Buongiorno e buona domenica.
Il vangelo di questa mattina ci racconta di un lebbroso che va da Gesù. Chiede di essere guarito. Gesù lo guarisce e questo diventa un apostolo, diventa uno che annuncia le grandi cose che Gesù ha fatto di lui. È un grande miracolo, la guarigione della lebbra. Oggi è una malattia facilmente curabile ma ai tempi di Gesù non era così. Al punto che è una guarigione paragonabile a una resurrezione, è una guarigione che ha un significato sociale molto forte. Perché il lebbroso veniva escluso dalla comunità, ma anche un significato personale molto forte, perché la lebbra ha la caratteristica di essere una malattia temuta. Un po’ come i primi anni, e ancora oggi forse per tanti, quando scoppiò l’aids, l’hiv… O forse per qualcuno adesso per la pandemia. Cioè non c’è soltanto il problema relativo alla malattia, ma c’è tutta un implicazione psicologica, di di timore, nel caso della della lebbra proprio di paura. Mi è capitato nella mia vita ad incontrare lebbrosi guariti. Vi assicuro che pur sapendo che erano guariti, che non c’era nessun rischio nello stare vicino, nel toccare queste persone, mi hanno fatto incontrare delle paure ataviche profondamente radicate in me.
Ecco il vangelo ci presenta questa cosa meravigliosa, questo lebbroso guarito. Potremmo fermarci qui. Il problema è che se andiamo a leggere questo brando con attenzione ci accorgiamo che ci sono alcune cose che non quadrano. La prima è che il lebbroso viene lui da Gesù. È il primo malato che si presenta da solo, ma il problema è che non può un lebbroso fare questo. Ci mancherebbe altro. Se fossi io certamente lo farei… Però se ci pensate fino ad ora: la suocera di Simone e poi la gente che Gesù ha incontrato a Cafarnao, tutti gli ammalati sono stati accompagnati da Gesù. Qui c’è un discorso abbastanza delicato.
Si dice poi che questo lebbroso supplica Gesù. La parola “supplica” è il verbo da cui deriva la parola paraclito. È qualche cosa di importante, qualcosa che mette Gesù da un certo punto di vista su un piedistallo. Dall’altra lo avvicina perché significa “chiamare vicino”. Di fatto è una sorta di avvocato difensore. Cioè Gesù viene rivestito di grande onore da questa persona. Si dice che lo supplica “in ginocchio”. Noi non ci meravigliamo perché è un gesto tipico della nostra cultura. Però – attenzione! – non era un gesto tipico della cultura orientale e ancora oggi non lo è. Nel primo testamento non troviamo mai nessuno che si inginocchia. Nel vangelo di Marco c’è solo un altra persona che si inginocchia ed è quell’uomo, che l’evangelista Matteo definisce “giovane”, che va da Gesù per chiedere – cosa devo fare per essere perfetto? – eh… va’, prima osserva i comandamenti – l’ho sempre fatto – va da’ tutto ai poveri, vieni e seguimi. Se ne andò triste. Costui si inginocchia. Perché il gesto dell’inginocchiarsi della cultura orientale è un gesto di debolezza. È il ginocchio che ti cede, la paura che ti fa inginocchiare.
Questo lebbroso dice a Gesù un qualcosa di meraviglioso ed inquietante: – se vuoi, puoi purificarmi. È un complimento ma è anche – dire un’offesa forse è esagerato – ma perché “se vuoi”? Perché se Gesù è Dio e se sono convinto che Dio è buono, certo che Dio vuole che io sia purificato. Ma se io metto il “se” davanti, il problema diventa che ho io non so se tu sia Dio. Non so se tu mi vuoi bene. Non so se Dio è talmente buono da volere che io sia purificato. Vedete che c’è dentro questo “se vuoi, puoi purificarmi” il riassunto delle nostre paure umane ma anche di fede. Perché è la paura che Dio non ci sia. O la paura che Dio ci sia ma sia un Dio che si fa gli affari suoi. Che sia il Dio degli antichi, il Dio dei dei romani, dei greci che gioca un po’ con la dignità e la libertà degli esseri umani. È una paura che esiste ancora oggi. Noi di fronte al male, alla morte ci facciamo prendere da questo “se” da questo non capire. Basti pensare anche i discorsi sentiti ultimamente, che saltano fuori ogni qualvolta c’è una grande sofferenza. Il dubbio che sia una punizione di Dio. Forse ce lo siamo meritati. Se vuoi puoi purificarci ma se vuoi puoi anche punirci. Il verbo purificare è lo stesso che abbiamo incontrato con il primo miracolo-segno di Gesù nella sinagoga, l’uomo posseduto da uno spirito impuro. Cioè una persona non trasparente, una persona in cui il bene e il male sono mischiati. Faccio una piccola parentesi: in questo senso questo lebbroso è nostro fratello. In lui ci sono le nostre paure, in lui ci sono le nostre difficoltà fisiche, sociali, spirituali. In lui c’è quel misto di bene e male che tutti noi conosciamo.
