C’ è una domanda. Importante, bella, con margini di ambiguità, come spesso sono le domande sincere: “Vogliamo vedere Gesù”. Va dalla visione beatifica alla curiosità scientifica. Il verbo usato per “vedere” è importante, è quello giusto.
Lo troveremo quando si racconterà la gioia dei discepoli nell’incontrare il Risorto. Anche la parola che indica la volontà è quella giusta. È la volontà buona, il desiderio per ciò che è migliore, non esprime una pretesa. La prima perplessità scatta per la catena di comando che s’innesta poi. Prima Filippo, di Betsaida a nord del lago di Galilea.
Tirato in ballo forse perché percepito come affine di lingua e mentalità a questi greci? Probabilmente non solo. Nel Vangelo di Giovanni è un personaggio più importante di quel che pensiamo. È il terzo a seguire Gesù e si dice che è proprio il Maestro che lo va a cercare. Sarà lui a dialogare con Gesù cercando i pani che sfameranno le folle.
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Infine, non a caso, sarà proprio lui a chiedere a Gesù di mostrare ai discepoli il Padre, e questo sarebbe loro bastato. Perché il Vangelo ci tiene a farci sapere di questa mediazione? In più Filippo va da Andrea, il primo discepolo citato da Giovanni, quello che rispunta nella ricerca del cibo al capitolo sesto.
Se Filippo viene messo alla prova de Gesù con la domanda: – dove troveremo il pane? – Andrea è quello che presenta il ragazzo con i cinque pani d’orzo e i due pesci. Fatta salva la possibilità che sia prima di tutto una fotografia di un fatto, raccontato così com’è accaduto, conserviamo il doppio riferimento ai primi due discepoli conosciuti per nome.
Quasi a dire che la domanda d’incontrarlo passa necessariamente dalla comunità, da chi ha conosciuto Gesù dagli inizi . Da chi ha partecipato a quella “moltiplicazione” che poi è soprattutto una condivisione. Il cui racconto in questo Vangelo sostituisce quello dell’Ultima Cena.
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La cosa più strana però viene ora. Gesù non risponde. Parte un discorso complesso e al termine lui si nasconde. Il Vangelo commenta che le folle nonostante ciò che hanno visto non credono. Ma non è del tutto vero, perché addirittura molti dei capi credono in lui in segreto. Dopodiché si racconta in modo sollennissimo come Gesù abbia amato i discepoli “fino alla fine”.
Rimane il fatto che non risponde e anzi si nasconde. L’unica possibilità è che si stia mostrando nelle sue parole: l’immagine del chicco di grano sospeso tra la necessità di morire e portare frutto, e il rimanere solo. La scelta se diventare troppo amici della nostra vita, che comunque finirà, o scegliere di dare la precedenza alla vita “eterna”. Quella che viene descritta dalla parola “servire”.
A questo punto incontriamo il turbamento di Gesù a cui corrisponde la voce del Padre. Giovanni non racconta la preghiera sofferente dei Getsemani così come quella gloriosa della Trasfigurazione. Sono qui. Quindi? Vediamo Gesù se ci muoviamo nell’orizzonte del Servo che dona la vita e produce molto frutto. Del Figlio turbato di fronte all’ora che viene. Del Padre che ci rivela la gloria di Cristo, lo splendore della sua bellezza.
don Claudio Bolognesi