don Claudio Bolognesi – Commento al Vangelo del 16 Maggio 2021

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Mi affascina tantissimo la spinta eroica di questo Vangelo. Pensate: Francesco Saverio che ascolta queste parole, parte, va in Cina, in India e di fatto si sfinisce battezzando migliaia di nuovi cristiani ogni giorno. Poi però mi viene da dire che la maggior parte di noi non andremo in tutto il mondo per proclamare il Vangelo. Allora questo brano di Marco cosa ci dice: nulla? Ci sono altre interpretazioni che proviamo a raccogliere, vi confesso però con un certo imbarazzo. Perché non vorrei che funzionasse solo come scusa. Che cioè abbassiamo l’asticella per noi che non siamo così bravi come i grandi santi, i grandi missionari. Noi che restiamo chiusi nelle nostre camerette e poi diciamo: sì però il Vangelo vuol dire anche altre cose, più facili. Per cui teniamo questa forza però senza dire che c’è solo un’interpretazione. Il Vangelo spesso ha tante interpretazioni, tanti livelli. Proviamo ad esplorarne altri.  

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Gesù si rivolge agli “undici”. Quindi c’è una nota di sofferenza, di fallimento suo e della comunità: manca Giuda. Sono radunati a mensa e quindi c’è una seconda nota. Comunitaria, conviviale e forse anche liturgia eucaristica. Si rivolge a loro sgridandoli. Rimproverandoli per la loro poca fede per la loro durezza di cuore. Parole grosse. A questo punto verrebbe da dire: tutto sbagliato tutto da rifare. Torniamo in Galilea. Non a caso alcuni Vangeli dicono esattamente questo. Nell’apparizione del risorto la prima richiesta è questa: tornate in Galilea. Dobbiamo ripartire dalle origini. Il Vangelo di Marco su questo ci sorprende. Invece che spedire i discepoli a un corso intensivo, un bel quinquennio formativo in una università teologica, a loro dice: – andate e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Loro, inadeguati, con cuore indurito, senza fede.

C’è una piccola distinzione, un piccolo approfondimento da fare già a questo livello. “Andate” forse potrebbe essere tradotto più esattamente con “essendo andati”. Qual è la differenza? La differenza è che da una parte la priorità è: c’è necessità di proclamare il Vangelo perché chi crede è salvo e chi non crede verrà condannato. Quindi bisogna proclamare il Vangelo e per proclamare il Vangelo in tutto il mondo bisogna andare. Se invece il senso del verbo è anche o soprattutto “essendo andati” la prospettiva è diversa. Vuol dire che nella nostra vita ci può succedere di andare, di trovarci a viaggiare, di trasferirci. C’è anche una seconda direzione. La nostra vita stessa è un viaggio in un mondo che è il nostro mondo interiore. Andando, essendo andati dobbiamo essere veri. Se da una parte c’è il nostro peccato, dall’altra c’è l’incontro col Vangelo di Gesù salvatore.

Questo incontro, questa salvezza, questo Vangelo va condiviso. L’annuncio, la proclamazione del Vangelo, il primo annuncio tecnicamente viene detto kerygma. Primo annuncio che è uno dei grandi temi della teologia. La chiesa su questo è chiara: il primo annuncio non è la prima volta che sentiamo parlare di Gesù. Il primo annuncio è il fondamento della nostra fede. È quello da cui partiamo ogni mattina quando alzati decidiamo se dire le preghiere o no. Se dare spazio all’amicizia con Gesù o no. Quell’annuncio deve scaturire da una verità che ci accompagna in ogni parte del mondo della nostra vita e in ogni parte del mondo in cui viviamo.

Questo Vangelo va proclamato ad ogni creatura. È meraviglioso. Il testo dice: a ogni creazione. Pensiamo a san Francesco che predica agli uccelli. O a La Verna che di fronte a un meravigliosa vallata proclama il Vangelo alla natura. Perché la creazione, la terra, dice san Paolo geme e soffre per il peccato e aspetta la redenzione. Ha bisogno di incontrare la salvezza di Cristo.

Dopodiché c’è un secondo aggiustamento: “chi crederà e sarà battezzato sarà salvato e chi non crederà sarà condannato”. Se pensiamo al battesimo inteso come celebrazione del sacramento credo che finiamo in un vicolo cieco. “Battesimo” prima di tutto significa “immersione”. Morte a qualcosa di vecchio e rinascita a qualcosa di nuovo. Allora ci sta. Perché se questo Vangelo proclamato è esattamente la disponibilità a lasciare qualcosa di vecchio, l’uomo vecchio, la parte di noi che finisce, per esplorare qualcosa di nuovo, capiamo che questa è salvezza. Chi invece è senza fede, cioè chi non crede che questo si possa, si debba, sia venuto il momento per farlo è condannato. Ma non è condannato perché Dio viene e  ci manda tutti all’inferno. Ma perché colui che non vuole cambiare, che non vuole crescere e già morto, condannato. Rimane il problema di che cosa voglia dire credere. Chi crede veramente, chi non crede. Questo è un discorso complesso. Ci ricordiamo però che nel Vangelo di Marco c’è una categoria che non crede e viene sgridata per questo. L’abbiamo appena incontrata: sono i discepoli. L’unica altra volta in cui si usa questo verbo nel Vangelo di Marco è riferito ai discepoli. Sono i discepoli che rischiano. Per gli altri che non hanno incontrato, che non possono incontrare Gesù la cosa è triste perché è una gioia che è negata. Ma contemporaneamente c’è anche una responsabilità che in quel caso non esiste.

