GS 44). In questo stesso numero della costituzione conciliare si afferma che รจ dovere di tutta la chiesa โascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempoโ, perchรฉ โla veritร rivelata sia capita sempre piรน a fondo, sia meglio compresa e possa venire presentata in forma piรน adattaโ (GS 44). Il rimando ai linguaggi del nostro tempo รจ quanto mai pertinente alla realtร giovanile, dalla quale imparare. Sempre piรน ci accorgiamo di non riuscire a comunicare con un mondo, quello dei giovani, distante anni luce dai nostri discorsi e soprattutto dal linguaggio che usiamo nellโambito ecclesiale. Certo, la fede ha bisogno di un suo linguaggio per dirsi, al quale i credenti vanno iniziati. Ma se il Verbo si รจ fatto carne, non รจ mai definitivamente compiuto il processo, che vede il vangelo risuonare nella lingua di chi ne sente lโannuncio: โCome mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa?โ (At 2,8). La necessitร di imparare dai giovani ci rimanda in questo senso allโindicazione, che la chiesa italiana si era data giร al convegno di Verona, poi confluita negli orientamenti pastorali โEducare alla vita buona del vangeloโ. Lโindicazione, assai preziosa, vieneย sintetizzata in una sorta di slogan (che tuttavia non deve rimanere tale): la vita quotidiana รจ lโalfabeto per dire il vangelo. Da ciรฒ ne deriva che il vangelo rimane impronunciabile, se non si ascoltano e si fanno proprie le parole, con le quali i giovani esprimono i loro vissuti. Il vangelo รจ Gesรน Cristo e la chiesa lo riceve come dono da condividere. Ma le parole per dire Gesรน Cristo nellโesistenza dei giovani dโoggi le dobbiamo imparare dai giovani stessi, sono loro che le donano alla chiesa. Altrimenti ci si illude di comunicare lโevangelo, mentre sostanzialmente lo si lascia muto, mancando dellโalfabeto che puรฒ renderlo vivo e attuale.
Piccoli atei crescono
Prendo a prestito il titolo di unโindagine del sociologo Garelli, non per presentare il suo lavoro, ma per porre un interrogativo nodale in questo apprendimento dai giovani, che la chiesa รจ invitata a fare. Si รจ ricordato che Martini, ritenendo che anche i non credenti potessero dire qualcosa alla fede della chiesa, li ha messi in cattedra, facendosi discente nei loro confronti. Con ironica sufficienza, un suo confratello cardinale commentรฒ: chiedere ai non credenti di dire qualcosa alla nostra fede รจ come chiedere ad un sordo di parlare di musica. Imparare dai giovani, in particolare per riuscire ad annunciare in modo piรน significativo il vangelo di Gesรน? Ma se abbiamo di fronte piccoli atei che crescono, la prima generazione incredula, che segna il passaggio dalla โdimenticanzaโ (lโabbandono della tradizione religiosa) alla โignoranzaโ (la non conoscenza di questa tradizione e quindi lโestraneitร )! In questi anni le ricerche sociologiche sul mondo giovanile si sono interrogate sulla questione religiosa, con interpretazioni dei dati riconducibile sostanzialmente a due prospettive. Cโรจ chi ha sottolineato con forza la presa di distanza dei giovani non solo dalla pratica religiosa, ma dal mondo di significati che viene offerto dalla fede cristiana. Si รจ come interrotta la cinghia di trasmissione tra generazioni e pertanto non solo i giovani si trovano a non avere piรน antenne per percepire ciรฒ che riguarda Dio, la fede, la chiesa, ma quando devono decidere di se stessi il riferimento al vangelo รจ quasi assente (al di lร dei passaggi sacramentali richiesti dalle famiglie e dellโinsegnamento religioso a scuola ancora preponderante). Cโรจ del vero, inutile nasconderlo. Ma una lettura diversa, che poggia soprattutto su ricerche di tipo qualitativo con interviste personali ai giovani, ritiene invece che ancora โcโรจ campoโ per la questione religiosa. Nella terra di mezzo tra credere e non credere, si manifesta una ricerca spirituale interessante, che avviene fuori del recinto. Anche al di lร del contesto