Di gomiti e di ginocchia
Il commento al Vangelo del giorno di don Cristiano Mauri.
Gesù si sta scontrando con un gruppo di Giudei che gli rimproverano di aver guarito un uomo di sabato e lo accusano di farsi uguale a Dio chiamandolo «Padre».
Di fronte alla contestazione che gli viene fatta, Gesù produce testimoni a suo favore, o meglio, un Testimone – «un altro» – veritiero e perfettamente credibile, che resta però inafferrabile.
Si intuisce che si tratta del Padre suo, la cui testimonianza non è facile da cogliere con i criteri del mondo.
Propone così altre tre attestazioni, nell’ordine di ciò che è più facilmente conoscibile e nelle quali si può scorgere e intuire la testimonianza di quell’«Altro» di cui parla.
La prima è di Giovanni Battista. Se i Giudei l’avessero ascoltato, avrebbero comunque intrapreso la via della salvezza, ma così non è avvenuto. Il loro ascolto è stato effimero: si sono avvicinati alla sua “luce” per poco e se ne sono rapidamente allontanati.
La seconda viene dalla «opere» che Gesù compie. Sono una testimonianza più grande e di qualità superiore rispetto alla prima, per il fatto che sono in obbedienza a un mandato ricevuto da Dio. In esse dobbiamo leggere il «dare vita» di cui Gesù ha parlato nei versetti precedenti.
In definitiva il vero testimone è il Padre che ha inviato il Figlio, nel quale si incarna la presenza stessa di Dio. Il popolo però, insieme alle sue autorità, non lo riconosce e non lo ascolta. La sua parola non dimora in loro poiché non accolgono la rivelazione presente in Gesù.
L’ultimo testimone chiamato in causa, la Scrittura, non fa che confermare la cosa. Essa rimanda a lui e, ancor di più, trova proprio in Cristo il principio della sua verità. Ma chi non accoglie il Figlio non sa scrutare nemmeno la Scrittura.
Nessuna testimonianza però sembra essere servita. Da dove tanta cecità e resistenza?
Gesù denuncia il comportamento dei suoi avversari, svelando come nei loro cuori non vi sia anzitutto l’amore di Dio e per Dio, bensì la ricerca della gloria presso gli uomini.
Se avessero in cuore l’amore del Padre non potrebbero non accogliere il Figlio. Ma essi accolgono più volentieri altri, perché di altro hanno riempito il loro animo.
In apparenza adoratori di Dio. Nel cuore, idolatri. La loro fede è, in realtà, una ”mala fede”.
Nonostante ciò, Gesù si smarca dal ruolo di possibile accusatore dei suoi nemici. Non muoverà loro alcuna accusa.
Saranno invece la Legge e Mosè, ai quali loro si appellano a condannarli. Il rifiuto di Gesù è infatti la prova che, in realtà, i Giudei non hanno nemmeno creduto a Mosè e alla sua Legge, nei quali la testimonianza a suo favore era presente e affidabile.
Spunti per la riflessione sul testo.
Non c’è posto per chi non sgomita, perché il posto va conquistato. Sia mai che qualcuno te lo prepari o ti offra il suo.
Te lo devi guadagnare dimostrando che ti spetta per manifesta superiorità. Almeno su qualcuno, almeno in qualche modo.
Ma che si veda, che sia oggettivo. Si deve misurare la spanna in più che te ne dà diritto.
Non importa se calpesti qualche testa o qualche cuore, o se sei costretto a coprire gli occhi alla tua moralità. Se vuoi un posto, le regole son quelle. Si fa a gomitate e chi la spunta se lo prende.
O in modo più elegante: «ci si dà gloria gli uni gli altri». E il costo della gloria? Solo un effetto collaterale da accettare, che comunque paga qualcun altro.
Pensavano che anche Gesù fosse venuto a prendersi un posto, il più in alto di tutti. Ma lui era venuto a offrirlo, invece, perché veniva nel nome del Padre che dà la vita.
Raccontava loro di un mondo in cui i gomiti si tengono a bada e si lavora invece di ginocchia, quelle su cui ci si poggia per lavare i piedi al prossimo.
Un mondo in cui ci si prepara il posto gli uni gli altri, lo stesso per tutti. Senza primi senza ultimi. In ugual modo per chi saprebbe conquistarselo e per chi non riuscirebbe mai. […] Continua qui…
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