Poi ci sono una serie di situazioni – vengono detti segni. A noi un po’ spaventano. Scacciare i demoni. Parlare lingue nuove. Prendere in mano i serpenti. Bere veleno – in realtà si dice “qualcosa di mortale” – e non farà danno. Impongono le mani ai malati e questi guariranno… Perché noi non ne siamo capaci. Noi che ci mettiamo nei panni di questi discepoli che devono andare non siamo capaci di fare questo. Allora intanto non viene detto così. Il Vangelo non ci dice che la credibilità di colui che proclama il Vangelo dipende dalla capacità di fare segni miracolosi. Questa logica non è la logica del Vangelo. Si dice che i credenti, tutti i credenti, quelli che annunciano e quelli che ascoltano, tutti noi siamo chiamati a confrontarci e a vivere queste dimensioni.

Qui di nuovo possiamo prendere questi segni nella loro letteralità. Le vite dei santi ci raccontano tanti episodi di questo tipo. È una meraviglia. Se voi vivete di queste cose ringraziate il Signore. State però attenti a gestirle per bene. Io personalmente non sono capace di mettere la mano nel covo dei serpenti né intendo farlo. Non so parlare lingue nuove e fatico anche con quelle vecchie. Allora vado a cercare cosa significano queste immagini all’interno della rivelazione, della Parola di Dio, della spiritualità di quei tempi. Il Vangelo racconta spesso della presenza, dell’opera del demonio. la caratteristica dell’opera del demonio è che tende a fare giacere le persone. Tende a farle restare stese. A farle restare chiuse. Tende a metterle in una situazione di non comunicazione, di irragionevolezza, di inutilità. Rispettiamo tutta la tradizione degli esorcismi, di queste cose che fanno parte dell’esperienza pratica della fede. Non solo del cristianesimo. Di ogni religione. Poi noi conosciamo meglio quella cristiana. È questa che abbiamo presente e che rispettiamo profondamente. Però la prima opera del demonio e questa: è rendere inutile la nostra vita. È la depressione che ci viene in questi giorni. Dopo tanti mesi di lockdown i giovani che non escono di casa. Mi dicono alcuni amici che si occupano di queste cose che tanti compiano gesti di autolesionismo. Questi sono i demòni.

Il vangelo ci dice che l’incontro con Cristo risorto, la sua presenza, il primo annuncio fa sì che questo demonio fuga. Possa essere scacciato. Così come parlare lingue nuove. Chiunque di voi genitori quante volte avrà pensato  – vorrei imparare un linguaggio che i miei figli finalmente conoscono, che capiscono. Io che sono prete e che predico e alla fine vedo che forse non ci siamo capiti. Che desiderio… vorrei conoscere un linguaggio che parli al cuore delle persone, linguaggi, parole nuove. Prendere in mano i serpenti. Nella Bibbia abbiamo il serpente iniziale. Simbolo di ogni paura che porta ad andare verso il peccato. Ma andando avanti il serpente è anche in Isaia nelle promesse messianiche. Il fanciullo metterà la mano nella nella bocca della serpe e non verrà morso. Dentro c’è un superamento delle paure e c’è un entrata in un’era nuova, definitiva. Imporranno le mani ai malati e questi guariranno. Forse “guariranno” è un po’ spericolata come traduzione. Perché il termine originale è “avranno bene”. Perché questi malati non sono i malati normali. Sono i malati cronici. Dal termine greco si ha proprio questo significato. Sono quelli che sai che non guariranno. Che hanno ancora più bisogno di tenerezza, di vicinanza. Hanno bisogno di qualcuno che li faccia stare bene. Tutti noi in qualche modo siamo malati cronici e la malattia di tutti è il tempo, la vita. 
La prospettiva di colui che va e annuncia e di colui che accoglie e crede, è la prospettiva di chi accetta di cambiare. Che scopre dimensioni nuove nella propria vita.

Il Vangelo ci dice a questo punto che tutto quello che Gesù ci ha detto viene controfirmato da Colui che abita nei cieli, dal Padre. È la sorpresa delle sorprese: il Vangelo ci dice che i discepoli partono e predicano dappertutto. Il Signore agisce con loro e conferma la parola con i segni. Sono quelli che abbiamo ascoltato. Sono una vita nuova in cui il demonio non comanda più nella nostra vita, non c’inganna rendendola inutile. 
Nella nostra vita nascono situazioni nuove, situazioni di amore.

Buona domenica e buona Ascensione