Un deserto affollato
Ci mettiamo questa mattina all’ascolto di questo breve brano del vangelo di Marco che abbiamo saltato nella lettura delle domeniche scorse. In realtà la parte finale l’abbiamo letta e la chiesa ce la ripropone nella lettura liturgica. È il racconto della permanenza di Gesù nel deserto. Per prima cosa mettiamo da parte ciò che ci viene in mente, che nasce soprattutto dal racconto degli altri due sinottici: Matteo e Luca. Quindi i sassi che devono diventare pane. Il pinnacolo del tempio. I regni della terra… di tutto questo l’evangelista Marco non fa menzione. Ci dice invece che lo Spirito sospinge Gesù nel deserto. Nel deserto (si ripete due volte) Gesù rimane per 40 giorni.
Si dice che è tentato da satana. Dopodiché si commenta che sta con le bestie selvatiche e ci sono gli angeli che lo servono. La prima caratteristica è il verbo iniziale. Si dice che lo Spirito, che è disceso come colomba, lo sospinge: lo “spinge con forza”. Se fosse stato tradotto con “caccia”, che è lo stesso verbo con cui Gesù espelle i demoni da coloro che soffrono, sarebbe stato lecito. È lo stesso verbo. Gesù viene cacciato con forza dallo Spirito nel deserto.Il deserto è un luogo molto importante in quella che è l’esperienza religiosa d’Israele – e di conseguenza la nostra. È un luogo che ha la caratteristica di essere faticoso. In cui non è semplice scegliere di andare. Tant’è che coloro che nel deserto si sono trovati – il popolo d’Israele per i 40 anni, poi Elia – ci sono arrivati ma un po’ per forza.
Il popolo sta scappando, non può scegliere la via del mare perché gli egiziani gli danno la caccia. Elia andrà secoli dopo per quaranta giorni nel deserto, depresso perché vuole morire. È un luogo in cui ci si trova sospinti dalla vita. Perché è un luogo duro, un luogo che mette alla prova. In cui non sei sicuro di poter sopravvivere, perché incontri i tuoi limiti. Ma non incontri solo i tuoi limiti; incontri anche il valore vero non solo di te stesso ma delle altre cose, delle altre persone. Perché uno che è una persona qualunque in una grande città, in un deserto diventa un compagno o un nemico. Perché un goccio d’acqua, un tozzo di pane che nella vita comune possono diventare uno scarto, nel deserto sono una risorsa per la sopravvivenza. È chiaro che dipende da noi, e quindi noi stessi possiamo essere mostrati per ciò che siamo. Nel male: incapaci di prenderci cura di noi stessi, di fare fronte agli altri.
Nel bene: capaci di sopravvivere a questo. In questo senso il deserto è il luogo primario per l’incontro con Dio. Perché Dio sta proprio lì: sta nel bene che riusciamo a vedere in noi e negli altri, nella creazione. Dio sta in ciò che ci manca, nella nostra fragilità. Nel momento in cui a questa fragilità noi non ci arrendiamo ma cerchiamo un aiuto, una risposta. Ma la caratteristica è che pure in questa situazione – nel deserto – si fa fatica a entrare. Intanto il vangelo ci dice che forse anche Gesù ha fatto fatica ad entrare, e questo ci consola.
Ma ci sono alcune altre caratteristiche: si dice della tentazione. Si dice degli animali selvatici e si dice degli angeli. “Gli angeli” possiamo leggerlo sia in senso più spirituale, come ci immaginiamo dopo aver visto tanti meravigliosi quadri. Possiamo però immaginarceli nel senso più legato al significato del termine (inviati, messaggeri). Rimane il fatto che questo deserto è poco desertico e un po’ affollato. Perché fra animali e angeli, Gesù non è certamente da solo.