italiano, alcune inchieste confermerebbero questa ricerca di senso in chiave spirituale, che non si trova a proprio agio negli ambiti istituzionali e quindi si smarca da essi. Lโistituzione, con il suo sistema dottrinale e morale, i linguaggi lontani dagli universi simbolici propri dei mondi giovanili, un apparato visto come rigido, sfarzoso, incoerente con il vangelo, non riesce ad intercettare e dare espressione a quanto invece i giovani nel profondo manifestano, anche se con modalitร fluide. Cโรจ da imparare da tutto questo? Penso di sรฌ. La chiesa in uscita di papa Francesco non รจ forse invito ad andare fuori dal recinto, in modo che lโistituzione ecclesiastica non sia autocentrata? Nella preghiera che ci ha consegnato Gesรน non chiediamo che venga la chiesa, ma il regno di Dio, di cui la chiesa รจ sacramento e che va oltre la chiesa stessa. Possiamo imparare dai giovani ad allargare lo sguardo e a relativizzare quellโapparato istituzionale, che appesantisce la leggerezza del vangelo e ne appanna la gratuitร . Certo, la sequela di Gesรน รจ custodita e proposta dalla chiesa, perchรฉ cโรจ un โnoiโ della fede imprescindibile. Ma a starci a cuore non dovrebbe essere primariamente di riportare i giovani in parrocchia, semmai che le loro esistenze si apranoย allโincontro con la buona notizia di Gesรน Cristo, acqua viva per la sete di ciascuno. In questโottica, ci si potrebbe chiedere se la chiesa non debba imparare dai giovani ad essere davvero luogo di condivisione di ricerca e di esperienza spirituale, al di lร di tutte le proposte di โanimazioneโ che vengono fatte. Veniamo da stagioni nelle quali le comunitร parrocchiali hanno offerto ai giovani anzitutto momenti e spazi per lโaggregazione, il gioco, lโamicizia, la convivialitร . Il โgruppo giovaniโ, si รจ detto e si continua a dire spesso, non รจ catechismo, meglio coinvolgerli in cose che non siano troppo โreligioseโ. Non che le proposte di animazione siano negative, tuttavia ci deve interrogare il fatto che a livello giovanile (e non solo, a dire il vero) si sia dissociato sempre piรน lโappartenere allโistituzione chiesa e il vivere unโesperienza di ricerca spirituale, che infatti molte volte trova altre strade. Si approda pertanto ad una sorta di paradosso: da piccoli atei che crescono, la chiesa รจ invitata a reimparare ad essere condivisione di esperienze affidate ai liberi sentieri dello Spirito, accompagnando e sostenendo i passi di ciascuno, senza catture funzionali allโapparato istituzionale. Una suggestione evangelica significativa al riguardo รจ quella indicata dalle parole di Gesรน: โIo sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarร salvato; entrerร e uscirร e troverร pascoloโ (Gv 10,9). Porta come soglia, che rimane aperta allโandare e venire in quella libertร , a cui i giovani tengono tanto anche se a rischio di incostanza, frammentarietร , spesso indecisione. La chiesa potrebbe imparare da questi giovani collocati nella โterra di mezzoโ ad essere soglia, anche nel suo volto parrocchiale. Oggi si discute, a livello pastorale, sul modello di parrocchia attuato finora, quello tridentino. Una parrocchia โsolidaโ, con un territorio ben circoscritto nei suoi confini, un parroco residente, chiesa, canonica, opere parrocchiali, messe e proposte religiose a orario fisso, standardizzato. Difficile che unโistituzione cosรฌ strutturata (che comunque รจ in crisi nellโattuale contesto profondamente cambiato) possa intercettare la ricerca spirituale espressa nel nomadismo attuale, dei giovani ma non solo. Qualcuno ha cominciato a parlare di parrocchie โliquideโ, che non hanno come primo riferimento i confini geografici, ma i cammini delle persone, le loro esigenze, i ritmi e i tempi della vita nella complessitร e nella mobilitร odierna. A livello giovanile, si percepisce sempre piรน che la strutturazione rigida di certa pastorale parrocchiale non regge alla prova dei fatti.
