don Claudio Bolognesi – Commento al Vangelo del 6 Giugno 2021

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Vorrei condividere solo due o tre cose. Senza avere la pretesa di essere esauriente perché questo vangelo, il racconto dell’istituzione dell’eucaristia, è infinito. Condivido solo due o tre domande. La prima riguarda l’insistenza iniziale sul fatto che è il primo giorno degli Azzimi quando s’immola la Pasqua. Immaginiamo una cerimonia solenne del tempio. In realtà è un rito domestico. È preparare una cena. Forse in antichità era ciò che si faceva normalmente per le feste. Una cosa quasi normale: preparare una cena, ma prepararla con un significato nuovo.

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Dopodiché c’è un grande problema ed è “dove” preparare la Pasqua. Inizialmente sembra essere un compito dei discepoli: – dove vuoi che andiamo “noi” a preparare perché “tu” possa mangiare? -. Il vangelo di Marco in modo particolare sottolinea che questa dinamica è assolutamente fuorviante. È esattamente il contrario perché sarà Gesù a preparare a si vede dal fatto che è lui a dare una serie di indicazioni. “Entrare in città” viene ripetuto. Bisogna entrare all’interno della comunità degli uomini e trovare un uomo che ha una brocca d’acqua.

Cosa che a noi non dice nulla ma in realtà è curiosa perché in antichità – ma anche oggi – nei popoli in cui purtroppo non esiste l’acqua corrente questo è un compito delle donne e dei bambini. Quindi chiaramente è un servo. Quindi l’indicazione è di diventare capaci di accorgerci delle situazioni. In modo particolare di accorgerci di coloro che servono, dei poveri. Poi c’è l’arrivo in questa casa, in cui sono chiamati a rivolgersi al padrone. Quindi c’è anche un’indicazione di libertà verso chi è ricco. Si capisce di nuovo che è Gesù che ha preparato, perché i discepoli dovranno chiedere dov’è quella stanza, la stanza al piano superiore. C’è quindi un’altra indicazione: una stanza al piano superiore è una stanza nobile, una stanza importante.

Ecco, a questo punto i discepoli sono chiamati a preparare. I “due” discepoli. Attenzione anche a questo. Sono in due così come erano in due quelli che dovevano andare a evangelizzare.
Devono preparare ma ha già preparato Gesù. Ha già preparato, però all’interno di ciò che Gesù ha fatto come sempre c’è spazio anche per noi discepoli. Si dice che discepoli ubbidiscono. È una cosa sempre bella, non è scontata. Si dice che trovano esattamente come ha detto lui e poi c’è uno stacco, un ritaglio. Sapete come la penso sui ritagli. Però bisogna anche pensare che questi brani sono per la celebrazione comunitaria.

Dopodiché c’è il racconto del duplice gesto contestualizzato all’interno della cena. Su questo se mai vi capitasse di trovare qualche pubblicazione o di parteciparci di persona, esiste un rito della cena pasquale ebraica per comunità cristiane che è affascinante. Soprattutto perché aiuta a capire la situazione, il contesto in cui questo rito è nato. A noi oggi un po’ sfugge il contesto della cena. Dentro questa cena c’è il doppio gesto del pane spezzato, che è un gesto di condivisione e anche di fatica e di violenza –  tenete presente che è un pane azzimo, quando lo spezzi fa un bel crik e si spacca molto di più di quello che uno avrebbe immaginato -. Così come il calice che è versato si dice “per i molti” per le moltitudini. Forse oggi viene più scontato dire “per tutti”.

C’è una frase successiva che è molto interessante: “io non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui non lo berrò nuovo nel regno di Dio” che è uscita dalla celebrazione liturgica ma che è una delle caratteristiche, è quasi un appuntamento. Ci ricorda che questa cosa che Gesù sta facendo deve collocarsi in un contesto. In un contesto aperto ad un incontro, che sta nel nel nostro futuro nella nostra speranza.

Ci sarebbero tante altre cose da dire ma mi fermo qui. Un tempo celebrare l’eucaristia, la festa del Corpus Domini era un dovere socio religioso. Il rischio era di andarci, di farlo soprattutto per motivi civili e di educazione. Oggi, dopo aver insegnato per tanti anni che le cose si fanno per gioia e per amore, facciamo i conti col fatto che tanta gente dice “a me non dà tanta gioia, tanto amore, allora non vengo”. I tempi sono cambiati, non è colpa nostra. È la nostra società che non ha più un gran rapporto col dovere. Questo non è mica sempre un male. A volte è un bene. Io credo che dobbiamo capire che questa celebrazione è la celebrazione di una famiglia che si ritrova.

Per una famiglia che si ritrova l’amore e il dovere devono devono dialogare. Per una famiglia che si ritrova c’è la necessità di mettersi al servizio. Di scoprire che gli altri l’hanno già fatto prima per noi. Per una famiglia, per una comunità che si ritrova è fondamentale guardare avanti e capire che ci sono altri appuntamenti. Ci sono grandi appuntamenti che ci sono donati. Ci sono davanti. Che dobbiamo coltivare nella speranza e che dobbiamo assolutamente non perdere. 
Buona solennità del Corpus Domini.