Sembrano due parabole affini. In fondo non si parla in entrambe di semi? Ad una lettura più paziente emergono però significative differenze. Ma vediamo: intanto sono tra le Tue prime parabole. Sono precedute solo da quella che forse è la parabola programmatica: quella del seminatore.
Che ci mette davanti all’immagine meravigliosa di un Dio-educatore, Tu il seminatore che continui a credere che ne valga la pena di buttare via tanta parte della sua ricchezza seminando là dove sai bene che non crescerà nulla. Ma alla fine la Tua è una scelta vincente: il frutto è molto maggiore di quanto va perduto. Segue un’immagine, quella della lampada che accesa serve per svelare.
Ti serve per dire che la Tua volontà non è di creare un culto misterioso: Tu sei il Dio che li vuoi svelare i segreti. Coloro che di questo gioiscono ricevono però una grande responsabilità: non hanno più la scusa dell’ignoranza. Non sarebbe allora meglio non sapere? A questo punto entri con la prima parabola di oggi. Si riferisce al “regno di Dio”, la situazione di giustizia, pace e amore che si realizza quando Tu sei in effetti il Signore, il “Re” della nostra vita.
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È il caposaldo, il perno della Tua evangelizzazione, la prima cosa che hai proclamato. Non è solo ciò che sarà quando saremo morti. Il Regno, l’hai detto con forza, con Te si è fatto vicino. È, almeno un po’, raggiungibile già oggi. La prima parabola ci dice che questo Tuo Regno è simile… a un uomo. Non a un seme. Quest’uomo lo “getta” il seme, non lo semina. Compie un gesto abbastanza insensato, sembra che lo butti via, che non aspetti un risultato (in questo è molto più radicale della parabola del seminatore).
Il problema che quel seme, buttato, è “magico”! Sia quel che sia lui ha in sé la forza “automaticamente” di germogliare, di crescere e maturare. A questo punto sì, colui che ha gettato manda la falce (non i mietitori) e miete. La falce nel sentire antico è strumento di gioia, ma è anche l’arma dei poveri. Nella mano di Dio è strumento di giustizia. Qui non sembrano esserci riferimenti minacciosi, solo l’introduzione alla fatica e alla gioia della mietitura.
Quindi? Quindi il Tuo Regno è come un uomo capace di donare, di buttare le proprie ricchezze: il seme. Un uomo generoso. Non è invece uno che ha manie di controllo. Quel seme buttato non crescerà grazie al suo impegno. Gli è richiesta però la capacità di accorgersi di quello che sta succedendo. E quindi a un certo punto di pazientare, di meravigliarsi e di essere grato.
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La seconda parabola parla di nuovo del Regno. Ma qui è descritta come il seme piccolissimo che sorprende: diventa un cespuglione alto fino a tre metri capace di accogliere il nido (il testo dice “la tenda” quella che nel prologo di Giovanni Tu hai posto in mezzo a noi) degli uccelli del cielo. Anche qui c’è una meraviglia in noi che guardiamo. Perché c’è sproporzione tra il seme e il cespuglio. Però – scusa, Gesù – qui ci prendi anche un po’ in giro.
Noi vorremmo che la pianta, il Tuo Regno, fosse una quercia maestosa. O almeno un ulivo… una vite! Invece ci dici che il luogo della nostra gioia è un cespuglione. Ebbene sì. In effetti non siamo sorpresi: è un roveto quello da cui hai parlato a Mosè e si vede che di questo sei convinto e su questo perseveri. Rimangono i meccanismi della meraviglia e della gratitudine. Unite alla virtù di base di chi è nel/il regno: la capacità di donarsi, la generosità di sé.
E un sano realismo: la capacità di guardare ciò che ci sta attorno con uno sguardo “sapienziale”. In grado di capire cioè da “Chi” viene e a “Chi” porta. E Tu in tutto questo, dove sei? Forse tra gli uccelli del cielo che mettono la loro tenda in quel cespuglione – Regno. Tu attendi di esserci accolto. Sei in quel seme che ha forza in se. Che sulla croce verrà mietuto e donerà a noi la salvezza.
don Claudio Bolognesi