Appartenenze molteplici
Come chiedere di coinvolgersi in modo costante nella vita della comunitร cristiana, a giovani che vivono appartenenze molteplici, si muovono da un ambiente allโaltro assumendo di volta in volta identitร plurime, sono a loro agio nella frammentarietร delle esperienze? Immaginandoli seduti (qualcuno direbbe anzi sdraiati, secondo il titolo di un fortunato libro divenuto anche un film) sul divano, li vediamoย continuamente fare zapping da un programma allโaltro, senza un apparente filo conduttore. Naturalmente non sullo schermo televisivo, ma sul loro smartphone. Noi solitamente diamo a tutto questo un giudizio negativo, ritenendo che ci sia incoerenza e camaleontismo. Per i giovani non รจ cosรฌ, per loro si tratta dellโacqua nella quale nuotano, senza percepire le incongruenze ritenute tali dal mondo adulto. Siamo noi che abbiamo nostalgia di ciรฒ che unifica, del senso compiuto, della coerenza e della stabilitร , non certo un giovane immerso nelle modalitร di esprimersi tipiche del suo tempo. Significa forse che va bene cosรฌ e basta? No, perchรฉ anche i giovani dโoggi sono chiamati a delineare una loro identitร , a fare delle scelte, a costruire nel tempo qualcosa che tiene e non sia effimero. Pensiamo al mondo degli affetti, alle relazioni che richiedono cura, ad una progettualitร che non puรฒ emergere dove cโรจ eterna precarietร . I rischi, pertanto, ci sono insieme alle derive. Il mondo adulto, anche in ambito ecclesiale, non puรฒ abdicare allโimpegno educativo. Oggi, a meno che non si tratti dei propri figli, la tentazione dellโadulto รจ di girarsi dallโaltra parte pur di non intervenire nei confronti di un giovane, in una latitanza che รจ di fatto diseducativa. Tuttavia ogni processo educativo non รจ mai a senso unico, pertanto chi educa si dispone ad essere educato, chi ha qualcosa da insegnare ha sempre e comunque da imparare. E dunque, che cโรจ da imparare, come chiesa, da giovani con la caratteristiche ricordate? Una frase di Paolo mi pare illuminante:
โMi sono fatto tutto a tutti, per salvare a ogni costo qualcunoโ (1Cor 9,22). Lโapostolo non sta confessando di essere stato una banderuola, che cambia direzione ad ogni soffio di vento, nรฉ si puรฒ dire di lui che sia stato tiepido e incoerente nel suo annuncio del vangelo. Ma, appunto perchรฉ dichiara: โtutto io faccio per il vangeloโ (1Cor 9,23), non teme di mettersi in gioco a partire dalla differenti situazioni in cui si trova e con le persone e le comunitร che di volta in volta ha di fronte. Siamo sicuri che una chiesa monolitica, dal profilo identitario chiaro e distinto, che dispensa certezze, sappia comunicare il vangelo in modo efficace aiutando chi ascolta ad accoglierlo? E se invece la buona notizia di Gesรน Cristo chiedesse proprio di stare su confini aperti e non chiaramente definiti, di accettare il meticciato di culture, di idee, di persone, proponendo non dottrine entro cui chiudere la ricerca bensรฌ orizzonti verso i quali aprirsi alla veritร tutta intera? Qualcuno รจ preoccupato che in questo modo si vada verso unโestenuazione dellโesperienza cristiana e che la chiesa rinunci a proporre decisamente ciรฒ di cui รจ custode. Paolo perรฒ ci ricorda che in ballo non รจ primariamente una coerenza mantenuta costi quel che costi, ma che qualcuno arrivi ad aprirsi al dono di salvezza. Nel vangelo, del resto, si racconta di un giovane che aveva fatto dellโosservanza il criterio delle sue azioni: โTutte queste cose le ho osservateโ; ma lui stesso si sente di aggiungere: โChe altro mi manca?โ (Mt 19,20). Evidentemente non basta stare dentro i confini giusti, se questo non apre allo sguardo dโamore che salva: โGesรน fissรฒ lo sguardo su di lui e lo amรฒโ (Mc 10,21). Molto meglio sconfinare, addirittura lasciare la casa del padre, per poi sentirsi abbracciati e riconciliati. Cโรจ pertanto da imparare, dalla fluiditร giovanile, che puรฒ aiutare la chiesa a rischiare di piรน nellโamore, a non aver paura di contaminarsi immersa nella molteplicitร e nella pluralitร , a raggiungere i giovani lร dove sono di volta in volta. Il pane del vangelo, ha detto un giorno una donna straniera dalla quale Gesรน ha imparato, puรฒ prendere la forma delle briciole che cadono dalla tavola. E se qualcuno assapora anche solo una briciola, non si sentirร piรน cagnolino, ma figlio. Sempre a proposito di pane, dopo averlo moltiplicato, Gesรน avverte di raccogliere i pezzi avanzati. Nella versione latina lโinvito รจ a colligere fagmenta, perchรฉ oltre alle briciole anche i frammenti non vanno dispersi e possono ridonare il gusto di un pane che sfama. E se dalla frammentazione delle esperienze giovanili la chiesa imparasse a mettere in pratica quello che il vangelo chiede, cioรจ di curvarsi su ogni frammento, affinchรฉ nulla vada perduto?
