Cosa troveremo al momento del Tuo ritorno, Signore? Ci siamo detti più volte in queste settimane che alla fine troveremo ciò che ci aspettiamo di trovare. L’immagine che abbiamo di Te è complessa: sei il bambino tenero e indifeso che giace nella mangiatoia. Il maestro, il guaritore che ci solleva dai nostri mali. Il Dio sofferente che dalla croce ci perdona.
Quello misterioso che la mattina di Pasqua scompare al nostro sguardo. Sei anche il giudice terribile che scaccia i mercanti dal tempio, e che alla fine del tempo con lo sguardo duro manda all’inferno quelli che non sono stati bravi. Tanto conosci tutto, ci spii in modo inquietante, ci scruti ogni momento. Generazioni intere sono state tenute in riga, schiere di bambini sono state minacciate paventando le Tue punizioni – ci perdonerai anche di questo? -.
Allo stesso modo tanti di noi si autoassolvono mettendosi tra i buoni, così è tutto a posto. Ringraziamo gli studiosi che c’insegnano che questa tipo di racconti, questa immagine del giudizio appartiene ad un genere letterario. È un modo antico per raccontare uno degli interrogativi profondi che attanagliano l’animo umano. Gli studi ci dicono che la lista delle opere di misericordia appartiene anch’essa alla letteratura sapienzale del tempo. Con alcune differenze.
- Pubblicità -
La più significativa è la visita ai carcerati, che sembra una Tua aggiunta. Cerchiamo qualche altra considerazione. La prima, ovvia, è che la distinzione tra buoni e cattivi rimane paradossale. Non esistono o gli uni o gli altri. La pecora ed il capro sono entrambi presenti in ciascuno di noi. In questo senso la fine della parte cattiva è di per sé sempre una buona notizia, una liberazione. A patto che non ce ne siamo troppo innamorati, che non sia troppo traumatico lasciarla.
La seconda riflessione nasce dall’informazione iniziale che queste parole sono rivolte ai “Tuoi discepoli”. È un discorso riservato a chi Ti conosce già. Forse perché questi – noi – corriamo il rischio di pensarci già buoni, già arrivati. Dei raccomandati, in qualità di Tuoi amici. In questo senso ci dici che quello che vale è ciò che siamo, effettivamente.
Qui si spalanca una riflessione molto articolata che ci mette di fronte alla realtà della nostra vita. Alla percezione, all’immagine che abbiamo di noi. Il vero bene presente in noi è quello che vivamo, che facciamo senza accorgercene. Quello che esprime ciò che siamo, non quello che mostriamo agli altri, come vorremmo essere.
- Pubblicità -
Una seconda direzione è quella dell’empatia, la capacità di accorgerci della sofferenza che abbiamo intorno. Rimane un’ultima nota: l’identificazione assoluta tra il povero e Te. Non solo il povero sfortunato, la vittima. Anche il carcerato, probabilmente colpevole, anche lui sei Tu. Per questo non condividiamo l’idea di chi legge e conclude che qui importa solo alla fine di farlo, il bene.
A prescindere dalla fede in Te. Perché Tu dici ai discepoli, a noi, che se vogliamo prenderci cura di Te, lo dobbiamo fare prendendoci cura dei poveri. Ma sei sempre Tu colui che dona la salvezza, anche se sta a noi accoglierla.
don Claudio Bolognesi