Che il Padre abbia l’hobby dell’agricoltura, in particolare della vigna, lo sappiamo dal secondo capitolo della Genesi, quando pianta un giardino in Eden. Lì gli era andata male, con la storia dell’albero della vita e di quello della conoscenza del bene e del male.
Con la famosa mela di Adamo – ma è improbabile che l’Eden fosse in Val di Non – che ora però diventa uva. Sembra che stavolta gli vada meglio. L’albero della vita infatti è diventato la Tua croce, Gesù, e il frutto sei Tu.
Questa è la variabile che rende tutta la Sua operazione vincente. Rimane il fatto che sin da allora il problema era la relazione. Noi cerchiamo di impossessarci delle cose, riduciamo tutto a dinamiche di potere, di possesso e di scambio. Tu ci proponi invece di “rimanere in Te”.
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Già da tempo nelle nostre campagne i contadini hanno finito di potare. Se non l’avessero fatto i campi ora sarebbero meravigliosi, pieni di fiori. Ma poi i rami non avrebbero avuto più la forza per darci i frutti. Di fronte al tralcio potato, gettato via, lasciato seccare e poi bruciato potremmo scandalizzarci. Ma come, Tu non sei il salvatore di tutti?
Eppure il Vangelo si affretta a spiegare che anche il tralcio che porta frutto viene tagliato. Allora il problema è se per “tralcio” intendiamo la parte attaccata alle vite, o la potatura. Perché forse sono le due parti dello stesso ramo. Solo che una parte è quella che “rimane”, che si relaziona con Te. L’altra quella che non coltiva questa scelta, questa necessità.
La parte autonoma, autosufficiente, che il frutto dell’albero della vita e della conoscenza del bene e del male se lo procura con le sue mani. Alla fine dipende un po’ da noi, in quale parte vogliamo riconoscerci. Esiste però anche un criterio oggettivo per valutare se siamo tralcio buono, attaccato alla vite o potatura da bruciare: se diamo o no frutto. Il problema è che non è chiaro cosa intendi per “frutto”.
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Ma questo Tu non lo spieghi. Dici però che siamo “purificati” in quanto la Parola che ci hai annunciato ci rende così, anche se avremo sempre bisogno che Tu completi questa purificazione lavandoci i piedi come hai fatto con Pietro e gli altri. Poi ci inviti a rimanere in Te e Tu in noi – sembra che sia la stessa cosa, e forse è ovvio che sia così -.
Infine ci dici che possiamo/dobbiamo chiedere quello che vogliamo e ci sarà fatto. Probabilmente il fatto che portiamo frutto è legato a tutto questo. Non è importante cosa facciamo, ma il fatto che quando pensiamo a noi ci riconosciamo nel pezzettino di tralcio, se pur cortissimo, attaccato alla vite.
Che scommettiamo su quel pezzettino lì, su quei cinque centimetri senza preoccuparci dei due metri che verranno buttati via. Che lasciamo rimanere in noi la Tua Parola, e ci penserà lei a farci rimanere in Te. In fondo i frutti veri sono le cose che facciamo senza rendercene conto.
Il melo mica lo sa di fare le mele: le fa e basta. Ma ancor più in fin dei conti Tu, che sei la vite, sei anche il frutto. Sei colui che dona il vino buono di Cana, ma anche il vino stesso, donato per noi nell’eucarestia. Le sorprese però non sono finite.
Il brano si chiude col botto: cosa chiederemo mai se la Tua parola rimane in noi? È ovvio: di diventare Tuoi discepoli. Certo, perché non lo siamo e non lo saremo. Al massimo siamo e saremo coloro che desiderano diventarlo. Questo desiderio dà gloria a Dio,e “discepoli” ci rende per Tuo dono.
don Claudio Bolognesi