Gettare le reti piรน al largo
I giovani sono sempre connessi, il loro mondo รจ la rete, non possono stare a lungo senza messaggiare, twittare, smanettare sullo smartphon, sul pc o sul tablet. Una dimensione virtuale della vita e delle relazioni, che a noi adulti sembra sostitutiva di quella reale. Anche in questo caso prevale una nota preoccupata, che non รจ senza motivo. Inutile fare lโelenco dei rischi che si corrono, delle dipendenze che si creano, delle sfasature che avvengono. Ragazzi e giovani, che pure si muovono con naturalezza dentro queste realtร , finiscono talvolta per non accorgersi di quanto siano fragili e manipolabili, soprattutto se lasciati a se stessi. La sfida tuttavia รจ di guardare a questa caratteristica del mondo giovanile in chiaveย anche positiva, sentendo che cโรจ da imparare da loro. Banalmente, potremmo dire che noi adulti abbiamo bisogno di imparare in quanto non siamo nativi digitali e quindi i giovani hanno da insegnarci, se non altro a usare i mezzi tecnologici ed essere un poโ meno imbranati nella comunicazione in rete. Penso peraltro che, come adulti e come chiesa, da loro possiamo apprendere non solo lโuso, ma anche la provocazione che ci viene per scoprire la positivitร di stare in rete. Si tratta infatti non solo di adoperare degli strumenti, ma di entrare in una forma mentis, che allarga le prospettive e apre a relazioni tendenzialmente universali (con linguaggio ecclesiale diremmo โcattolicheโ). Probabilmente rischio di strumentalizzare un poโ il vangelo, ma mi affascina leggere entro questo quadro lโinvito di Gesรน a Simone deluso per la nottata di pesca infruttuosa: โPrendi il largo e gettate le vostre reti per la pescaโ (Lc 5,4). Una traduzione piรน precisa del testo sarebbe: Conduci fuori verso il profondo. Espressione interessante, che mette insieme il โlargoโ da prendere e il โprofondoโ verso il quale andare. Forse largo e profondo si corrispondono? Di solito noi diciamo che i giovani sono superficiali, non approfondiscono le relazioni, vivono in esterioritร . La parola di Gesรน potrebbe darci una chiave diversa per leggere le modalitร , con le quali si connettono in una rete tendenzialmente portata ad allargarsi sempre piรน. In certo senso per loro la profonditร viene vissuta nella logica dellโestensione. Non si collocano in una verticalitร dove cโรจ la superficie e la profonditร , ma in unโorizzontalitร dentro la quale ci si gioca sullโallargare la rete, in modo inclusivo e senza filtri preconcetti, che escludono. Sempre riferendoci a suggestioni evangeliche, possiamo dire che dai giovani la chiesa puรฒ imparare a farsi testimone della rete del regno di Dio, inclusiva di tutto e di tutti: โIl regno dei cieli รจ simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesciโ (Mt 13,47). Verrร il tempo di fare la cernita tra quelli buoni e quelli cattivi, ma il primo annuncio della parabola in bocca a Gesรน รจ proprio quello di non operare discriminazioni previe. Similmente al seminatore, che esce a seminare e il seme lo sparge su ogni tipo di terreno. Dobbiamo riconoscere ai giovani, pur dentro chiusure e particolarismi a rischio di razzismo spesso indotti in loro da adulti e formazioni politiche che li strumentalizzano, una libertร di approccio con le differenze di qualsiasi tipo. Papa Francesco, con il suo โChi sono io per giudicare?โ, li ha interpretati alla perfezione. Eppure si tratta di un papa che ha come parola dโordine il discernimento, quindi lโaccogliere senza giudizi e pregiudizi non รจ qualunquismo. Non lo รจ nemmeno nei giovani, a ben guardare, sempre che il nostro occhio sia ben disposto e non abbiamo indossato le lenti del moralismo. Imparare dai giovani a fare rete, a stare in rete, ad allargare la rete, puรฒ essere una provocazione forte alla dinamica missionaria costitutiva della comunitร cristiana: โLa chiesa รจ per sua natura missionariaโ (AG 2). Ritengo che accogliere la sfida della rete puรฒ diventare anche una spinta a rivedere un certo modello di ricerca vocazionale, che pensa di aiutare i giovani nella scelta chiedendo loro di โguardarsi dentroโ. Le vocazioni bibliche ci mostrano invece che Dio chiama invitando a โguardare fuoriโ, facendosi stanare dai propri intimismi e mettendosi in rete con il grido della storia, il volto degli altri, i bisogni della comunitร . Con questo dire non voglio dire che il Signore chiama โฆ mandando un tweet, ma certo รจ necessario essere connessi con le persone e la realtร piรน ampia per sentirsi interpellati.
