Gesù sale al tempio per la pasqua dei giudei. Trova Gerusalemme che trabocca di pellegrini, il tempio che trabocca di sacrifici. La “pasqua dei giudei” ci fa pensare al tempo dell’esodo, della liberazione, della pasqua di Dio. Ma il fatto che sia specificato “dei giudei” ci mette davanti anche a una possibilità di una nuova pasqua. Di fatto la comunità di Giovanni conosce ormai la pasqua dei cristiani. In questa pasqua dei giudei Gesù trova nel tempio (di fatto trova perché li cerca, non trova casualmente) i venditori di pecore e di buoi. Questo ci fa pensare a un tempio allargato – è improbabile che i buoi venissero venduti nel tempo, probabilmente venivano venduti fuori nelle vicinanze. Trova i venditori di colombe e trova i cambiavalute. Le offerte fatte al tempio dovevano essere fatte rispettando le norme ebraiche. La legge ebraica richiede che non venga raffigurata la figura umana. Le monete romane invece avevano il volto dell’imperatore o comunque dei suoi familiari, per cui dovevano essere cambiate con monete accettabili, accettate. Questa cosa qui chiaramente genera un mercato perché chi faceva questo lavoro ci doveva guadagnare.
Si dice che Gesù “ caccia”… Di fronte alle possibili traduzioni preferisco quella che dice che scaccia gli animali. Non scaccia mai le persone, i venditori. Si capisce molto bene quando parla dei venditori di colombe. In cui è specificato che devono portare fuori le colombe. Non dovevano andare fuori loro. Sono i sacrifici, gli animali usati come sacrificio ad uscire. Gli animali usati come mezzo per placare la paura che abbiamo di Dio. Non è quello il loro compito. Dei cambiavalute si dice che i tavoli vengono rovesciati. I tavoli che originariamente sono il luogo in cui si mangia diventano il luogo in cui qualcuno fa affari e ci mangia. Di fatto ci mangia forse anche approfittandosene. Il fatto che vengono ribaltati fa sì che questi denari, queste ricchezze siano sparpagliate. Forse il verbo esatto potrebbe essere “distribuite”. Dopo aver compiuto questo gesto c’è una richiesta: “non fate della casa del Padre mio una casa di mercato”. Si dice specificatamente “una casa di mercato”. Il mercato è chiaramente una divinità alternativa al Padre di Gesù. Perché il mercato è un idolo, è un dio che rappresenta un rapporto di dare e avere che non ha nulla a che fare col Dio che Gesù è venuto a mostrarci. A questo punto troviamo i suoi discepoli. Scopriamo che ci sono i discepoli, non si era detto, Gesù sembrava essere solo. Per cui non si capisce se quest’intervento dei discepoli è in diretta oppure è la comunità in un secondo tempo che riflette su questo. C’è una citazione del salmo 69: “lo zelo della tua casa mi divora”. Lo zelo che cos’è? È la passione. Nel caso del salmo 69 la passione del re Davide per la casa di Dio. Nel primo testamento troviamo questa parola nella sua forma ebraica sia in senso negativo che il senso positivo. La troviamo soprattutto nel tardo profetismo riferita a Dio e quindi capiamo la reazione dei giudei. I quali vanno da Gesù, gli dicono “con che autorità fai questo?”. Attenzione! Non sono meravigliati del fatto che Gesù abbia compiuto questo gesto. Per loro ci sta. Il problema è che questo è un gesto simbolico che testimonia l’autorità di Davide e forse anche l’autorità di Dio. A Gesù viene chiesto di giustificare il perché si arroga una tale autorità. In forza di cosa attribuisce a se stesso una tale autorità.
A questo punto si apre quella che è la seconda parte di questo di questo vangelo. Gesù dice che l’autorità gli viene dal fatto che lui sarà in grado, di fronte ai giudei che distruggeranno il santuario, di ricostruirlo in tre giorni. Ora non si parla più del “tempio”, dell’area templare in senso lato, si parla del “Santo dei Santi”. Si parla del luogo della presenza fisica di Dio in mezzo a noi. Si dice che loro lo distruggeranno ma lui lo farà risorgere. Il verbo è proprio quello della resurrezione. Di fronte a questa rivelazione i giudei reagiscono non capendo. Ma il dubbio è che forse qualcosa si fosse capito, perché dicono che il tempo è stato costruito in 46 anni e lui non può farlo risorgere in tre giorni. Non si usa “ricostruire” si usa “risorgere” la stessa parola. Forse così è una sottolineatura di una non totale buona fede. Questa cosa è fondamentale, tant’è che il vangelo ce la giustifica: ” egli parlava del santuario del suo corpo”. Non possiamo non capirlo, non possiamo fare finta di niente. Di nuovo ancora di più si sottolinea “dopo la resurrezione”. Quando sarà possibile la fede, i discepoli “si ricordano” ed è meraviglioso, e credono nella parola, nella Scrittura, e alla parola che aveva detto Gesù. Viene messa prima la Scrittura della parola di Gesù.
Poi c’è una un corollario una conseguenza che di solito un po’ scappa all’attenzione ma è curiosa. Si dice che mentre Gesù è a Gerusalemme per la festa, molti, le moltitudini credettero nel suo nome. Non in lui: nel “suo nome” quindi della sua potenza, vedendo i segni che faceva. Ma Gesù non crede in loro perché lui conosce tutti e non ha bisogno di testimonianza sull’uomo. Perché lui conosce ciò che c’è nell’uomo. Sembra una delle frasi fatte apposta per non farci capire. Forse significa che di fronte a questa fede esplosa in Gerusalemme in Gesù – non in Gesù, nel suo nome quindi in ciò che fa, nei segni che compie – Gesù sa che questa non è la vera fede. La vera fede sarà possibile solo dopo la pasqua. Quest’entusiasmo di lì a poco (secondo il vangelo di Giovanni di lì a due anni) diventerà il grido “crocifiggi crocifiggi!”. Di fronte a tutta questa gente che viene, ti applaude ed è pronta a seguirti almeno apparentemente potrebbe venire il dubbio che non ci sia più bisogno della pasqua. Non c’è più bisogno della salvezza. La gente, il popolo, noi, abbiamo trovato quello che cerchiamo. Abbiamo trovato qualcuno in cui credere. Qualcuno da seguire. Ma la strada non è quella. Di fronte a questo entusiasmo Gesù sa che questa non è la via della fede. C’è ancora bisogno dell’offerta di sé, del sacrificio. C’è ancora bisogno di cambiare quel qualcosa dentro il cuore dell’uomo che può essere trasformato solo da lui.
Terminiamo. Se ci pensate il tempio fu costruito da Davide. Anzi non fu costruito da Davide. Lui voleva costruirlo ma Dio gli dice: “non sarai tu a fare a me una casa, ma sono io a fare a te una casa”. Gesù è colui che ha zelo, amore appassionato per questa casa. La casa del Padre è anche la casa sua. E la casa sua siamo noi. Quella casa che il Padre ha fatto a Davide è il popolo. Quella casa che il Padre ha fatto a Gesù è la comunità cristiana. Lo zelo di Gesù è per questo. Per noi come comunità. E come comunità abbiamo bisogno di essere rifatti fondamentalmente. Abbiamo bisogno di vivere la pasqua per trovare quella fede che in cui siamo stati fatti uomini e donne nuovi.
Ecco questo dobbiamo lasciare che emerga. Dobbiamo riconoscerci in questo e lasciare che questa sia la verità della nostra vita.
Buona domenica.