Ma queste caratteristiche, cioè la tentazione di satana, le bestie selvatiche che fanno compagnia e gli angeli che servono dovrebbero farci andare automaticamente col pensiero a un altro episodio. Che è la permanenza di Adam ed Eva nel giardino dell’eden prima del peccato originale. Non a caso nel momento in cui Adam ed Eva, l’umanità, l’umanità creata da Dio incontra il peccato, viene “scacciata” dall’eden. Viene “cacciata via”. Forse vediamo che qui c’è una situazione simmetrica. Quell’umanità che è cacciata dal paradiso terrestre qui inizia a esserci ricacciata dentro. Cristo viene cacciato dentro e con lui ci mettiamo un piedino anche noi. Chiaramente facciamo il tifo per lui. Perché diciamo questo? Perché nell’eden l’umanità è stata tentata e ha ceduto di fronte alla tentazione.
In questa nuova situazione Gesù viene tentato ma resiste e quindi c’è una simmetria che ricostituisce quella creazione che è il progetto meraviglioso di Dio da sempre. Si dice che le bestie selvatiche che nell’eden sono solidali, sono compagni di vita, sono sottomesse, ricevano il nome e vivono in comunione con con Adam ed Eva stanno con Gesù. Quindi si ricostituisce quella situazione iniziale. Gli angeli sono al servizio. Gesù ha ciò che gli serve.
Quel deserto non è un luogo che mette a rischio la vita ma diventa il luogo dell’incontro con Dio, con le altre persone. Certo: è un deserto. Non è più quel giardino fiorito iniziale e quindi c’è una sottrazione, c’è una mancanza. Non solo. C’è una mancanza perché non è più il giardino ma è il deserto. Ma c’è una mancanza anche perché manca Eva. Manca la sposa, manca l’amata. Allora il vangelo ci prende per mano e ci dice che è questo che sta succedendo: Gesù è venuto per riaprire le porte dell’eden. Per entrare e farci rientrare in quell’eden. E quello che sta facendo è non solo donarcelo.
Ma ricreare quell’eden stesso. Ma, meraviglia delle meraviglie, ricreare anche la sposa. È questo che il vangelo ci racconta. Perché la sposa, l’amata siamo noi. Siamo noi umanità, siamo noi chiesa. Giustamente la la lettura prosegue e ci racconta come fa Gesù a fare nascere, a rinnovare, a rendere bella questa sposa che lo accompagni in questo nuovo eden. Lo fa con la predicazione del Vangelo di Dio. Il tempo è compiuto. Il regno è vicino. Convertitevi e credete al vangelo. Credete nel vangelo, vivete in questa nuova atmosfera di vita e di fede. In questo bagno d’amore che il Signore è venuto a portare. Nella prima creazione la sposa nasce dalla costola di Adamo. Nella nuova creazione la sposa nasce dalla predicazione di Cristo che viene sintetizzata nella croce, nel momento in cui il costato viene trafitto. Di lì escono sangue e acqua, nasce la chiesa.
Questa simmetria perfetta scopriamo che è più che perfetta. Perché se il racconto della Genesi è il racconto simbolico di un qualche cosa che storicamente non è mai successo, il racconto del vangelo è il racconto della nostra vita. Di qualcosa che sta succedendo. Di qualcosa che ancora viviamo in modo parziale ma che è molto più grande di quella creazione iniziale.
Noi riceviamo questa Parola all’inizio del nostro cammino di quaresima. Che è una quaresima particolare, di un anno particolare, di un tempo della nostra vita particolare. In cui siamo stati e siamo ancora chiamati a scegliere se questa “desertificazione” di tanti lati della nostra vita successiva alla pandemia ci porterà a vivere le relazioni, il rapporto con noi stessi chiudendoci, inaridendo. Diventando noi “desertificati” dal punto di vista spirituale. O se vogliamo che questo deserto possa tornare ad essere un paradiso terrestre, una terra promessa. In questo senso la quaresima è il momento in cui il Signore ci prende per mano per accompagnarci, per farci fare questo cammino che ha come meta la Pasqua. Ma nella speranza sappiamo che la Pasqua è sempre vicino a noi. Il tempo è compiuto, il regno si è fatto vicino. È possibile che ci convertiamo, ed è possibile che viviamo nella fede. Nella fede e nel vangelo.
Buona quaresima
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