Un giorno particolare, quel giorno. Non sappiamo bene quando fosse iniziato, ma è il giorno delle parabole, dell’incontro con il volto del Dio-educatore, del Regno che richiede pazienza e meraviglia. Non è poi tanto diverso dal giorno in cui hai chiamato a te il dodici perché stessero con te e contemporaneamente perché fossero Tuoi araldi.
Sempre lo stesso giorno hai chiesto e ancora oggi chiedi a tutti coloro che vogliono essere Tuoi fratelli, sorelle e madri, di fare la volontà di Dio. È anche il giorno in cui Ti dicono che sei satana, o perlomeno un matto che si è montato la testa. In cui Ti scontri con il fatto che neppure i Tuoi, noi, non Ti capiamo.
Eppure in quel giorno si fa sera. Anche lui sta terminando. Di solito a questo punto alla Tua porta si fa la fila dei bisognosi che bussano per incontrare la misericordia di Dio e riavere la salute. Sarebbe invece il tempo di riposare. I discepoli sono, noi siamo stanchi. In questa sera di stanchezza, dopo tante, troppe cose fatte ci chiedi di passare all’altra riva, di andare oltre. Di crescere.
- Pubblicità -
Da qui in poi per qualche tempo la Tua attività principale sarà quella di andare “dall’altra parte” – come si diceva – di andare “oltre” trascinandoti dietro un gruppo di discepoli riottosi. In questo primo racconto si aprono un sacco di domande.
Troviamo delle sottolineature che ci fanno nascere queste domande. Perché il Vangelo dice che i Tuoi Ti prendono con loro “come sei”? In che altro modo è possibile prenderti? E perché ci tiene a sottolineare che ci sono anche “altre barche”? La tempesta la possiamo immaginare, ma come fai a dormire in una situazione così?
E perché ci racconta che stai a poppa, e questa cosa bizzarra del cuscino? Considerando che il Vangelo di Marco è fatto di 11.229 parole – che sono pochissime per un libro che si rispetti – quarantacinque paginette di ciò che avete letto qui sopra. Eppure sì, sono i discepoli che Ti devono prendere con loro. Come hai spiegato del Regno che deve accogliere quel semino che diventa un cespuglione.
- Pubblicità -
Deve sempre lasciare che Tu ponga la Tua tenda nel suo cuore come un uccellino il suo nido. Hai detto anche che il Regno è un seminatore pronto a meravigliarsi del seme che ha in sé la forza di dare frutto e dev’essere pronto per mieterlo. Bisogna che Ti prendiamo così come sei, senza manipolarti, senza cercare di portarti via per salvarti. Evitando di tutelarti, di voler essere noi a salvarti da Te stesso. Serve che Ti lasciamo la possibilità di spiazzarci, di sorprenderci, di portare anche noi “dall’altra parte”. Ebbene sì, ci sono altra barche, non siamo soli.
Non solo ci sono tante barche-comunità-modi di essere Chiesa. Tu sei libero di parlare al cuore di ogni uomo e tanti possono essere nelle barche vicino a Te anche senza saperlo per bene. Poi la tempesta arriva, e arriva per tutti. A volte ci porta ad un passo del naufragio e ci sembra proprio che Tu non ci ascolti. Che Tu sia lì ma dorma.
Sei a poppa, hai in mano il timone, perché non ci porti in acque tranquille? Come faremo a salvarci? Tu sei sul cuscino, nel luogo in cui appoggiamo la testa. Sei Tu il nostro capo. Il Tuo non è il sonno irresponsabile di Giona nel fondo della nave, quando scappa davanti alla volontà di Dio. È il sonno di Adamo nel momento in cui Dio dalla sua costola crea Eva.
Un’assenza che ci spaventa ma che è solo apparente: Tu hai già posto definitivamente la Tua tenda tra di noi. Il Padre ha già dichiarato finita la separazione tra cielo e terra nel momento in cui vieni battezzato e i cieli si squarciano per non potersi mai più richiudere.
Per questo la domanda dei discepoli, nascosta nella mente di ognuno di noi: – non T’importa che siamo perduti? – ha già la sua risposta. Sei Tu, è la Tua presenza. La Tua parola è quella che ha fatto sì che la creazione trovasse il suo ordine all’inizio dei tempi.
Che il nostro cuore fosse liberato dalla signoria degli spiriti impuri. Quella parola sgrida e placa il vento ed il mare. In realtà non sgridi i Tuoi per averti svegliato. Parli, chiedi solo che riconosciamo la radice delle nostre paure. Che sappiamo di essere una generazione che non ha fede. E che non rinunciamo di chiederci chi Tu sia veramente, nel cuore della creazione ed in quello della nostra vita.
Così come nel cuore della nostra comunità.
don Claudio Bolognesi