Venite alla festa
Altro tratto della realtร giovanile รจ il desiderio e la capacitร di fare festa, nonostante tutto. Non voglio minimizzare i problemi, che portano troppi giovani a chiudersi, a mancare di speranza, a non gustare piรน la vita fino ad arrivare a togliersela. Tuttavia basta stare un poโ con i giovani e ci si accorge che amano tutto quanto rende lโesistenza piรน bella e gioiosa: dal gioco alla danza, dallo sport alla musica, dalla chiacchiera tra amici al raduno di massa. Non per niente, ad esempio, chiedono liturgie meno noiose e ambienti di chiesa piรน attraenti e festosi. Potrebbero far propria la denuncia piรน volte citata di Nietzsche ai cristiani, ai quali rimprovera di non avere scritta in faccia la buona notizia del vangelo: โSe la vostra fede vi rende beati, datevi da conoscere come beati!โ. La chiesa, in realtร , dovrebbe essere specialista della festa. Eโ nata dalla pasqua, la morte vinta dallโamore, che sfocia nella risurrezione. Viene convocata ogni domenica, giorno del Signore risorto, il giorno ottavo, che giร fa pregustare il banchetto escatologico definitivo, dove โnon vi sarร piรน la morte nรฉ lutto nรฉ lamento nรฉ affannoโ (Ap 21,4). Eppure ci troviamo a vivere lโesperienza cristiana in comunitร invecchiate nellโetร e nello spirito, ripiegate su se stesse, impaurite da come va il mondo pur amato da Dio e talvolta piรน respingenti che accoglienti. Abbiamo davvero bisogno di imparare la festa daย chi รจ giovane, non per cadere in giovanilismi ridicoli e controproducenti, ma recuperando attraverso i giovani lโevangelii gaudium consegnatosi da un vescovo di Roma, che a ottantโanni chiede alla chiesa di mettersi alla loro scuola. Certo, non siamo tutti come papa Francesco e il peso degli anni spesso rende problematica lโapertura alla vita, che rende belli i giorni. Ma allora ancor piรน dobbiamo fare tesoro della grazia, che รจ costituita dalla giovane etร e che attraverso i giovani puรฒ essere riversata su tutti. Talvolta invece smorziamo i sogni, freniamo gli entusiasmi, irreggimentiamo entro confini stabiliti espressioni che andrebbero invece valorizzate. Sempre Francesco, una volta รจ arrivato a dire che i giovani nella chiesa devono necessariamente โfare casinoโ. Termine improprio per un papa, ma espressivo del senso di festa, che possiamo imparare da chi ha la grazia di essere giovane e di aiutare cosรฌ anche la comunitร adulta e anziana a gustare la giovinezza del vangelo. Un grande capitolo di questa propensione a fare festa riguarda anche il corpo, la sessualitร , lโaffettivitร : tutto quello che ci รจ stato donato fin dalla creazione proprio per esprimere bellezza e bontร , in modo che siano gioiose le relazioni e si possa godere di esse. Sappiamo quanta lontananza ci sia, ma a dire il vero non solo nei giovani, tra le classiche indicazioni della morale sessuale e come concretamente si vive corporeitร e sessualitร . Anche in questa caso, problemi ci sono ed รจ inutile nasconderli. Una sessuologa belga, T. Hargot, ha significativamente intitolato una sua ricerca su questi temi: Una gioventรน sessualmente liberata (o quasi). Tuttavia penso che le modalitร con le quali i giovani vivono il loro corpo, sperimentano la sessualitร , gestiscono lโaffettivitร , possono e debbono essere per la chiesa terreno di un ascolto che impara, per riuscire a trovare parole per annunciare in modo gioioso e liberante lโAmoris laetitia.
A cura di don Dario Vivian, Teologo e parroco (VI)
Fonte: Rivista Vocazioni N.6 – PDF