Di colpe e colpevolizzazioni
Il commento al Vangelo del giorno di don Cristiano Mauri.
Note per la comprensione del brano.
L’avvertimento ricevuto dai farisei circa le intenzioni omicide di Erode con il relativo consiglio di andarsene, non sortiscono nessun effetto su Gesù, che non solo rimane da quelle parti, ma accetta spontaneamente un invito a pranzo proprio a casa di uno di loro.
Suona strana l’espressione «capo dei farisei», poiché non erano organizzati gerarchicamente, ma la si può spiegare ipotizzando si trattasse di un personaggio in vista che ricopriva una carica civile o politica di rilievo.
La collocazione dell’episodio nel giorno di sabato è decisiva anche per comprendere l’attenzione con cui i farisei osservano il comportamento di Gesù: le esperienze precedenti dovevano averli insospettiti e ora stanno in agguato per rilevare eventuali suoi atteggiamenti in contrasto con la loro dottrina sul sabato.
Il racconto colloca subito il malato di idropisia di fronte a Gesù, come a dire che in qualche modo questi dovrà decidersi a riguardo: lo guarirà o no?
L’idropisia (malattia che portava a un gonfiore abnorme del ventre e se cronicizzata conduceva alla morte) nel sistema interpretativo religioso e morale dei giudei era considerata una maledizione conseguente a una colpa.
Per alcuni rabbi era un effetto della lussuria, per altri dell’adulterio, per altri della diffamazione, per altri ancora della gola o della stregoneria. Vi era anche un suggestivo richiamo all’episodio del vitello d’oro (peccato di idolatria) quando i colpevoli dovettero riempirsi la pancia con acqua e polvere d’oro.
La malattia veniva curata con dei prelievi che però non potevano essere eseguiti in giorni di sabato, secondo la legislazione. Va ricordato che i tempi messianici erano attesi come quelli in cui ogni malanno sarebbe stato tolto.
Luca presenta l’intervento di Gesù come una risposta, come se fosse ben consapevole dello sguardo inquisitore replicando ad esso con un’azione eloquente. Lo fa affrontando il fronte compatto dei suoi avversari, dato che ora l’evangelista affianca ai farisei anche i dottori della Legge, e offrendo loro la propria interpretazione della volontà divina.
La questione circa ciò che di sabato si può compiere secondo la volontà divina è posta da Gesù in termini specifici: si può guarire o no? Cioè: guarire è un’attività sacra o profana? Considerato che era ritenuta una caratteristica dei tempi messianici, la risposta era scontata.
Scribi e farisei restano in silenzio e immobil. Il contrasto è forte: all’azione di Gesù, alla sua intenzione di operare, non viene proposta alternativa che non sia l’inazione.
Per Lui la volontà di Dio è chiara: il bene non deve aspettare, tanto più se l’alternativa è stare senza nulla fare.
L’intervento di Gesù viene descritto con tre verbi: prendere, guarire e slegare. Il primo utilizzato spesso per descrivere l’aiuto di Dio al popolo; il secondo richiama la salvezza degli ultimi tempi; il terzo l’azione liberatrice tipica di Dio.
Il miracolo, infine, è chiosato da un richiamo alle interpretazioni dei suoi avversari, come a dire: «Non sto facendo nulla di diverso da ciò che fate voi quando salvate una persona o un animale in giorno di sabato».
L’argomentazione è così cristallina che scribi e farisei «non trovarono la forza per rispondere».
Spunti per la riflessione sul testo.
Se un figlio cade nel pozzo non si perde tempo a stabilire se la colpa è sua o meno, semplicemente lo si salva. Quand’anche fosse frutto della sua imprudenza, fargliela scontare lasciandolo nel pozzo è pura follia.
La colpa di un male, ammesso ci sia, non può mai essere la ragione di un ulteriore male inferto. Al male, se si può, si pone rimedio, subito, rapidamente, efficacemente.
Alla colpa ci si penserà , ma il modo di trattarla non potrà e non dovrà comunque mai essere un nuovo male.
Assumersi le proprie responsabilità e chiedere agli altri di farlo, quando si riconosce una colpa, è un dovere morale e un atto di giustizia.
Colpevolizzarsi e colpevolizzare all’infinito sono invece forme sottili di auto-sabotaggio o di ritorsione. Sottili schiavitù nemmeno troppo mascherate e palesi ulteriori atti di ingiustizia.
Sulle colpe nostre e altrui è un atto di fede far scendere la parola compassionevole del Vangelo: salvare, fare giustizia, liberare.
È vero, quando i mali e le colpe sono grandi, tutto questo appare impossibile e un millimetrico moto di compassione comporta una fatica enorme.
D’altronde il regno di Dio è un piccolissimo granello di senapa, all’inizio. Ma che albero, alla fine. […] Continua qui…
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