Il vangelo prosegue col miracolo, certamente. Dopodiché a Gesù dice a questo lebbroso di andare a presentarsi ai sacerdoti e fare ciò che Mosè ordinato. Lui non lo fa. A noi v iene da dire – sì però non lo fa perché va e annuncia, è il primo apostolo, che bello – certo “che bello” però contemporaneamente non lo fa. Non obbedisce a Gesù, non obbedisce a una legge. Certo era una legge inadeguata, fatta per un popolo che abitava nel deserto, nelle tende. È una legge che non è stata aggiornata – e qui ci sarebbe un discorso molto lungo: ecco spesso le leggi legiferano sul passato e non sono più rispondenti non solo alle possibilità ma anche alle situazioni attuali – però rimane una parola chiara di Gesù che viene disattesa. Poi se andiamo a leggere il capitolo del Levitico che racconta le prescrizioni riguardo alla lebbra ci scappa la voglia. Nel senso che riconoscere la lebbra, diagnosticarla, viene risolto in due versetti. Ma per il sacerdote certificare che il lebbroso è guarito è una roba che fa scappare la voglia. È costosa per il lebbroso perché deve portare dei sacrifici, tanto che c’è la variante per i lebbrosi poveri. Ma è brigosissima: per il sacerdote ci vuole un manuale per fare tutte quelle cose. Quasi a dire che tanto non ci crediamo che questo avvenga. Sì, bisogna che ce lo mettiamo. Vuoi mai non mettercelo: Dio fa i miracoli. Però è una roba che tanto rimarrà scritta lì e nessuno mai si prenderà la briga di metterle in pratica.
La cosa molto interessante di fronte a questa ambiguità e questa fatica nel lebbroso è che esiste un ambiguità anche in Gesù. Lo vediamo soprattutto dal fatto che di Gesù si dice che di questa persona ha compassione, che uno dei verbi belli del vangelo, che a che fare con le viscere. Ci sono delle varianti testuali che dicono altro ma adesso ci teniamo a quella che ci viene consegnata dalla tradizione attuale liturgica ed ecclesiale. Ma soprattutto si dice che “preso da compassione allunga la mano, tocca e dice…”. È più di quanto sia necessario: allunga la mano, tocca. Basta dire “tocca”. Perché anche “allunga la mano”. Si giustifica pensando che in Gesù c’è una battaglia, che è la battaglia di ogni uomo di fronte alla lebbra, di fronte al male, di fronte al peccato. Ma forse non solo. È anche una battaglia di fronte a una persona che si presenta in questo modo. Non semplice, non trasparente. Perché non è totalmente “un povero” perché è lui che viene con le sue gambe. Lui che fa anche discorsi complessi. Contemporaneamente ha fatto tanta confusione – e la gente che fa tanta confusione non so a voi ma a me fa scappare la pazienza molto molto facilmente. Gesù deve fare deve farsi forza, deve allungare la mano. Il verbo toccare è una delle varianti di questo verbo. Nel senso originale è un toccare complesso, un toccare forte, con forza. Ma anche per prendere consapevolezza di ciò che l’altro è.
Si vede da quello che succede subito dopo. Si dice che Gesù lo ammonisce severamente, lo “caccia via”. Diciamolo – non è un po esagerato? -. Certo che è un pò esagerato. Ma probabilmente questa persona ha ancora un percorso da fare. Non è più solo il percorso dell’essere purificato dalla propria lebbra. Ma ha bisogno di essere purificato dal fatto che è una persona che forse si fida troppo. Si fida troppo di quello che gli hanno raccontato di dio. Si fida troppo di questo Gesù che, certo, per noi è il Figlio di Dio ma non è ancora il risorto. Eppure lui lo ha apostrofato con con le parole con cui Dio crea il mondo. Perché quel “vuoi” è il volere di Dio, è il volere creatore. È il volere di un Dio che vede, dice, vuole e fa. Ma è un “vuoi” anche pericoloso. Perché è il “vuoi” degli apostoli quando vanno da Gesù e vogliono essere il primo. Vogliono essere quello che siede alla destra e alla sinistra. Il “vuoi” di Dio è un vuoi di cui ci possiamo e dobbiamo fidare. Ma il “vuoi” degli uomini è faticoso e doloroso e purtroppo questo lebbroso dal vangelo si capisce che fa confusione. Come tanti di noi che ci fidiamo a volte delle persone sbagliate e mettiamo in dubbio invece la volontà di Dio, non la cerchiamo.
La cosa molto bella è come il vangelo va a finire. Gesù non può più entrare nelle città perché questa pubblicità che il lebbroso guarito gli ha fatto, non dovendola fare ma gli ha fatto lo stesso, fa sì che tutti lo vadano a cercare. Lui non può entrare in città perché ha toccato un lebbroso e non può, ma anche perché la gente gli si butterebbe addosso, lo schiaccerebbe – come poi vedremo rischia di succedere -. Quindi la sua missione viene bloccata. No! Non è vero. Non viene bloccata. Perché lui sta in luoghi solitari e la gente va a lui da ogni parte. Quasi a dire che la fatica di questo lebbroso, questo percorso che non è certamente finito, che è la fatica nostra, del nostro percorso, con le cadute, le fatiche, i dubbi… E l’atteggiamento di Gesù che educa certamente questa persona e che forse educa anche se stesso, perché deve imparare ad affrontare anche la sua paura di toccare il lebbroso, deve capire che come Dio ha un dono di volontà da applicare verso la nostra fragilità verso la nostra miseria… Ecco tutta questa fragilità, tutta questa fatica non impedisce a Gesù, all’opera di salvezza, a quel “subito” di cui parlavamo domenica scorsa, di questa strada che si sta aprendo, ecco tutto questo non impedisce alla strada di aprirsi. Non impedisce a Gesù di venirci incontro e a noi di poter andare da lui e mettere nelle sue mani la nostra fragilità e la nostra debolezza.
E di questo lo ringraziamo.
Buona domenica
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