Il cieco dalla nascita appena guarito risponde – a chi gli domandava la certezza della sua identità – «Io sono»: questa risposta esprime che in lui è già avvenuta una conversione e una conformazione a Cristo.
Il suo cammino di fede, lento e progressivo, rivela le sue tappe nelle risposte che dà su Gesù: prima lo chiama «quell’uomo» (v. 11), poi dice che è «un profeta» (v. 17), infine lo riconosce «Signore» (v. 38). È infatti la sua fede che gli dà la libertà interiore e il coraggio di controbattere ai capi religiosi nonostante il pericolo di scomunica, l’espulsione dalla sinagoga, per chi riconosceva Gesù come messia.
Il miracolo del cieco nato ripete e rappresenta un cammino battesimale, un passaggio cioè dalla tenebra alla luce, dove la coscienza arriva prima della ragione, la fede prima del ragionamento. L’esperienza della grazia gli permette di credere. L’uomo è realizzato: tutti gli dicono che non può essere lui, ma lui si sente ormai capace di autentica relazione, capace di incontrare Dio.