Apro il motore di ricerca su internet. Voglio verificare se ricordo bene gli usi ebraici relativi ai ragazzi dodicenni. Oggi celebrano un rito, il bar (i maschi) o bat (le ragazze) mitzvah che ai tempi dei Gesù forse non esisteva. Comunque a quell’età si veniva riconosciuti grandi abbastanza per seguire la Legge. Il Vangelo di Luca racconta di Gesù dodicenne in pellegrinaggio a Gerusalemme con Maria e Giuseppe.
Quella che mi accoglie è invece una notizia agghiacciante. A Parigi qualche giorno fa una dodicenne ha subito violenza da parte di alcuni quindicenni, tra cui il fidanzatino, “perché ebrea”. Verrebbe voglia di piantarla. Smettere di spendere tempo per ascoltare la Tua Parola. Invece diventa ancora più urgente. Il Vangelo di questa domenica ci racconta di Te.
Di una folla che dopo un primo momento in cui si raduna – fin qui tutto bene – inizia a stringersi. Diventa una barriera ma anche uno schermo dietro cui una donna, malata da dodici anni – segnatevi questo numero -, riesce ad avvicinarsi a Te. A toccarti anche se non potrebbe. C’è anche un’altra folla. Quella fatta da chi viene a dire a un padre che non ha senso disturbarti, perché tanto la sua figlia ormai è morta. La stessa folla che fa trambusto, piange ed urla forte. Sono i professionisti del dolore, attori di quei riti che abbiamo creato per accompagnare alla morte chi ha il cuore spezzato per la perdita di una persona cara.
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Due genitori che devono fare i conti con ciò che un genitore sa di non poter affrontare. Una folla che crede di curare il dolore col trambusto e si trasforma presto in una folla che schernisce. Il terzo protagonista che incontriamo è Giàiro. Ti vede, cade a terra davanti a Te, come cadeva il seme, come cadrai Tu nei Getsemani. Ti prega – tanto – per la figlia, piccola. Impareremo alla fine che così piccola non è. Ha dodici anni, entra nella pubertà. In un mondo in cui la vita media è breve, è già tempo di pensare a un marito. Invece che sognare l’amore, lei muore. Il padre ti chiede di andare con lui, di stendere le tue mani su di lei. È un gesto che implica proprietà. È tenero ma genera responsabilità, una nuova appartenenza.
Con doti narrative non da poco l’evangelista quindi crea un inciso. La quarta protagonista è una donna. Sofferente a causa di una malattia ma anche dei medici che l’anno curata aggravando il problema. È malata da dodici anni. Di nuovo il numero che nella Bibbia rappresenta il popolo – attenzione! La “folla” è un’altra cosa -. Una donna/popolo/sposa sofferente di un male che la rende impura. Non abile ad avvicinarsi al Tempio. Impedita dalla Legge non può toccare Te, lo Sposo. Vittima di chi dovrebbe prendersene cura. La folla la favorisce, le permette di fare quello che da sola non avrebbe potuto fare: toccare il Tuo mantello.
Meraviglioso il racconto della dinamica psicologica: parla tra sé e sé, sappiamo i suoi pensieri. Vuole toccarti per guarire. Non può farlo per cui non guarirà, se non infrangendo la Legge. Come chi non si avvicina a Te perché è un peccatore, non ne è degno. Non si avvicina quindi Tu non puoi renderlo, renderci degni. A lei restituisci la vita. Il mantello diventa un bel simbolo del Tuo amore. Sotto la croce lo lascerai a noi che Ti abbiamo crocifisso come Tua eredità. La donna ora nelle Tue parole diventa “figlia”. Lo stesso termine che Giàiro usa quando Ti cerca. L’hai individuata e ora Ti dice “tutta la verità”. Anche se la sua perdita di sangue è terminata “subito”, solo ora può andare in pace, sanata da un male ben più profondo.
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Riprende la scena con Giàiro ma ora tutto sembra precipitare. Avvisano dalla casa che la “figlia” è morta e di non disturbare più… Parole terribili di fronte alle quali dici lapidario: “non temere, solo credi”. Dal mare, dalla strada, ora la scena si sposta alla casa. Ti accompagnano solo alcuni discepoli. Come a casa di Simone, o al Tabor, o nell’ultima tratto dei Getsemani. Osservi qualcosa che forse non capisci: commozione, pianto e lamenti, che diventano derisione di fronte alle Tue parole: – non è morta, ma dorme -. Bisogna fare uscire tutti. Rimangono Giàiro e con lui la madre, ci sono i discepoli.
Ora bisogna solo “entrare là dov’è la bambina”. Non le imporrai le mani. Farai quello che si fa con i figli per accompagnarli. O tra sposi che percorrono lo stesso cammino: la prendi per mano. Le parole seguenti, in aramaico, la Tua lingua, sono formose: – Talithà kum! Fanciulla, alzati! -. Come fu per la suocera di Pietro si alza, cammina. Il vangelo ci informa solo ora che ha dodici anni. Come la donna ammalata anche lei diventa donna/popolo/sposa. Resa capace di vivere e di amare. Chi ha visto ora è in estasi, in stato di shock. Dovranno tacere, non è ancora tempo di raccontare. Sorridiamo leggendo le ultime parole: Ti preoccupi che i genitori, estasiati, le diano da mangiare.
don Claudio Bolognesi