don Cristiano Mauri – Commento al Vangelo del 28 Aprile 2021

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Perché chiunque crede non rimanga nelle tenebre.

Il commento al Vangelo del giorno di don Cristiano Mauri.

Il grido di Gesù dà alle sue parole il tono perentorio di una scossa che richiami un ascolto attento e serio. Il suo discorso ha il carattere di una rivelazione, che deve essere fortemente proclamata e chiaramente udita.

Utilizzando i verbi «credere» e «vedere» come sinonimi, l’esclamazione non lascia dubbi: in lui si incontra il Padre che lo ha mandato.

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La fede in Dio prende così una forma molto concreta: seguire Cristo, in un rapporto di affidamento-amicizia a lui e con lui, riconosciuto come Figlio inviato dal Padre.

Il discorso di Gesù prosegue, poi, ricapitolando il senso della sua venuta.

Il «mondo» è «tenebra», cioè un luogo segnato dall’alienazione dell’uomo, votato all’illusione e alla morte. La venuta del Figlio che rivela la realtà di Dio, porta la «luce», cioè permette a chi crede di uscire dalla «tenebra» comprendendo il senso autentico dell’esistenza.

Giovanni l’aveva anticipato nel prologo: il Verbo – il Logos – che era presso Dio entra nel mondo come «luce», come ciò che consente di vedere, orientarsi, interpretare.

La «luce» richiama l’idea del senso delle cose, che ciascuno cerca e si impegna a costruire, perché senza dare un senso a ciò che viviamo, sperimentiamo la sensazione di «non vivere davvero».

Non è da intendersi però secondo l’idea che è stabilito per noi un significato “a priori” di ogni singolo evento della nostra vita. Piuttosto, venendo nel mondo, il Figlio manifesta e annuncia la possibilità che ognuno possa fare di sé e della propria vita uno spazio di significati personali e originali.

La «vita nell’amore» che è venuto a rivelare rappresenta quell’orizzonte fondamentale nel quale dare personalmente senso alle cose.

Questa rivelazione è accompagnata da un giudizio, ma è importante ribadire che l’offerta e l’intenzione di salvezza hanno senza alcun dubbio la precedenza.

Lo scopo fondamentale della venuta del Figlio non è infatti giudicare e annientare il mondo, bensì portarlo a salvezza, che è la vita in comunione con Dio.

Il giudizio sulla vita di una persona non è opera di Cristo, ma resta nelle mani dell’uomo stesso. Accettare o non accettare Gesù come il Rivelatore del Padre è il discrimine tra una vita «nella luce» e una vita «nelle tenebre». 

Da parte del Padre c’è un’offerta di vita piena attraverso le parole del Figlio. Nelle mani dell’uomo c’è la possibilità e responsabilità di “giudicare” la propria esistenza scegliendo la Vita – cioè accogliendo Gesù – o un destino di lontananza definitiva da Dio – rifiutando le parole del Cristo.

Spunti per la riflessione sul testo.

Che il Cristo si paragoni alla luce è bellissimo.

Pensarlo come una presenza discreta ma tangibile che si fa tuo compagno per “metterti nelle condizioni di”, come una parola d’amore che si accende sulla tua vita perché tu possa viverla in pienezza , nella libertà di riempirla di significati e valori. 

E me lo immagino a volte dire: «Non passate il tempo a guardare a me, con le mani in mano. Vi ho illuminato il mondo, sarà il caso di occuparsene».

Ma senza pretendere, senza forzare, senza vincolare. Continuando a far luce anche per chi non sembra farsene nulla.

E quanto Vangelo, anzi, quanto Cristo c’è in chi con il suo modo di essere “mette gli altri nelle condizioni di”? In chi offre qualcosa di sé perché il suo prossimo sia libero di comprendere, volere, scegliere, fare, vivere.

Senza la pretesa di essere “la Luce”, ma con la discreta ambizione di fare un poco di luce nel buio che a volte c’è.

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